Niente di nuovo: Globalizzazione ed economia nel 19° secolo.

Proprio come la generazione degli anni ’60 pensava, erroneamente, di aver scoperto il sesso, quella degli anni ’90 va perdonata per aver pensato di aver scoperto la globalizzazione. I media hanno sposato il termine e i suoi concetti, per altro estremamente vaghi, al punto che esso è diventato un sinonimo di tutto ciò che ha a che fare con il commercio internazionale. Nel frattempo economisti quali il professor Kevin O’Rourke del Trinity College di Dublino, dopo aver studiato la storia del commercio internazionale, ritengono che in realtà molti effetti e implicazioni di ciò che oggi definiamo globalizzazione non sono affatto un fenomeno recente.

Come definire la 'Globalizzazione'? E’ un termine che crea confusione e al quale vengono attribuiti significati diversi.

Preferirei non usare questo termine, anche se poi finisco per usarlo. Io ritengo che 'globalizzazione' non sia una parola così utile perché il commercio è un fenomeno che va analizzato. Può avere effetti diversi su paesi diversi. E’ impossibile generalizzare gli effetti che il commercio ha sulle varie nazioni. Se si pensa a un determinato paese si vede come il commercio lo può influenzare in una certa maniera, il fenomeno dell’emigrazione in un’altra e il flusso di capitali in un’altra ancora. In termini concreti, l’immigrazione di mano d’opera non specializzata avrà un effetto sulla distribuzione del reddito di un paese industrializzato: se molta mano d’opera non specializzata arriva in un paese si può ipotizzare che ciò avrà un effetto negativo sulla mano d’opera non specializzata originaria di quello stesso paese. Ma se si considera l’arrivo di forza lavoro specializzata nella stessa economia ciò avrà un effetti assai diverso. Consideriamo le principali variabili economiche (commercio, emigrazione, flusso di capitali): tutte quante hanno effetti diversi. Una volta esteso ulteriormente questo concetto, analiticamente parlando, ci ritroviamo solo con un termine di scarsa applicabilità.

Ciononostante è difficile descrivere il fenomeno senza usare questa parola. Lei ha detto che pur non amando questo termine lo utilizza lo stesso.

E’ una scorciatoia. Ma se la si analizza bisogna sempre considerare separatamente gli effetti che il commercio ha sul paese A o sul paese B, gli effetti dell’immigrazione e quelli del flusso di capitale. E’ l’unica cosa sensata.

Da non esperto di economia, uno dei punti del suo lavoro che hanno suscitato il mio interesse è l’idea che la globalizzazione, pur essendo considerata da molti un fenomeno recente, in realtà non lo è. Si ritiene che essa esista addirittura dai tempi di Cristoforo Colombo e, come lei sostiene, dagli inizi del 19° secolo.

Dipende dalla definizione che si da’ di questo termine e a quali effetti si hanno in mente. Se si pensa, ad esempio, alle patate, che furono importate per la prima volta dall’America, esse hanno un impatto fondamentale sull’economia dell’Irlanda. Si può pensare alle malattie infettive che si diffusero in entrambe le direzioni in seguito alla scoperta dell’America. Se si considera il trasferimento della tecnologia si vede come questo genere di cose vada avanti da molto tempo. L’aspetto della globalizzazione a cui io e i miei collaboratori ci siamo interessati è il commercio e i suoi effetti sulla distribuzione del reddito. In base a questo noi riteniamo che la globalizzazione, per aver prodotto questo genere di effetti, non ha fatto enormi progressi rispetto al 19° secolo. Allora i costi per il trasporto erano troppo elevati: in seguito all’abbassamento dei costi si è assistito all’incremento del commercio di grano, acciaio e ferro tra i vari continenti, un incremento che ebbe un impatto su agricoltori e operai nei vari continenti. A partire dal 19° secolo si può vedere, ad esempio, come la vita di un contadino russo venga influenzata dalle politiche commerciali dell’Inghilterra. Questa dimensione della globalizzazione, lo scambio di beni e persone tra i vari continenti e gli effetti conseguenti sulla vita quotidiana, nasce proprio nel 19° secolo.

Sotto molti aspetti il mondo del 19° secolo era ben integrato, proprio come quello odierno. Il mercato del lavoro era probabilmente organizzato meglio di quello attuale, considerate le tante restrizioni all’immigrazione esistenti oggi nei paesi più ricchi e che allora non esistevano. Ne consegue che, se i livelli di integrazione del 19° secolo erano come quelli attuali e, nei decenni scorsi l’integrazione è stata incrementata, allora a un certo punto ci deve essere stata una disintegrazione, cosa che in effetti accadde proprio nel periodo tra le due guerre. La globalizzazione quindi non solo non è un fenomeno recente ma non è nemmeno irreversibile.

Questo è un punto interessante, soprattutto in questo momento. Alla vigilia della prima guerra mondiale ci siamo allontanati dall’integrazione economica e dalla globalizzazione. Ora, grazie alla guerra al terrorismo e a quella in Iraq, sembra che ci troviamo in un altro periodo epocale. C’è la possibilità o la probabilità che questi eventi cambino il corso dell’integrazione economica?

L’effetto cui con maggior probabilità assisteremo è quello sul mercato del lavoro. Sappiamo già che molti paesi applicano misure restrittive ai permessi di soggiorno e alla sicurezza. Per un giovane scienziato arabo, per esempio, sarà molto difficile andare a studiare negli Stati Uniti e questo avrà sicuramente delle conseguenze. D’altro canto non credo che si arriverà a una guerra commerciale né che tutto questo influenzerà il flusso di capitale. In linea di massima è vero che le tensioni politiche non agevolano l’integrazione. Va ricordato che la guerra fredda tagliò fuori dal resto del mondo una buona parte dell’Europa dell’est per mezzo secolo: che la geopolitica abbia un impatto è sicuro.

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