Niente di nuovo: Globalizzazione ed economia nel 19° secolo.

Per un economista è difficile interessarsi a questo argomento ora che i media hanno adottato in massa il termine globalizzazione?

No, non credo. Spesso gli economisti scrivono a beneficio gli uni degli altri e il fatto che i media ne parlino è una buona cosa, significa che la gente è interessata. Spesso si tratta di una discussione sul piano ideologico, con gente di destra e di sinistra che prende posizione ma non è obbligatorio impegnarsi in tutto ciò: il nostro compito è dimostrare che il mondo è più complicato di quello che loro fanno credere.

Uno dei fattori che hanno contribuito al boom del commercio nel 19° secolo è stato il progresso tecnologico. Si può affermare che il progresso tecnologico del 19° secolo ha avuto un impatto maggiore di quello che sta avendo oggi?

Bisogna sempre considerare cose come il trasporto aereo, un’invenzione del 20° secolo. Esso non ha un impatto su grossi carichi tipo il grano ma velocizza il commercio di merci pregiate quali posta, persone fisiche o fiori freschi provenienti dall’America Centrale. Sicuramente Internet ha rivoluzionato la comunicazione. Ma probabilmente l’invenzione del telegrafo nel 19° secolo ha avuto, in proporzione, un impatto più forte. Prima dell’avvento del telegrafo erano necessari 10 giorni per spedire un messaggio oltre l’Atlantico. Questo è un progresso enorme, se si pensa a com’era il mondo prima dell’invenzione del treno o della forza a vapore. Non voglio sottovalutare l’impatto del progresso tecnologico del 20° secolo ma la portata dei cambiamenti del 19° secolo è stata probabilmente maggiore.

Che ne pensa del movimento no global? Non la preoccupa che ci sia tanta disinformazione e generalizzazione attorno a questo fenomeno così diffuso e difficile da circoscrivere?

Ancora una volta trovo difficile generalizzare. Da una parte ci sono persone che sostengono l’anticapitalismo ed erano anti capitaliste molto prima che decidessero di diventare anti-globalizzazione. Dall’altra ci sono quelli che non approvano il fatto che le regole del commercio globale vadano a svantaggio dei paesi più poveri. Una buona cosa cui si è assistito è che persone come Oxfram hanno dimostrato che non c’è contraddizione tra l’essere un bravo economista e il preoccuparsi dell’efficienza del mercato o delle condizioni delle persone del terzo mondo. Si impegnano nella liberalizzazione del commercio per aiutare i paesi in via di sviluppo in modo coerente con ciò che sostiene la dottrina economica predominante. In alcuni casi c’è accordo tra il pensiero economico predominante e gli interessi di molte organizzazioni a sostegno dello sviluppo.

Lei si è interessato alla Unione Europea. Secondo lei, quali sono il ruolo e la responsabilità principali dell’Unione Europea in rapporto al commercio globale?

Molti europei si considerano l’alternativa morale ad altri paesi, ad esempio gli Stati Uniti. Ma è facile essere etici quando i propri interessi non sono in gioco. Se si vuole essere davvero etici bisogna farlo quando i nostri interessi sono a rischio, il che significa essere in prima linea nella liberalizzazione del commercio. Se si pensa che attualmente il problema morale maggiore riguarda la povertà del terzo mondo allora si deve fare il possibile per aiutare i paesi in via di sviluppo a sfuggire a questa povertà. Questo significa abbandonare cose quali la politica agricola comune, abolire le barriere nel commercio tessile e così via. A meno che l’Unione Europea e i suoi abitanti non diventino etici anche quando ciò lede i loro interessi non credo che nessuno li prenderà mai sul serio.

Oggigiorno esistono leggi contro l’immigrazione in tutta Europa…

A questo proposito vanno dette molte cose. La prima è che tutti sanno che l’Europa ha bisogno di importare più forza lavoro perché gli europei non fanno molti figli. La tutela dei nostri interessi ci costringe ad accettare l’arrivo di più persone. La seconda è che la legge internazionale ci impone degli obblighi nei confronti dei rifugiati ed è ironico fare la predica sulle leggi internazionali all’America da una parte e poi mettere in pericolo i diritti di chi richiede asilo politico dall’altra. In terzo luogo, in futuro verrà
posto un limite alla quantità di immigranti e non c’è nessuna legge internazionale che impone di adottare una politica che prevede l’apertura dei confini. Le restrizioni ci saranno sempre. Ma se ci saranno le restrizioni allora a mio parere si dovrà fare tutto il possibile per aiutare i paesi in via di sviluppo attraverso il commercio, il sostegno, la ricerca sulla malaria e così via.

Secondo lei il libero commercio di oggi è maggiore di quello del 19° secolo?

È una domanda difficile. Trenta o quaranta anni fa si sarebbe affermato con sicurezza che nel 19° secolo il libero commercio non esisteva neppure. Ora il commercio globale è libero, ma non è un grande cambiamento.

E qual è il trend attuale?

Il trend va verso una maggiore libertà, e questo accade da parecchio tempo. Se lo stato attuale delle cose verrà mantenuto dipende da cose quali le future discussioni sul commercio mondiale. Non sappiamo ancora come europei e americani si approcceranno ad esse. È difficile da prevedere.

Ci troviamo nella situazione in cui il libero commercio fiorirà all’interno del NAFTA e dell’Unione Europea ma prevederà restrizioni per chi ne è al di fuori? E che conseguenza avrà questo per i paesi in via di sviluppo?

In linea di principio, questo potrebbe nuocere ai paesi in via di sviluppo. Immagino che se il NAFTA dovesse diventare un blocco commerciale panamericano ciò porterebbe benefici, per lo meno in America Latina. Ci sarebbe però il pericolo che l’Africa rimanga completamente tagliata fuori da tutto questo. Ma se un numero inferiore di blocchi negoziano tra di loro è più facile raggiungere un accordo sulla liberalizzazione del commercio. C’è un dibattito a questo riguardo ma si ha l’impressione che l’idea di negoziare tramite i blocchi renderà i negoziatori dei paesi più ricchi meno preoccupati di fare affari tra di loro. Gli europei pensano: “Possiamo attuare la liberalizzazione solo tra di noi”, e gli americani e i sudamericani fanno più o meno lo stesso ragionamento. Stando così le cose, il pericolo è in agguato.


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