Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php on line 707

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php on line 707

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php on line 708

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php on line 708

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-content/plugins/jetpack/modules/shortcodes.php on line 98

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-content/plugins/jetpack/modules/shortcodes.php on line 130

Deprecated: Unparenthesized `a ? b : c ? d : e` is deprecated. Use either `(a ? b : c) ? d : e` or `a ? b : (c ? d : e)` in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-content/plugins/jetpack/modules/shortcodes/soundcloud.php on line 167

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/load.php on line 656

Notice: automatic_feed_links is deprecated since version 3.0.0! Use add_theme_support( 'automatic-feed-links' ) instead. in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/functions.php on line 3931

Notice: register_sidebar was called incorrectly. No id was set in the arguments array for the "Sidebar 1" sidebar. Defaulting to "sidebar-1". Manually set the id to "sidebar-1" to silence this notice and keep existing sidebar content. Please see Debugging in WordPress for more information. (This message was added in version 4.2.0.) in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/functions.php on line 4239

Warning: Use of undefined constant SINGLE_PATH - assumed 'SINGLE_PATH' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-content/themes/threemonkeys/functions.php on line 90

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Warning: Cannot modify header information - headers already sent by (output started at /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php:707) in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/feed-rss2.php on line 8
Musica – Three Monkeys Online Italiano https://www.threemonkeysonline.com/it La Rivista Gratuita di Attualità & Cultura Thu, 08 Dec 2016 08:16:06 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.0.21 110413507 Negrita – Il Rock come attitudine – TMO intervista Pau dei Negrita https://www.threemonkeysonline.com/it/negrita-il-rock-come-attitudine-tmo-intervista-pau-dei-negrita/ https://www.threemonkeysonline.com/it/negrita-il-rock-come-attitudine-tmo-intervista-pau-dei-negrita/#respond Mon, 01 Aug 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/negrita-il-rock-come-attitudine-tmo-intervista-pau-dei-negrita/ Fra un mese esatto inizierà il loro tour estivo che li porterà, come sempre, su e giù per la penisola. Ma il 2006 per i Negrita è anche l'anno del debutto all'estero di L'uomo sogna di volare; l'ultimo album, che in Italia ha già venduto sulle centomila copie, è infatti in procinto di uscire in […]

The post Negrita – Il Rock come attitudine – TMO intervista Pau dei Negrita appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Fra un mese esatto inizierà il loro tour estivo che li porterà, come sempre, su e giù per la penisola. Ma il 2006 per i Negrita è anche l'anno del debutto all'estero di L'uomo sogna di volare; l'ultimo album, che in Italia ha già venduto sulle centomila copie, è infatti in procinto di uscire in Spagna, Francia e Sudamerica. Sono sulla scena dal 1992 e la loro carriera vanta record di presenze live, un'apparizione a San Remo, un paio di colonne sonore e altrettante nominations come miglior artista italiano in competizioni estere, due dischi d'oro e uno di platino, e infine un tour in Sudamerica che ha ispirato la maggiorparte del materiale e della musicalità de L'uomo sogna di volare. TMO ha avuto il piacere di intervistare, via email, Pau, il cantante e front man dei Negrita.In passato i Negrita si potevano considerare una band con un lato alternative-rock ed un lato più pop, quasi commerciale (senza accezioni negative): se sì, come siete riusciti a crearvi questa doppia identità? E come l'avete superata?

Mah… i Negrita hanno sempre avuto un background estremamente vario… Negli ascolti abbiamo sempre spaziato tra la grande musica che smuove le masse e fenomeni musicali più di nicchia… è un fatto fisiologico… è la nostra cultura. Non credo sia una doppia identità, è quel che siamo… e non penso nemmeno sia una cosa da superare…

Quale (se c'è stata) è stata l'influenza della 'non rock music' sul vostro sviluppo come band e sull'ultimo disco in particolare?

Da sempre penso che il rock non si identifichi esclusivamente con chitarre più o meno distorte o con la potenza di suono 'vomitata' dalla casse. Il rock è anche altro, è un'attitudine che si insinua nelle pieghe di un'espressione. Per me sono rock i Clash ma anche Bob Marley, sono rock i Mano Negra ma anche Caetano Veloso…

Negrita e Roy Paci con i suoi Aretuska hanno condiviso lo stesso palco in più di una occasione e con successo: quanto vi siete influenzati a vicenda e che tipo di collaborazione c'è fra voi?

Abbiamo molte zone di contatto, cose che abbiamo scoperto una notte preparando il primo maggio del 2005 davanti ad un tot di birra, parlando di musica. Questo ci ha fatto venire voglia di sperimentare altre cose assieme e di sognare progetti che dovranno ancora arrivare. Ma la 'benzina' fondamentale che ha appianato le differenze è diventata sicuramente l'amicizia.

Avete sempre preso ispirazione dalla scena musicale straniera. Un ragazzo che cresce musicalmente in italia è 'obbligato' a prendere spunti dall'estero? E' questa una sorta di mancanza di fiducia nella cultura musicale italiana? Per esempio, come vi ponete nei confronti del Festival di Sanremo e nei confronti di ciò che questa manifestazione rappresenta per la musica italiana?

La nostra cultura musicale soffre, da sempre, di esterofilia. E' una cosa con la quale dobbiamo fare i conti. Il mondo anglosassone, dagli anni '50-'60, ha fatto della musica un'industria forte che ha prodotto ed esportato 'colonizzando' una bella fetta di mondo, noi compresi.
In Italia la discografia non è così potente per tanti motivi, di conseguenza si fa poco di quel che si dovrebbe per valorizzare le cose. A puro titolo di esempio non esaustivo: le major sono sempre state quasi tutte a Milano, tranne rare eccezioni romane. Va da sé che tutto un patrimonio legato al Mediterraneo e al sud in genere vada a perdere potenzialità di sviluppo per mancanza di contatto vero, di vicinanza, di complicità… Le Indie, le indipendenti, hanno sempre avuto una potenza di fuoco limitata e spesso hanno perso il treno europeo, cosa che non è successa alla Francia, alla Spagna e alle nazioni del Nord… Quante band italiane conosciamo che frequentano abitualmente festival europei? Pochissime! Inoltre lo Stato non tutela di certo, come meriterebbero, le espressioni artistico-musicali dello stivale… e anche questo è un fatto!

Sanremo è un'altra cosa ancora. La Canzone Italiana, in passato, era fatta da straordinari interpreti spalleggiati da altrettanti straordinari autori che adesso, purtroppo, non esistono più… Avete presente quante fetecchie appaiono in video durante la settimana del festival? Se Sanremo rappresentasse veramente quello che si suona e canta in Italia ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli… che non ho! E il nostro fantomatico pop esportato nel mondo? Senza nulla togliere a qualcuno, lo trovo spesso di una qualità… diciamo…. bassa, va'…
Potremmo stare qua a parlare per ore della situazione italiana… ma mi fermo qui.Quindi per tornare alla domanda: un ragazzo italiano non è certamente 'obbligato' a fare riferimento alla musica estera, ma di sicuro è fortemente 'incentivato'!

Riguardo la stesura delle canzoni: che cosa rende una canzone bella? E cosa una brutta? Quando componete una canzone, c'è un momento preciso in cui diventa chiaro che non funzionerà e sarebbe meglio cestinarla?

Si, c'è un momento in cui il cestino diventa la collocazione ideale per un pezzo. Credo invece che un brano diventi bello quando risponde a necessità espressive proprie di ogni singolo artista. Quando in primis stupisce positivamente chi lo ha composto… è già una gran cosa.

Quanto pesa il contenuto, il messaggio di una canzone? Per esempio Sale ha un messaggio molto forte, ma trasmesso in lingue diverse dall'italiano o ancora L'uomo sogna di volare viene lanciato fuori dall'Italia: è ovvio supporre che le persone che ascoltano le vostre canzoni non necessariamente parlano tutti questi linguaggi differenti. Quanto rilevanti devono essere allora i testi?

Io da anni ascolto musica con testi che stento a capire perchè non parlo bene inglese… ma non credo sia un problema insormontabile questo. I Negrita vengono da una cultura dove per fortuna anche il sound ha il suo fantastico ruolo… poi, chi vuole approfondire in genere si dà da fare. La musica ha anche questo stupendo potere… parlare oltre gli idiomi!

C'è un filo conduttore nel disco che lega tutti i pezzi? Se così è, di cosa si tratta? E' voluto o è venuto per caso? Oppure il disco tratta di temi imprescindibili tra loro e in un certo senso 'inevitabili' nel mondo di oggi?

Se esiste un filo conduttore credo sia da ricercare nello spirito con cui tutta l'avventura in Sudamerica e poi in Spagna è stata vissuta.
Le tematiche fanno parte del vissuto… quotidianità, temi internazionali, affetti etc. Scriviamo quello che vediamo. Mi sembra un buon modo per sentirsi autentici.

Rotoliamo verso sud: l'ascolto dell'album L'uomo sogna di volare evoca immagini di viaggi sia in senso fisico che mentale. A livello mentale, che tipo di destinazione è il sud?

Domandona da un milione di euro!
Il Sud è l'alternativa… il Sud è il panorama da osservare per controbilanciare lo strapotere dei vari Nord. Il Sud è sopravvivenza, sfruttamento, abbandono, ingiustizia, culla di cultura, passione, arretratezza e calore. Bada bene… vado oltre il sud italiano. In America il sud è la pattumiera del nord, avete presente cosa è successo in Argentina una manciata di anni fa? Oppure vogliamo parlare di Africa? Il Sud è una parte fondamentale di questa zolla di terra chiamata Mondo… urge un'idea di cerniera… il Sud merita il suo 50%!
Per il bene di tutti!

La distanz
a e lo spazio sono concetti ricorrenti nell'album (a noi pare che ci sia molto più spazio a livello del suono qui che in altre vostre produzioni). C'è un'immagine bellissima in Destinati a perdersi: “Destinati a perdersi in spazi troppo piccoli”. Che è l'opposto della visione tradizionale in cui uno si perde in spazi troppo grandi…

Vero! Ma il 'perdersi' non è solo una questione di spazi purtroppo…

Jim Crace, in un'intervista con TMO, ha detto: “Considera alcuni di quei libri meravigliosi che sono saltati fuori dalla Russia sovietica, un posto in cui ci si doveva rivolgere necessariamente alla letteratura per la verità, perché la Pravda, che significa verità, non la forniva. Considera la letteratura odierna in Inghilterra. Non credo che le democrazie borghesi e liberali tipo la nostra siano un ambiente molto adatto alla produzione di capolavori della letteratura, perché siamo troppo a nostro agio”. Voi avete suonato Sale, una canzone molto forte ed esplicita dal punto di vista politico, nel programma di Celentano, in cui uno dei temi dominanti era la censura televisiva. Secondo voi in Italia esiste la censura, e, se sì, quanto pesa? Nel panorama culturale italiano, stiamo assistendo ad un proliferare di energie e idee, dal punto di vista musicale, artistico e creativo in genere. La censura dell'informazione può essere uno stimolo alla creatività? Quando l'informazione è costretta in confini imposti dall'alto, questo diventa una spinta in più per cantautori, comici, registi, ecc?

Domanda complessa e vastissima…. bastardi!
Si, esiste una censura… ma sicuramente non di stampo fascista per come normalmente viene intesa. E' una censura più molliccia, visciduccia… moderna. Più determinata dalla paura che non dal rischio effettivo.
Non si permette alla base espressiva, agli artisti o ai giornalisti, di manifestare liberamente le proprie idee per non 'dispiacere' troppo ai quadri di potere alti, quelli superiori… la politica, la Chiesa etc. Quando invece qualcosa filtra, scatta un perbenismo classico italiano che sfiora addirittura una ridicola caccia alle streghe. Vedi per l'appunto RockPolitik o quello che sta succedendo in questi giorni per Il Codice da Vinci… tutti aspetti di una democrazia evidentemente molto, ma molto fragile. Celentano come Che Guevara? … o Dan Brown come Martin Lutero? Ah Ah Ah!C'è poi chi, per 'comodità' o per il quieto vivere, si applica un'autocensura… volontaria… cosa altrettanto poco edificante.
L'ormai famoso 'editto bulgaro' di Berlusconi invece, va considerato a parte: aberrazioni di potere da parte di un personaggio incontrollabile persino a se stesso.
La censura dell'informazione può essere stimolo alla creatività? Sì, ma solo per chi non ha paura di affrontarla.

Un momento cruciale per lo sviluppo come band dei Whipping boy, un gruppo irlandese, è stato dopo aver inciso la canzone Buffalo. A colloquio con TMO, ci hanno raccontato che un amico avrebbe detto loro: “ma voi non avete mai visto un bufalo, dovete scrivere di cose che conoscete” e per loro si è aperto un altro mondo: da quel momento hanno iniziato a scrivere di cose reali. Cosa ne pensate? Per voi funziona/funzionerebbe?

Mai mettere freni alla fantasia e all'espressività. Può andare bene tutto, tanto in musica decidono il cuore e lo stomaco, non la testa.

Il vostro sito web è molto ben fatto e dà l'impressione di un gruppo che tiene molto alle nuove tecnologie e alle loro potenzialità. Cosa pensate del web, dei ragazzi che scaricano musica da programmi tipo p2p, dei blog e dell'informazione su Internet in generale?

Non credo di essere il Negrita più adatto a risponderti… me la prendo con le molle la tecnologia… voglio che la mia vita sia distribuita tra cultura 'analogica' e 'digitale' e che nessuna delle due prenda il sopravvento. Sono nato troppi giorni fa, di conseguenza fanno parte di me anche cose che non appartengono a questi anni e alle nuove generazioni. Ed è giusto che sia così. Questo non vuol dire che non segua, che non sia attento… credo di essere uomo del mio tempo e in quanto tale capisco che le potenzialità del presente sono tantissime… ma so anche che non è tutto oro quel che luccica.

L'uomo sogna di volare sta per uscire in Spagna, Francia e Sudamerica. Cosa vi aspettate da questo lancio?

Potrei dirti che mi aspetto tante cose, ma non mi illudo… non dipenderà tutto da noi, le variabili sono tante. Dobbiamo ancora conoscere bene la cultura dei luoghi che andremo ad esplorare, le persone che lavoreranno al progetto fuori dall'Italia e quanto tempo investiranno, … i canali di distribuzione e promozione che conosciamo solo parzialmente… etc. etc. I Negrita e il loro staff si stanno già impegnando di brutto, questo è certo!
Alla fine mi aspetto solamente quello che meritiamo…. niente di più.

In ogni viaggio si raggiunge un bivio e si deve decidere se continuare o tornare a casa. Qual è il prossimo passo nel vostro viaggio musicale: continuare la sperimentazione, anche con il rischio di allontanarvi troppo da casa, o tornare al vecchio ma sempre valido rock?

Di solito mi considero un viaggiatore piuttosto che un turista e quando parto per un viaggio cerco, per quanto mi è possibile, di non decidere le meccaniche del rientro… Qualcuno ha detto che è più importante il viaggio in sé, piuttosto che la meta da raggiungere… la salita con la sua fatica e i suoi particolari da osservare e da capire piuttosto che la vetta…. e questa cosa mi ha sempre affascinato…

The post Negrita – Il Rock come attitudine – TMO intervista Pau dei Negrita appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/negrita-il-rock-come-attitudine-tmo-intervista-pau-dei-negrita/feed/ 0 1049
I Mau Mau tra presente e passato, da Torino ai Caraibi – Intervista con il leader del gruppo, Luca Morini. https://www.threemonkeysonline.com/it/i-mau-mau-tra-presente-e-passato-da-torino-ai-caraibi-intervista-con-il-leader-del-gruppo-luca-morini/ https://www.threemonkeysonline.com/it/i-mau-mau-tra-presente-e-passato-da-torino-ai-caraibi-intervista-con-il-leader-del-gruppo-luca-morini/#respond Fri, 01 Jul 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/i-mau-mau-tra-presente-e-passato-da-torino-ai-caraibi-intervista-con-il-leader-del-gruppo-luca-morini/ Fin dal 1991, data che segna la loro nascita, sorta dalle ceneri dei Loschi Dezi, un gruppo dell'underground torinese, i Mau Mau portano con loro la voglia di essere diretti, di poter esprimere dal vivo il loro suono semplice e composto da tre persone e un megafono. Mau Mau era il gruppo ribelle che in […]

The post I Mau Mau tra presente e passato, da Torino ai Caraibi – Intervista con il leader del gruppo, Luca Morini. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Fin dal 1991, data che segna la loro nascita, sorta dalle ceneri dei Loschi Dezi, un gruppo dell'underground torinese, i Mau Mau portano con loro la voglia di essere diretti, di poter esprimere dal vivo il loro suono semplice e composto da tre persone e un megafono.

Mau Mau era il gruppo ribelle che in Kenia si opponeva alla colonizzazione inglese, Mau Mau sono ancora oggi nel dialetto piemontese quelli che vengono da lontano, poveri e magari scuri di pelle e Mau Mau è una band che suona al ritmo dei balli popolari e feste paesane, che canta testi che raccontano storie di gente comune e multietnica in una miscela di lingue differenti. Risulta difficile per questo motivo catalogarli in un genere musicale diverso da quello che comunemente si definisce patchanka.

Sono passati 15 anni dagli esordi e i Mau Mau dopo una pausa di ormai 7 anni tornano con un nuovo album, al fine di proseguire il loro processo di “evoluzione continua”, come l'ha chiamata il leader del gruppo Luca Morini nell'intervista che ha rilasciato per TMO. Con Dea, registrato tra Torino, il Salento, Parigi e i Caraibi, il gruppo riesce a realizzare un semplice e allo stesso tempo maturo disco capace di far ballare, sognare e pensare, viaggiando al ritmo di percussioni etniche, chitarra e fiati, ma anche melodie immediate e poesia, in compagnia delle solite contaminazioni di culture e lingue.

Nell'intervista la chitarra e voce dei Mau Mau parte raccontando con quale entusiasmo stanno vivendo quest'ultimo elettrizzante periodo della loro nuova avventura musicale, facendo trasparire la grande voglia di suonare dei vecchi tempi. Tuttavia non si ferma solo alla musica proseguendo con l'umiltà e pacatezza che lo distinguono, spazia dalla fusione di arti differenti ai piacevoli ricordi di progetti passati, dalle tante collaborazioni artistiche della band alle sue personali idee su alcune tematiche di attualità.

Partiamo dal presente, parlando di Dea. Com’è andata la presentazione del vostro nuovo album a Milano venerdì scorso [il giorno 17 marzo a Milano, presso Feltrinelli in Piazza Piemonte NdR] ?

Luca Morini: E’ andata molto bene; siccome tra l’altro avevamo a disposizione un pianoforte abbiamo eseguito un paio di brani con piano, chitarra e voce, cosa che non fa parte del nostro solito sound.

Quali brani avete suonato?

Luca Morini: Abbiamo fatto Dea e Souvenir de Tulum, una ha una componente piano, l’altra per niente. Ad ogni modo l’inizio di questo primo periodo appena uscito il disco è elettrizzante. Stiamo verificando che c’è una bella accoglienza, abbiamo fatto un album che ci piace molto e abbiamo una gran voglia di farlo sentire alla gente.

Prossime date in programma?

Luca Morini: Per il momento solo date di presentazione del disco, prima di giugno non faremo concerti dal vivo, a parte il 23 aprile, a Torino dove, siccome si inaugura la città come capitale mondiale della letteratura per il 2006, faremo un concertone insieme a Marlene Kuntz, Subsonica. Metteremo insieme sia letteratura che musica cercando di combinare un poco queste discipline.

A proposito di fusione tra arti, nel 1997 avete eseguito dal vivo la colonna sonora del film inaugurale del Festival Internazionale del Cinema Sportivo di Torino, cosa ricordi di quell'esperienza?

Luca Morini: Molto spesso cerchiamo di unire la musica strettamente suonata ad aspetti visuali a livello di performance dal vivo. Addirittura quella volta avevamo messo insieme una banda da strada di fiati che ha sfilato per le strade della città prima di essere poi accompagnata da una serie di immagini delle prime olimpiadi della nuova era, del 1892. Da lì è nata questa costola che avevamo definito Banda Maulera che ha fatto anche apparizioni all'estero come banda di strada ed è stato molto divertente.

Anche Fabio ha scritto canzoni per alcuni film italiani ultimamente?

Luca Morini: Si, ha scritto canzoni per parecchi film e da questo progetto sono poi stati pubblicati due dischi.

Parlaci invece del tuo album da solista.Luca Morini: Io ho puntato molto di più sulla parte letteraria e quindi ne è uscito il libro Mistic Turistic, un progetto molto obliquo, perché c'erano basi di musica elettronica mentre io facevo reading di vari racconti e da questo ne è venuto fuori anche uno spettacolo che ha girato per l'Italia e per altro l'unico video di reading tutt'ora mai pubblicato e trasmesso su Mtv che è un canale prettamente musicale.

Pensa che nemmeno Lou Reed che leggeva e reinterpretava passi di Edgar Allan Poe per il suo album da solista Raven è mai stato trasmesso. A proposito di testi che tu scrivi, nelle canzoni Qualcuno verrà da te e Cannibal del vostro ultimo album ci sono accenni alla situazione politica italiana, ma senza slogan diretti. Qualcosa da dire a proposito?

Luca Morini: Noi abbiamo sempre come linea cercato di evitare lo slogan un po' terra terra. Gli aspetti sociali e politici dell'ultimo anno in questa nazione hanno interferito non poco con la composizione dell'album. Poi in alcuni pezzi, quelli che hai citato sono tra i più evidenti, c'è una presa di posizione abbastanza chiara. Poi io non amo lo slogan perché è troppo di facile presa, preferisco lavorare sulla musica, pretendo una lettura più approfondita dei testi. Detto tutto questo, comunque in Qualcuno verrà da te c'è forse l'unico slogan di tutto l'album che è “la legge non è uguale per tutti”.

Cannibal invece è una macchietta nata un po' da quella visione delle barzellette, dove c'è la classica coppia di esploratori che si trovano nel pentolone dei cannibali, pronti per essere mangiati. Giocare sull'associazione in cui noi siamo i due esploratori nella pentola con l'acqua che sta per iniziare a bollire era molto divertente e facilmente interpretabile in chiave politica attuale.

A proposito di politica volevo sapere cosa pensi della musica peer 2 peer, scaricabile da internet gratuitamente e del problema sui diritti d’autore? Siete d’accordo con l’idea di una legge repressiva come quelle appena approvate in Francia e Germania?

Luca Morini: Non so nello specifico in cosa consistono queste leggi. E' un tema molto delicato. Ovviamente siccome la tecnologia consente tutta una serie di attività io credo che la strada della repressione di questa pratica sia una presa di posizione sbagliata. Ha molto più senso prendere atto del fatto che questa sia una nuova modalità per poter usufruire della musica così come delle immagini e lavorare preso questo come punto di riferimento, come punto di partenza e non cercando di andare contro corrente, perché tanto questa è ormai la linea: chiunque può scaricare musica dalla rete e io lo trovo un ottimo modo per venire a conoscenza di un sacco di roba che altrimenti non si avrebbe l'occasione di conoscere.

The post I Mau Mau tra presente e passato, da Torino ai Caraibi – Intervista con il leader del gruppo, Luca Morini. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/i-mau-mau-tra-presente-e-passato-da-torino-ai-caraibi-intervista-con-il-leader-del-gruppo-luca-morini/feed/ 0 1033
Add it Up – un'intervista al più anziano statista della gioventù insoddisfatta: signori, ecco a voi i Violent Femmes. https://www.threemonkeysonline.com/it/add-it-up-unintervista-al-pi-anziano-statista-della-giovent-insoddisfatta-signori-ecco-a-voi-i-violent-femmes/ https://www.threemonkeysonline.com/it/add-it-up-unintervista-al-pi-anziano-statista-della-giovent-insoddisfatta-signori-ecco-a-voi-i-violent-femmes/#respond Fri, 01 Jul 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/add-it-up-unintervista-al-pi-anziano-statista-della-giovent-insoddisfatta-signori-ecco-a-voi-i-violent-femmes/ “Spero ti sia ingrassato”, cantava causticamente Gordon Gano nel 1988, sull’album 3. Diciott’anni dopo, il verso suscita qualche sorriso al notare che il front man dei Femmes non è sfuggito ad un accenno di pancetta di mezza età. Fa parte dell’ironia cui i gruppi più longevi devono abituarsi. Ironia che non sembra infastidire il pubblico […]

The post <I>Add it Up</i> – un&apos;intervista al più anziano statista della gioventù insoddisfatta: signori, ecco a voi i Violent Femmes. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
“Spero ti sia ingrassato”, cantava causticamente Gordon Gano nel 1988, sull’album 3. Diciott’anni dopo, il verso suscita qualche sorriso al notare che il front man dei Femmes non è sfuggito ad un accenno di pancetta di mezza età. Fa parte dell’ironia cui i gruppi più longevi devono abituarsi. Ironia che non sembra infastidire il pubblico dei Femmes, che, con un ritmo impressionante anche per i maggiori esperti di agricoltura, continua a crescere, anno dopo anno, rimpinguandosi regolarmente di successive generazioni di adolescenti insoddisfatti.

Magari senza rendercene conto, tutti conosciamo la musica dei Violent Femmes. Che fosse in una compilation presa in prestito dall’amico indie o un frammento orecchiato in una colonna sonora di qualche produzione hollywoodiana (tipo Grosse Point Blank, The Crow o Super-Size Me, per fare qualche esempio), o ancora alla radio o strimpellata sulla strada da un busker scalcinato, tutti hanno sentito almeno un pezzo dei Violent Femmes. Lasciate che vi rinfreschi la memoria. Che ne dite di quella canzone che inizia con un’introduzione al basso, semplicissima, ma così brillante che non riuscite a togliervela dalla testa? Quella è senz’altro Blister in the Sun. E quell’altra canzone orecchiabilissima dai versi, per dirla educatamente, leggermente scabrosi (“Why can’t I get just one F*%k, Maybe it’s got something to do with luck, but I waited my whole life for just one F*%k”)? Ecco Add it up, dal disco di debutto del gruppo, l’unico album, secondo la rivista Billboard, ad aver venduto oltre un milione di copie senza mai essere entrato nella loro classifica dei top 200.

Tutto ciò per dire che i Violent Femmes sono un gruppo che è sempre stato differente dal resto, che ha seguito le proprie regole. Three Monkeys Online ha avuto la fortuna di porre qualche domanda a Brian Ritchie, bassista e, presumibilmente, leader del gruppo.

Siete senza ombra di dubbio la band più famosa che è uscita da Milwaukee. Quanto credi che un posto influenzi la musica che uno scrive? Potevate diventare i Violent Femmes in un altro ambiente?

All’interno del gruppo, abbiamo opinioni differenti in merito all’impatto della ‘milwaukeesità’. Gordon la reputa insignificante, mentre per me e Victor una parte della nostra identità musicale la dobbiamo proprio a Milwaukee. Il fatto è che quando siamo arrivati noi, non c’era una scena o un sound legati a Milwaukee. Ogni gruppo faceva le sue cose e nessuno prestava alcuna attenzione. Dopo il nostro successo, non ci sono state bands che abbiano seguito il nostro cammino. Probabilmente è una buona cosa quella di venir su in una zona di ristagno musicale, se si possiedono l’energia e l’originalità per creare il proprio sound, perché non ci sono regole cui dover conformarsi. Un’altra cosa è che noi tre non siamo tipi standard a Milwaukee o niente del genere.

Greil Marcus ha scritto che “la battaglia Americana più interessante è quella per liberarsi dei limiti in cui si è nati e per imparare qualcosa sul valore di quei limiti”. A me sembra che questa frase incapsuli qualcosa della vostra traiettoria, dagli inizi in cui suonavate un tipo di musica che nessun altro suonava e cantavate versi che nessu altro si sarebbe azzardato a cantare, fino ad oggi, quando siete considerati una fonte di ispirazione da tante bands emergenti e vi ritrovate canzoni incluse nelle colonne sonore di Hollywood. Come sono cambiati i Violent Femmes nel corso degli anni?

Non siamo cambiati tanto, sono i tempi che ci hanno raggiunto. Eravamo 20-30 anni in anticipo sui tempi, quindi risultiamo più adatti adesso di quando siamo usciti con il primo album. Non sono particolarmente d’accordo con Marcus qui, ma non ho pensato tanto a fondo a cosa significhi essere americano. Non mi importa. Ho vissuto negli Stati Uniti, in Europa e ho in programma di trasferirmi in Australia. Sono stato sposato con un’italiana e una donna dello Sri Lanka. Sono un insegnante qualificato di musica giapponese. Non ho mai pensato di avere delle limitazioni ed è così che vivo la mia vita.

Parliamo di questo effetto ‘Dorian Grey’ sul vostro pubblico. Cosa c’è nelle canzoni che riescono continuamente ad attirare orde di ragazzini ai vostri concerti? Non vi sentite mai a disagio sul palco a cantare pezzi come Add it up o Kiss off, veri e propri inni di una gioventù sconsolata, da uomini di mezza età?

Beh, Gordon è quello che deve cantare quelle canzoni, quindi questa è una croce sua! Mick Jagger canta ancora Satisfaction e e se la cava bene. Lou Reed canta ancora Heroin nonostante sia un geriatrico entusiasta del Tai Chi. E’ arte. Le parti di basso che suono io sono senza tempo, quindi mi fa felice suonarle e vedere quei ragazzini che si divertono. I versi sono sicuramente la porta d’entrata al mondo dei Femmes per un sacco di adolescenti. Alcuni si relazionano alle parole e quelle parole toccano temi adolescenziali universali. Ma sono la musica e la nostra performance quello che ci fa stare a galla da decenni.

Negli anni ’80, c’è una zona d’ombra in cui la band ha sofferto una spaccatura, si è presa una pausa. Qualunque sia stato il motivo, che cos’è che vi ha poi riportato insieme?

La ragazza di Gordon voleva che lui lasciasse i Femmes per formare un gruppo con lei. Quando questo [piano] è fallito, Gordon optò per il ritirno ai Femmes. Io e Victor ci stavamo felicemente occupando di altre cose, ma pensammo che i Femmes erano un progetto incompiuto ed avevano ancora della buona musica da produrre.

Ornette Coleman, secondo il vostro sito web, ha ascoltato tutta la vostra produzione e ha commentato: “La musica è fantastica, ma le parole sono d’intralcio”. Che ne pensi? Poiché i vostri versi sono spesso sorprendentemente originali, hanno in qualche modo eclissato la musica?

Io non credo che i versi eclissino la musica. Ma c’è gente che non sa come relazionarsi alla musica. Si tratta di illetterati. Il problema è loro. I versi e la musica lavorano all’unisono per creare il successo.

Due delle vostre canzoni (Country Death Song e I held her in my arms) sono state usate in uno studio sugli effetti dell’esposizione a canzoni dai testi violenti. Quello degli effetti di musica pop e film sull’ascoltatore o lo spettatore è un dibattito vecchio come il mondo: tu che ne pensi e i Violent Femmes si sono mai preoccupati, come gruppo, dei testi?

Pare che l’autore di un massacro o un suicida avessero Hallowed Ground sul piatto del loro giradischi al momento del crimine. Non sono sicuro dei dettagli. Non ci siamo mai preoccupati, in passato, del testo delle canzoni. E’ sciocco. La musica pop e in particolare il suo pubblico e i media sono indietro di almeno un secolo rispetto ai progressi delle arti visive o della letteratura. Te lo immagini qualcuno che si lamenta del contenuto violento di un libro? No. Quella battaglia è stata combattuta e vinta. Perché dovremmo porci dei limiti in quanto la gente al di fuori dal gruppo non ha il senso dell’immaginazione? Ha comunque avuto un impatto su di noi, perché alla madre di Gordon non sono piaciute alcune delle canzoni, e questo ha messo un freno sulla sua creatività. Recentemente Gordon è venuto da me e Victor con una canzone che mostrava lo stupro e l’assassinio di minorenni in luce favorevole e questo ci ha fatto un po’impressione, in quanto entrambi sia
mo genitori. Speriamo che la canzone esca su un album di Gano da solista.

In particolare in Australia avete un gran seguito. Perché, nella tua opinione?

Siamo stati uno dei primi gruppi ad andare in Australia dopo l’avvento del punk e della new wave, e vi abbiamo fatto diverse tournée, per tenere acceso l’interesse. Potrebbe essere semplicemente dovuto al fatto che la nostra musica è divertimento e agli australiani piace divertirsi.

E’ assodato che ad ogni gruppo musicale americano che viene in Europa, di questi tempi venga chiesto che ne pensano di George W. Bush e della politica americana. I Violent Femmes hanno scritto canzoni apertamente politiche come Old Mother Reagan e, più recentemente, George Bush Lies. Non c’è pericolo a mischiare musica e politica? Io sono favorevole quando si tratta dei Violent Femmes contro George Bush, ma c’è anche l’effetto opposto di persone come Britney Spears che usa la sua popolarità a sostegno di Bush.

Scrivi o canti quel che ti va e paghi lo scotto se la gente non è d’accordo. Ezra Pound era un fascista. La maggiorparte delle persone creative sono malate mentalmente, quindi non importa davvero quali siano i loro punti di vista in politica. Uno dei miei cantanti preferiti è Robert Wyatt, che è un devoto maoista o stalinista. Non mi dà fastidio se continua a cantare. Il musicista dovrebbe prendere ispirazione da dove gli pare e piace, ma ciò non significa che l’ascoltatore o lo spettatore devono per forza condividere questa ispirazione per godersela.

Nel saggio Nation of Rebels. Why counterculture became consumer culture [N.d.T.: La nazione di ribelli. Perché la controcultura divenne cultura consumistica], di Joseph Heath e Andrew Potter, gli autori scrivono: “Cobain era un laureato in ciò che lui chiamava la scuola di vita ‘Punk Rock 101′. La maggiorparte della filosofia del punk si basava sul rifiuto di ciò per cui si erano battuti gli hippies. Se quelli ascoltavano i Lovin’ Spoonful, noi punk ascoltavamo i Grievous Bodily Harm. Loro avevano i Rolling Stones, noi i Violent Femmes”. ‘Controcultura’ è un concetto vago ed astratto nella migliore delle ipotesi, e col passare degli anni i Violent Femmes sono diventati per tanti un facile simbolo per illustrare cosa significhi, in termini musicali, controcultura. Come band, è qualcosa di cui siete stati consci?

I Rolling Stones sono uno dei miei gruppi preferiti e li vado a vedere dal vivo ogni volta che ne ho l’opportunità. Avevamo un libro sui Rollling Stones nello studio dove abbiamo registrato il nostro primo album, e ci riferivamo ad esso come ‘la Bibbia’. Per questo motivo in Gone Daddy Gone c’è lo xilofono. E’ l’influenza di Brian Jones. Quindi non ci consideriamo l’esatto contrario dei Rolling Stones. Questo è un esempio di giornalista che fa il passo più lungo della gamba. Kurt apprezzava i Femmes perché i suoi crucci da introverso coincidevano con i nostri, non perché ci considerasse emblematici di un movimento a più largo respiro. Non lo siamo. Non siamo neanche un vero e proprio gruppo rock. Siamo tre singoli individui che operano come un gruppo rock ma che altrimenti non hanno nulla in comune l’uno con l’altro.

Etichette e descrizioni sono, forse, un male necessario per il giornalismo musicale. Da ex-giornalista, come descriveresti la musica dei Violent Femmes?

Io la chiamavo “Cubist Blues”.

E’ il venticiquesimo anniversario del gruppo quest’anno, no? Piani? Nuove registrazioni all’orizzonte?

Siamo in procinto di lanciare Live in Iceland e stiamo girando un magnifico film sull’impatto musicale dei Femmes sul mondo e l’universo. Presto al cinema! Victor ha appena lanciato un nuovo CD con la sua band Ha Ha Potato. Anch’io devo far uscire, tra breve, un nuovo CD di musica da flauto giapponese.

Violent Femmes in Concerto – primo giugno, Estragon, Bologna

The post <I>Add it Up</i> – un&apos;intervista al più anziano statista della gioventù insoddisfatta: signori, ecco a voi i Violent Femmes. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/add-it-up-unintervista-al-pi-anziano-statista-della-giovent-insoddisfatta-signori-ecco-a-voi-i-violent-femmes/feed/ 0 1042
Si esce vivi dagli anni 2000? – Manuel Agnelli degli Afterhours a colloquio con TMO https://www.threemonkeysonline.com/it/si-esce-vivi-dagli-anni-2000-manuel-agnelli-degli-afterhours-a-colloquio-con-tmo/ https://www.threemonkeysonline.com/it/si-esce-vivi-dagli-anni-2000-manuel-agnelli-degli-afterhours-a-colloquio-con-tmo/#respond Wed, 01 Jun 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/si-esce-vivi-dagli-anni-2000-manuel-agnelli-degli-afterhours-a-colloquio-con-tmo/ Alla vigilia dell'uscita in Italia della sua ultima fatica, Ballads for Little Hyenas, in questa intervista-fiume, l'eclettico Manuel Agnelli, neo-papà, leader storico degli Afterhours, produttore, collaboratore di artisti di fama mondiale e, a sua volta, al suo debutto sulla scena internazionale, si confessa con Three Monkeys Online. TMO: In due parole, per quelli che non […]

The post Si esce vivi dagli anni 2000? – Manuel Agnelli degli Afterhours a colloquio con TMO appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Alla vigilia dell'uscita in Italia della sua ultima fatica, Ballads for Little Hyenas, in questa intervista-fiume, l'eclettico Manuel Agnelli, neo-papà, leader storico degli Afterhours, produttore, collaboratore di artisti di fama mondiale e, a sua volta, al suo debutto sulla scena internazionale, si confessa con Three Monkeys Online.

TMO: In due parole, per quelli che non vi conoscono, specialmente fuori dal territorio nazionale: che tipo di musica fate?

Manuel Agnelli: Il progetto è soprattutto rock, orgogliosamente rock. E' un progetto che esiste da più di 15 anni, perché il primo album degli Afterhours è del '90, ma il primo 45 giri è addirittura dell'87. Abbiamo cambiato formazione naturalmente tantissime volte, in 15 anni ci sono stati tantissimi cambiamenti. Cantiamo in italiano, dal 1995, cioè da Germi, prima cantavamo in inglese. Questo tipo di scelta è stato fatto soprattutto perché abbiamo visto che in Italia, da un certo periodo in poi, la scena stava crescendo tantissimo e noi ci sentivamo parte di questa scena e di questa crescita e ci sembrava grottesco continuare a cantare in inglese davanti ad un pubblico che non capiva quello che dicevamo. Dopo di che, il cantare in italiano è stata la chiave di volta per noi, ci ha dato un tipo di personalità che probabilmente prima stentavamo a raggiungere. Ultimamente abbiamo pubblicato un disco in tutto il mondo su licenza Mescal per la One Little Indian, sia England che Usa, che sono due etichette separate, anche se hanno lo stesso nome. Questo disco è praticamente la versione in inglese dell'ultimo nostro disco italiano che è Ballate per piccole iene.

TMO: Questa era la mia seconda domanda: come mai siete tornati all'inglese?

Manuel Agnelli: Siamo tornati all'inglese… in realtà non siamo tornati all'inglese. In realtà il disco è uscito prima in italiano, poi l'abbiamo tradotto in inglese, non è stata quindi una scelta etica o artistica. Semplicemente quando siamo stati stati contattati dalla One Little Indian, loro […] erano molto interessati a quello che facevamo noi, ci avevano già visto dal vivo e gli eravamo piaciuti molto, ci hanno chiesto se potevamo fare una versione inglese del disco perché quella era la discriminante per poter poi lavorare insieme o meno. Perché loro sono ancora convinti che l'inglese è ancora necessario per i dischi, per riuscire a lavorare su un progetto a livello internazionale. Poi quanto inglese finisca in un disco questo è un altro discorso. Il fatto di fare tutti i pezzi in inglese, invece che metterne alcuni in italiano, quella è una scelta nostra dettata da una certa [omegeinità] stilistica, se vogliamo. Per lo stesso motivo negli album in italiano non mettiamo pezzi in inglese. Per me questi 'accrocchi', diciamo, linguistici non funzionano artisticamente, per cui preferisco fare due album distinti che uno in due lingue. Per cui l'inglese non è stato ancora una volta una scelta artistica, però si è rivelata una soluzione molto divertente e anche molto creativa, perché in realtà cantare i pezzi in un'altra lingua li fa suonare in modo completamente diverso, almeno per la parte vocale, e sicuramente è stato molto, molto divertente riuscire a rifare un disco con il senno di poi, quindi apportando quelle piccole modifiche che ci sembravano necessarie anche nel suono.

TMO: Mi stai prevenendo tutte le domande: questa era la terza! Quello che volevo chiederti era proprio questo confronto fra le stesse canzoni cantate in italiano e in inglese. Forse nella versione inglese, in certe canzoni, sembri un pochino più … 'controllato'. Non so, la fisicità della voce è diversa. Secondo te è vero questo?

Manuel Agnelli: Mah, io lo descriverei in modo diverso. Diciamo che per certi versi io avevo sicuramente appreso meglio i cantati dei pezzi, perché ormai erano mesi che li cantavo e quando ho fatto la versione in inglese li ho cantati in maniera forse più naturale, anche più musicale. Un po' la lingua lo è, è inutile nasconderlo: l'inglese per il rock'n'roll è la lingua più musicale, la lingua su cui si è formato il genere, quindi è logico che suoni come nessuna altra lingua, per cui un po' è quello che aiuta a cantare con una certa naturalezza. Poi io avevo già cantato i pezzi per mesi, quindi sicuramente li ho cantati in maniera meno spigolosa. Questa è sicuramente una delle diversità maggiori che puoi riscontrare nella versione in inglese. E' anche vero che l'italiano ha altri vantaggi: intanto è la mia madrelingua, quindi penso di aver raggiunto una personalità nello scrivere i testi che comunque in inglese non ho, perché, anche se son stato seguitissimo dalla prima all'ultima parola, sia da Greg Dulli che da John Parish che soprattuto da Davey Ray Moor, che è l'ex-tastierista dei Cousteau – loro mi hanno seguito nella scrittura dei testi, nel cantato, nella pronuncia, in tantissime cose, producendo proprio la voce – nonostante questo, naturalmente, i testi sono riadattati in una lingua che non è la mia linguamadre, quindi ho dovuto ridimensionarmi nelle velleità di scrittura, questo è poco ma è sicuro. In più l'italiano penso che sia più originale, proprio perché poco sentito all'interno del rock, e quindi ha questo tipo di vantaggio, ma se parliamo di musica, di musicalità, di suono, l'inglese rimane ancora insuperabile, e probabilmente anche per quello mi sono divertito molto a ricantare i pezzi in inglese.

TMO: La versione in inglese delle canzoni è una semplice traduzione oppure c'è anche un'interpretazione? Cioè il nuovo disco è una nuova opera, un po' a sé stante, oppure è semplicemente la versione dell'italiano?

Manuel Agnelli: E' una via di mezzo, nel senso che i pezzi sono reinterpretazioni, non sono mere traduzioni, perché le traduzioni non funzionano. Abbiamo salvato tutte quelle frasi che erano forti anche in inglese, che suonavano bene e che erano forti anche in inglese. In questo mi sono fidato ciecamente dei miei collaboratori, che non sono solo madrelingua, ma anche grandi autori di canzoni, per cui sapevano, credo, il fatto loro. Anche se io l'inglese penso di saperlo piuttosto bene perché ho vissuto parecchio tempo a Londra e poi collaboro con loro da anni, per cui, insomma, ho occasione di parlarlo molto, molto spesso. Però al di là di quello, è chiaro che, se non sei madrelingua, le sfumature puoi anche perderle, quindi con loro abbiamo deciso quali frasi salvare; i titoli sono pressoché uguali perché funzionavano molto bene anche nella mera traduzione dall'italiano all'inglese e abbiamo cambiato, buttato via tutte quelle frasi che, anche se in italiano erano forti, in inglese non funzionavano allo stesso modo, cercando di mantenere sempre il contenuto del testo, perché ci tenevo che le canzoni parlassero della stessa cosa, di modo da non fare una versione in italiano che parlasse di una cosa, di un tavolo, e poi in inglese che parlasse di un pino. Io ho ancora nelle orecchie la canzone Ragazzo solo, ragazza sola di David Bowie in italiano, che è la traduzione di Space Oddity, uno dei suoi brani più famosi, che in italiano diventava una banalissima canzone d'amore. Non volevo che succedesse questa cosa qua, ecco. Con tutto il rispetto per Bowie che è un genio [si affretta a specificare, ridendo quasi nervosamente],
però in quel caso lì la traduzione aveva banalizzato parecchio la canzone per farla funzionare proprio come canzone. Volevamo che questo non succedesse, per cui abbiamo mantenuto il più possibile i contenuti dei testi, abbiamo lavorato sulle frasi forti e abbiamo riadattato il resto, però è lo stesso disco. Suona in modo molto diverso, la masterizzazione è radicalmente diversa, alcuni pezzi sono arrangiati in modo diverso, altri sono remixati, i cantati fanno comunque suonare in modo radicalmente diverso – penso che l'inglese sia un cantato molto più musicale ma il suono è molto più aggressivo dell'italiano – però il disco è lo stesso; c'è un pezzo in più, ma il disco è radicalmente simile all'originale, questo senza esserne una mera traduzione.

The post Si esce vivi dagli anni 2000? – Manuel Agnelli degli Afterhours a colloquio con TMO appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/si-esce-vivi-dagli-anni-2000-manuel-agnelli-degli-afterhours-a-colloquio-con-tmo/feed/ 0 1023
Lou Reed, direttore d’orchestra rock https://www.threemonkeysonline.com/it/lou-reed-direttore-dorchestra-rock/ https://www.threemonkeysonline.com/it/lou-reed-direttore-dorchestra-rock/#respond Wed, 01 Jun 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/lou-reed-direttore-dorchestra-rock/ “I dreamed I was the president of these United States…” questo è l’incipit di The day John Kennedy Died, terza canzone della scaletta del concerto che Lou Reed ha tenuto lo scorso lunedì 27 febbraio a Milano. Parole sulle quali il pubblico variegato (spaziava da sessantenni vestiti con cinture chiodate e jeans strappati a giovani […]

The post Lou Reed, direttore d’orchestra rock appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
“I dreamed I was the president of these United States…” questo è l’incipit di The day John Kennedy Died, terza canzone della scaletta del concerto che Lou Reed ha tenuto lo scorso lunedì 27 febbraio a Milano. Parole sulle quali il pubblico variegato (spaziava da sessantenni vestiti con cinture chiodate e jeans strappati a giovani dall’aspetto innocente che non erano probabilmente ancora nati quando usciva uno degli album più significativi dell’era rock, Transformer) del teatro Ventaglio ha letteralmente osannato il cantante.

Sembrava quasi che avessero realizzato solo in quel momento chi si trovavano davanti sul palco. Già, il palco di un teatro, l’ambiente dove meno mi sarei mai immaginato di trovare Lou Reed e la sua band. E invece si è rivelato essere il suo habitat ideale, l’arena perfetta da dove poter dirigere con gesti e voce la sua musica composta di poesia, bassi e alti, ritmo cadenzato, ma anche tante improvvisazioni e assoli. Lo cercavano spesso le luci del teatro e insieme a loro gli occhi dei presenti, come se la sua esibizione potesse essere l’ultima, una sorta di canto del cigno.

Ma l’ormai sessantaquattrenne ha invece a più riprese dimostrato di avere ancora l’energia di un tempo. Quando, tornato in scena per concedere un bis, iniziava a suonare quei tre accordi memorabili composti al tempo dei Velvet Underground e intonava quelle magiche parole “Standing on the corner, suitcase in my hand…. sweet Jane”, ci faceva tornare indietro ai tempi della sua gioventù. Mentre precedentemente, con una selezione di pezzi inediti o meno famosi, ci aveva fatto partecipe delle sue esperienze di vita, del suo viaggio nella musica, dal punk al glam, passando per il rock puro e l’improvvisazione jazz.

Il risultato è stata una miscela di pezzi veloci (Street Hassle su tutti), rivisitazioni di canzoni più datate come Red Joystick e ballate melodiche (Who Am I e Tell It to Your Heart), entrambe accompagnate dalla voce acuta e soave del fedele e bravissimo bassista-corista Fernando Saunders, che non ha fatto rimpiangere la Nico del tempo dei Velvet Underground. Se il contrabbassista Rob Wasserman riusciva invece nell’intento di ricreare atmosfere lugubri col solo uso dei polpastrelli, il batterista Tony ‘Thunder‘ Smith (l’ultimo arrivato alla corte della band diretta da Reed) si impegnava a rendere impossibile la staticità dei corpi di chi, come me, aveva deciso di godersi lo spettacolo in piedi, se non altro per omaggiare l’icona.

I commenti finali all’uscita del teatro di chi non era già corso ad acquistare magliette con stampate le foto del rocker di Long Island o il logo della sua prima famosa band il cui titolo venne preso da quello di un libro giallo trovato per caso nella spazzatura, sono stati discordanti. C’era chi aveva sperato in una performance più lunga, chi magari di rivederlo truccato o con gli occhali da sole a coprirgli le rughe, forse per avere almeno l’illusione di tornare a quei fantastici (per il glam-rock) anni ’70, chi si era immaginato una selezione delle canzoni più famose. Ma questo è il concerto come l’aveva inteso lui, Lewis Firbank Reed, questo è il messaggio che ci voleva dare: “It’s just a perfect day”. Quello a cui avevamo appena assistito era stata l’espressione di quello che aveva dentro, di quello che voleva trasmettere il ragazzo sessantaquattrenne di adesso. I fans più attenti lo hanno capito.


www.LouReed.org

The post Lou Reed, direttore d’orchestra rock appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/lou-reed-direttore-dorchestra-rock/feed/ 0 1028
Bell X1 https://www.threemonkeysonline.com/it/bell-x1/ https://www.threemonkeysonline.com/it/bell-x1/#respond Sun, 01 May 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/bell-x1/ Bussano alla porta. Una ragazzina entra, carica di forchette di plastica, contenitori di polistirolo e una borsa di plastica piena di bibite. Paul Noonan osserva la ragazza con aria spavalda. “Non credo che mangeremo qui”, dice. “Credo che ci sia una stanza più grande che possiamo usare”. “ Oh, io sono qui solo per una […]

The post Bell X1 appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>

Bussano alla porta. Una ragazzina entra, carica di forchette di plastica, contenitori di polistirolo e una borsa di plastica piena di bibite. Paul Noonan osserva la ragazza con aria spavalda. “Non credo che mangeremo qui”, dice. “Credo che ci sia una stanza più grande che possiamo usare”. “ Oh, io sono qui solo per una esperienza lavorativa”, strilla la ragazza di rimando. Il biondo accecante dei suoi capelli è superato solo dal violento rossore delle sue guance. “Vuoi una mano?”. “No, non c'è problema”, risponde lei mentre si sforza di raccogliere tutte le forchettine e le vaschette da fast-food. Paul apre la porta con calma e lei sgattaiola fuori. Sembra di cogliere le parole “Oh mio Dio” che stanno per scapparle dalla bocca.

Non c'è un altro modo per descriverlo. Paul Noonan è un figo e mentre potrà sembrare irrilevante, un'etichetta fuori moda, è ancora qualcosa di significativo. Anche in una scena banale [come quella su descritta], un senso di calma spavalda pervade la stanza, tanto quanto l'orrore nervoso della ragazza impregna l'atmosfera. Che cosa rende fighi? Il piglio sicuro e la fiducia in se stessi e in ciò che si fa, perché ciò che si fa non è un lavoro, un'occupazione, ma l'incarnazione di un sogno a lungo desiderato. “Non abbiamo mai preso seriamente in considerazione l'idea di non occuparci di questo”, dice. “Non ricordo di aver mai avuto dubbi al riguardo. Non ricordo che ci sia stato da decidere tra questo e l'ingegneria.”

***

Torniamo indietro. Paul cresce in una casa ad Ardclough, paesino rurale fuori Cellbridge, nella contea di Kildare. Il club del calcio gaelico, la chiesa e l'alimentari occupano un piccolo triangolo in cui consiste la presenza fisica di Ardclough. Le case sono sparse qua e là all'orizzonte, giù per le strade che coprono la relativa vicinanza a Dublino.

Paul si è da poco laureato in ingegneria informatica presso il Trinity College [di Dublino], sebbene ciò avrà tanta rilevanza nel suo futuro quanto una vecchia copia della rivista Byte. (Incidentalmente, “continuai a ricevere la rivista Byte in abbonamento per qualche anno dopo essermi laureato ed aver già intrapreso la carriera musicale, solo per far contento mio padre, che pensava che avrei perso contatto con ciò che avevo studiato”, mi confida.)

Insieme a Brian Crosby, Damien Rice, Dominic Philips e più tardi Dave Geraghty, fondò una band chiamata Juniper. Decisero di fare musica in una casa in mezzo alla campagna. Mentre altri si laureano all'università per inseguire il posto fisso con relativi privilegi, i Juniper si accontentano di fare musica. “C'era sempre una scappatoia alla mancanza di soldi. Non siamo mai stati forzati a dire 'Non funziona, smettiamo'. Ci divertivamo molto. Dopo un po' diventò molto intenso, perché era lontano da tutto e da tutti e non vedevamo molta gente, qualche volta per intere settimane. E si vive insieme, si lavora insieme, si socializza insieme. Ce ne siamo stati lì per un anno e non credo che sarebbe stato salutare stare più a lungo”, ricorda Noonan.

E così Juniper finì.

***

Paul Noonan non ci ha mai pensato, ma Juniper divenne Bell X1 eppure la sua prima casa musicale fu un'orchestra priva di archi. “Suonai da flautista nella Banda Concerto di Lucan, per qualche anno quando ne avevo 9 o 10, poi passai alla batteria. Era meraviglioso poter leggere la musica, in particolare quando si suona la batteria raramente si riesce ad essere disciplinati e a leggere gli spartiti per il tamburo, che sono molto diversi da quelli normali. Negli ultimi anni ho provato ad imparare il pianoforte, che è stato fottutamente complicato. Credo che più giovane sei quando cominci a fare qualcosa meglio è.” Si fa fatica ad immaginare che il pianoforte rappresenti per lui una difficoltà adesso a 31 anni, contando che a 14 già scriveva canzoni. “Ho iniziato a scrivere canzoni a 14-15 anni”, dice. “Ho sempre amato la musica. E credo di aver sempre amato comporre musica. Inizialmente, giusto per riuscire a suonare le cose che componevo usavo una vecchia chitarra acustica che avevamo in casa.”

Non è mai stato spinto a fare musica dai suoi genitori. Pensare a casa sua gli fa tornare in mente i ricordi delle imprese musicali di suo padre. “Mio padre cantava sempre. Cantava quando c'era un'occasione e ce la metteva tutta ad imparare le canzoni. Durante l'estate insegnava ai ragazzini spagnoli e italiani che venivano a trascorrere un periodo in zona, e insegnava loro cose tipo I Still Haven't Found What I'm Looking For [U2] e There Is An Isle, che credo sia un inno di rugby di Limerick. Era abbastanza surreale vedere un gruppo di studenti stranieri cantare There Is An Isle!”. Noel Noonan è tuttora il preside della scuola pubblica maschile di Lucan. “Ha ancora un paio d'anni davanti a sé!”, dice Paul.

Dopo le elementary a Lucan e le estati passate nella fattoria del nonno a Limerick, Paul inizia la scuola superiore presso i Salesiani di Cellbridge. Come finì a prendersi una laurea in ingegneria e ora è un musicista non è poi un enigma così strano, quando confessa il suo amore per matematica, matematica applicata e fisica. Il suo amore per la musica gli fu inculcato da un nuovo gruppo di amici, che gli passavano dritte sui nuovi album da seguire, prendendo consiglio a loro volta dai propri fratelli maggiori. Paul non poteva restituire il favore, essendo il maggiore nella sua famiglia, composta da tre femmine e un maschio. “La musica non è mai stato un hobby, ma qualcosa con cui mi sono sempre divertito, e che per fortuna è diventato quello di cui mi occupo ora, che è piacevole.” Ha buttato giù le sue prime canzoni da adolescente. “Non credo fossero un granché, c'erano compositori, gruppi e cose che mi piacevano. Ne ho ascoltate alcune recentemente e sono praticamente ricalcate su alcune canzoni che mi piacevano ai tempi. E non si trattava necessariamente di qualcosa che doveva essere espresso in una canzone; era l'atto stesso di scrivere canzoni ad essere eccitante. Per tanto tempo pare questa cosa astratta che sanno fare gli altri, e quando si ha sentore di poterlo fare noi stessi, è in qualche modo eccitante.”

***

“Credo che sia stato un sollievo per tutti noi quando se n'è andato Damien”, dice Paul a proposito della rottura che pose fine all'epoca di Ardclough e al gruppo nella veste di Juniper.

“[Damien] ha una personalità forte. Esercitava una profonda influenza su come venivano fatte le cose in Juniper. Era un po' che le cose erano un po' tese ed eravamo stati molto più 'volatili' del solito; il nostro percorso sottostava ai suoi capricci del momento. Di conseguenza tutto diventò [dopo la rottura] molto più calmo e funzionale.” Damien Rice lasciò la band, ma gli altri quattro erano ancora a loro agio con l'idea di fare della musica. Si battezzarono Bell X1. Ma non si trattò di un vero e proprio battesimo. Sia il gruppo che Damien continuarono ad utilizzare il materiale dei primi tempi. Volcano uscì sia in O (Rice) che Neither Am I (BellX1). “Mi piace davvero la nostra versione di Volcano. L'ho ascoltata l'altro giorno. Quel disco è ad un livello completamente diverso, musicalmente è
piuttosto fragile.”

“La musica ha sempre avuto il potere di riportarmi ad un momento della mia vita in maniera molto vivida, molto più che qualsiasi altro senso. Quindi [il disco] mi riporta ai giorni felici in cui l'abbiamo inciso. Non ho più opinioni oggettive sulla musica”, riflette Paul, che adesso è il lead singer. “In quel momento specifico, io e Brian scrivevamo in coppia, in un modo che nessuna altra coppia ha mai avuto, credo. Lui non scriveva mai i testi. Era un tipo di comunicazione musicale, mai verbale”, racconta di quel periodo.

Gli capita mai di ascoltare il disco? “Lo ascolto ogni tanto. Ascolto determinate canzoni. Lo metto su spesso quando sono ubriaco”, ride, “Quando torno a casa ubriaco, mi piace ascoltare la nostra musica, forse perché altrimenti ne sono imbarazzato o mi preoccupa. Qualche volta ne afferri un pezzetto al volo in un negozio o in un ristorante, e può sembrare tutto sbagliato, troppo lento o stonato e ti accorgi di tutte queste imperfezioni. Riesco anche ad essere abbastanza soddisfatto, ovvero tendo ad essere piuttosto ottimista”, si affretta ad aggiungere, forse rendendosi conto di poter sembrare un tetro lagnone. “Già dalle prime fasi della registrazione, quando mi accorgo che il pezzo vale qualcosa, sono io il primo ad eccitarmi e vorrei difendere a tutti i costi quello che mi pare essere la sua qualità, perché a volte mi sembra che quello che facciamo alla musica dopo averne catturato l'essenza è a suo discapito!” Music in Mouth è stato il loro secondo album e qualsiasi preoccupazione abbia afflitto Noonan a proposito degli arrangiamenti fatti durante il mixaggio, la reazione entusiastica di critica e pubblico in Irlanda le deve aver attenuate.

The post Bell X1 appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/bell-x1/feed/ 0 1019
Blue Guitars: il nuovo progetto di Chris Rea. Undici CD tra musica e pittura. https://www.threemonkeysonline.com/it/blue-guitars-il-nuovo-progetto-di-chris-rea-undici-cd-tra-musica-e-pittura/ https://www.threemonkeysonline.com/it/blue-guitars-il-nuovo-progetto-di-chris-rea-undici-cd-tra-musica-e-pittura/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/blue-guitars-il-nuovo-progetto-di-chris-rea-undici-cd-tra-musica-e-pittura/ Il 27 ottobre allo Spazio Oikos di Milano, galleria d'arte in zona centrale, si è tenuta la presentazione di Blue Guitars, l'ultimo lavoro del bluesman inglese Chris Rea, uno tra i musicisti più apprezzati degli ultimi trent'anni. Ma perché un musicista in una galleria d'arte? L'ennesima location chic per una trovata promozionale d'impatto? Niente di […]

The post <i>Blue Guitars</i>: il nuovo progetto di Chris Rea. Undici CD tra musica e pittura. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Il 27 ottobre allo Spazio Oikos di Milano, galleria d'arte in zona centrale, si è tenuta la presentazione di Blue Guitars, l'ultimo lavoro del bluesman inglese Chris Rea, uno tra i musicisti più apprezzati degli ultimi trent'anni.

Ma perché un musicista in una galleria d'arte? L'ennesima location chic per una trovata promozionale d'impatto? Niente di tutto questo, perché Blue Guitars non è un semplice, singolo album, ma un progetto ambizioso che fonde musica, pittura e narrazione in un un'unica forma espressiva.
Il progetto include undici CD contenenti 130 canzoni inedite, un DVD e un libro in cui sono riprodotti alcuni dei quadri realizzati da Rea in questi anni, esempi della sua arte, dipinti che sono stati un aiuto prezioso per l'artista a superare il male che lo colpì agli inizi del duemila e che lo costrinse a stare lontano dai riflettori per un lungo periodo.

Entro negli spazi della galleria, il buio della sera milanese si ferma pesante e umido dietro di me e una luce abbagliante mi dà il benvenuto. Le pareti della sala in cui è allestita l'esposizione dei quadri di Rea sono di un bianco intenso, reso ancor più forte dal contrasto netto con i colori carichi delle tele. Ventiquattro quadri sono appesi lungo tre pareti, simmetricamente. Sono i quadri scelti per le copertine degli undici CD e per quella dell'intero ear-book: da qui i titoli “front” o “back cover” e poi il nome del CD corrispondente.

Leit motif dell'esposizione è la chitarra: una chitarra blues che alternativamente si allunga o si schiaccia, si rimpicciolisce o aggredisce l'osservatore come squarciando la tela, come vivesse di vita propria. La chitarra è protagonista di raffigurazioni in cui il colore non è secondario alla forma, ma è esso stesso materico, carico al punto da essere personaggio.
La gamma cromatica spazia dal blu elettrico al nero, dal rosso, all'arancio, al giallo vividi del deserto dell'Arizona, che più volte fa da sfondo a situazioni compositive vibranti, cariche di tensioni che si esternano in linee spezzate che congiungono elementi di forte simbolismo: alberi stilizzati, sagome di chiese cristiane e moschee, lune velate da aloni lattiginosi, croci in cimiteri anonimi di uomini neri in catene.

La Louisiana, il Tennessee, il Texas, il Messico, terre madri delle sonorità più care a Rea, generatrici di spiriti blues, si avvicendano alle città del nord: Chicago e New York, con tutto il loro bagaglio di richiami alla musica. E poi l'Irlanda e la tradizione celtica e ancora un tuffo nel sud, nel mare e le spiagge dei Carabi dove fenicotteri rosa ammiccano a un uomo solo nella lussureggiante natura ispiratrice.

Poi lo sguardo schizza altrove e si scontra con un muro cadente, rosso e blu, di mattoni, su cui poggiano due chitarre incrociate. La croce, simbologia che ritorna, forse a significare il bisogno di spiritualità in questi tempi dolorosi, forse il simbolo della sofferenza che piega ma genera il canto, com'era per i neri nei campi di cotone. Chris Rea le dipinge quelle piantagioni, con toni delicati, come se fossero portatrici di una grande gioia creatrice.
I quadri in cui domina la città sono blu e rossi, il tempo della narrazione è la notte, il caos il personaggio. Qui le chitarre piovono su strade trafficate, sul palazzo del governo, su edifici che paiono incendiarsi di luci rossastre. Il clima è cupo, inquietante, la città appare quasi pericolosa, è inospitale. Il deserto invece è attraversato da lunghi tour trucks e disseminato di strumenti musicali, tra la sabbia ci sono stelle dipinte, si stagliano cactus alti nella notte del deserto. Tutto è più calmo, nel profondo sud.

Alle tele in cui l'ambientazione è definita si aggiungono poi quadri astratti, non luoghi in cui la rappresentazione diventa onirica e surreale, in cui miriadi di chitarre avanzano deformate come l'uomo urlante di Munch o composte nelle rigide simmetrie dei quadrati multicolori di Warhol. In altri è un microfono il fulcro dell'opera, avvolto in cerchi concentrici neri e profondi. In altri ancora è una pioggia di microfoni che cadono rapidi tra un sax, una chitarra e un tamburo.

Mentre osservo le tele ascolto in sottofondo alcuni dei brani contenuti negli undici CD e connubio non può essere migliore: in queste tracce, come nei quadri, Rea comunica tutta la sua passione per il blues, ne indaga le influenze, ne studia le sfumature e le elabora in un melting pot di suoni di grande raffinatezza. Dal sound del blues delle origini al country, dai ritmi di New Orleans a quelli elettrici di Memphis, dal suono urbano di Chicago alle ballate con contaminazioni soul, fino alla musica celtica.

Blue Guitar è quindi un'esperienza completa, un viaggio in luoghi lontani, un'indagine profonda dei percorsi della musica e dello spirito di un uomo attraverso essa. Piacevole e intenso.

I titoli degli undici CD contenuti in Blue Guitar sono i seguenti:
Beginnings; Country Blues; Louisiana and New Orleans; Electric Memphis Blues; Texas Blues; Chicago Blues; Blues Ballads; Gospel Soul Blues and Motown; Celtic and Irish Blues; Latin Blues and finally 60s & 70s. Stony Road (DVD)

The post <i>Blue Guitars</i>: il nuovo progetto di Chris Rea. Undici CD tra musica e pittura. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/blue-guitars-il-nuovo-progetto-di-chris-rea-undici-cd-tra-musica-e-pittura/feed/ 0 1003
Ça ira – History in the making – La nuova opera di Roger Waters https://www.threemonkeysonline.com/it/ca-ira-history-in-the-making-la-nuova-opera-di-roger-waters/ https://www.threemonkeysonline.com/it/ca-ira-history-in-the-making-la-nuova-opera-di-roger-waters/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/ca-ira-history-in-the-making-la-nuova-opera-di-roger-waters/ Roger Waters porta in scena la battaglia delle battaglie, quella per i diritti fondamentali di tutti gli uomini e di tutti i cittadini. In occasione del bicentenario della Rivoluzione francese iniziò a lavorare ad un'opera lirica che di quella lotta rappresentasse tutta la tragedia e tutta la liricità. Adesso, dopo quindici anni di duro lavoro, […]

The post <I>Ça ira</I> – History in the making – La nuova opera di Roger Waters appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Roger Waters porta in scena la battaglia delle battaglie, quella per i diritti fondamentali di tutti gli uomini e di tutti i cittadini. In occasione del bicentenario della Rivoluzione francese iniziò a lavorare ad un'opera lirica che di quella lotta rappresentasse tutta la tragedia e tutta la liricità. Adesso, dopo quindici anni di duro lavoro, la sua nuova produzione musicale è pronta. Il 27 settembre ha visto gli scaffali dei negozi di dischi e sarà rappresentata in prima mondiale il 17 novembre all'Auditorium di Roma.

L'intera opera prende il titolo dalla canzone più famosa della rivoluzione. Ça ira in francese significa “noi vinceremo, noi ce la faremo”.
Racconta la storia immediatamente precedente al Terrore e alle ghigliottine. La storia di un popolo che aveva solo tre parole d'ordine cui obbedire. Libertà, uguaglianza, fraternità. Oggi sono il DNA di tutte le tradizioni costituzionali occidentali. Sono questioni ormai date per assodate. La loro conquista e la loro affermazione però è costata il sangue di tanto uomini che ci hanno preceduto. A tutti loro, alla loro passione per un mondo migliore, è dedicata questa opera in tre atti da poco in commercio.

Lo stile dell'intera opera è puramente lirico-classico. Del rock non c'è nemmeno l'ombra. Waters ha scelto di attingere allo stile dei classici dell'opera italiana, cominciando da Giacomo Puccini per arrivare fino a Gaetano Donizzetti e a Vincenzo Bellini. La magia dei tenori lirici lo ha costantemente guidato nella scrittura delle parti per coro di questa sua nuova creatura musicale.

L'etichetta è quella della Sony/BMG, il marchio della classica per eccellenza. La tentazione operistica di Waters risale molto in là nel tempo. Già nel suo The Wall erano molte le commistioni tra rock e musica operistica. Adesso Waters getta la maschera, svelando un insospettabile padronanza del linguaggio e della tecnica compositiva operistica.
L'opera è in tre atti per voci soliste, coro e orchestra. Un doppio CD in formato SACD DigiPack e un libretto di sessanta pagine con i testi delle composizioni. Le liriche si ispirano ai testi di Etienne Roda-Gil, il paroliere francese che ha tentato di fissare gli eventi del 1789 in versi letterari. Waters ha dovuto tradurre le parole di Roda-Gil in inglese e scriverci sopra le musiche. Sono stati proprio i testi del paroliere francese l'incipit, la prima fonte di ispirazione dell'opera.

L'autore di The Wall con ineguagliabile rigore formale ha affrontato la scrittura di tutte le parti del suo nuovo lavoro. Lo sforzo sostenuto non è stato solo musicale ma anche concettuale. Si è dovuto rappresentare prima di tutto un evento unico nella storia dell'umanità. Gli eventi tumultuosi che si sono susseguiti dal 1789 al 1793 hanno visto per la prima volta una capitolazione di sovrani dovuta ad un moto creatosi dal basso. Luigi XVI e Maria Antonietta non vengono rovesciati dalla solita congiura di corte. E' il popolo in armi a chiederne la destituzione. L'esultanza di un popolo finalmente libero è il tenore che si respira in tutta l'opera.
Nella narrazione di quei giorni si confondono gli ideali socialisti di Waters con le emozioni che tali eventi musicalmente possono generare. Non è solo la caduta della monarchia ad aver catturato l'attenzione dell'autore. Ad essa fanno da contorno tante altre storie nella storia. C'è posto anche per l'iniziativa di Robespierre, Brissot e Condercet per l'emancipazione degli schiavi in Francia e per l'editto papale con cui si bollò l'applicazione dei diritti umani come peccato politico.

Ça ira è un lavoro complesso. A Waters vanno tutti meriti per essere riuscito a mettere su pentagramma la storia per eccellenza, quella di tanti uomini e donne assassinati dal terrore e dal dispotismo. Questa storia oggi tuona prepotente sul torpore millenario in cui passiamo i nostri giorni. In queste musiche si lava la nostra memoria e le nostre parole e torniamo, finalmente, a riscoprire cosa significhi essere uomini.

The post <I>Ça ira</I> – History in the making – La nuova opera di Roger Waters appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/ca-ira-history-in-the-making-la-nuova-opera-di-roger-waters/feed/ 0 1002
L&apos;escretore di canzoni: Glen Hansard dei Frames a colloquio con Three Monkeys Online https://www.threemonkeysonline.com/it/lescretore-di-canzoni-glen-hansard-dei-frames-a-colloquio-con-three-monkeys-online/ https://www.threemonkeysonline.com/it/lescretore-di-canzoni-glen-hansard-dei-frames-a-colloquio-con-three-monkeys-online/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/lescretore-di-canzoni-glen-hansard-dei-frames-a-colloquio-con-three-monkeys-online/ <b>This is a translation of the original interview.  </b> Bombardare chiunque per mezz’ora con domande volte a rivelare le sue motivazioni e la sua identità inevitabilmente porta a qualche contraddizione, ma un’intervista a Glen Hansard, il principale autore delle canzoni del gruppo irlandese dei Frames, riesce a produrne anche di più. Non è che lui […]

The post L&apos;escretore di canzoni: Glen Hansard dei Frames a colloquio con Three Monkeys Online appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
<b>This is a translation of the original interview.  </b>

Bombardare chiunque per mezz’ora con domande volte a rivelare le sue motivazioni e la sua identità inevitabilmente porta a qualche contraddizione, ma un’intervista a Glen Hansard, il principale autore delle canzoni del gruppo irlandese dei Frames, riesce a produrne anche di più. Non è che lui sia confuso o disorientante, è proprio il contesto in cui lui e i Frames operano ad essere alquanto bizzarro.

Ci ritroviamo a parlare nel bar di un hotel in una cittadina italiana di provincia [N.d.T.: l’intervista si è svolta a Gualtieri, Reggio Emilia], un paio d’ore prima del concerto di chiusura di una tournée ‘esplorativa’ in Europa. “Mi sono fatto prendere dall’opprimente sensazione di essere troppo vecchio per queste cose”, ride Hansard, riferendosi ad una gig gratuita registrata per la televisione un paio di sere prima, a Milano. “Ci ritroviamo in certe situazioni”, continua, “che sono situazioni in cui un gruppo appena formato dovrebbe trovarsi, non un gruppo che è in piedi da così tanto tempo. In altre parole, siamo passati di grado, non siamo più principianti, siamo andati avanti.” Eppure, con il lancio mondiale del loro ultimo album Burn the Maps, sono diventati proprio tali, apprendisti, anche con quattordici anni di esperienza sulla spalle e un repertorio di canzoni che ne hanno fatto uno dei gruppi favoriti in Irlanda.

Il concerto quella sera si sarebbe svolto in una discoteca gigante, dotata di effetti tecnologici e una miriade di schermi, ma pur sempre una discoteca. L’occasione è pure una “British Night”, un appuntamento settimanale a base di brit-pop. Ingaggiare una rock band irlandese, la cui melodia è influenzata maggiormente da Radiohead e Van Morrison che da Oasis o Blur, e chiedere loro di esibirsi in un locale addobbato con festoni di bandierine britanniche provocherebbe una reazione decisa da parte di un gruppo di ‘apprendisti’. I Frames invece sbuffano ma vanno avanti. Un locale è un locale, e una possibilità di esibirsi è una possibilità di esibirsi.

Il passato

Il gruppo fu fondato a Dublino nel 1990 da Glen Hansard, un giovane cantautore ai tempi in possesso di un ingaggio con la Island Records. Il loro primo album, Another Love Song, non infiammò il mondo e il gruppo fu scaricato senza troppe cerimonie (un itinerario questo comune ad un certo numero di gruppi irlandesi negli anni ’80 e ’90).

Another Love Song>”, dice apertamente Hansard, “era il prodotto di un uomo molto giovane, che firmò il primo contratto capitatogli. Si dà il caso che fosse un contratto orribile. Si dice che i pugili e i musicisti siano le due categorie più abusate nel mondo dell’intrattenimento, in quanto quello che vogliono è solo salire sul ring e battersi; ed è vero. Un contratto era tutto ciò che volevo. Quando vidi il contratto, non pensavo al denaro. Vedevo solo un palco immenso e un sacco di gente. Io, la mia chitarra, le mie canzoni [ride con gli occhi sgranati]. Vedevo solo l’opportunità di buttarmi e diventare Bob Dylan, che era il motivo per cui avevo abbandonato la scuola. Mi sono buttato e ho fatto i miei errori! Volevo come produttore il tizio che si era occupato di Surfer Rosa, ma neppure sapevo come si chiamasse. Conoscevo i Pixies, e mi piaceva da impazzire quel disco, ma non sono mai stato il tipo che legge i risvolti di copertina o che sa il nome del bassista di Neil Young in Harvest. Mi hanno detto ‘possiamo avere il tizio che ha prodotto Doolittle‘ [N.d.R.: Gil Norton] e io pensai: bene. Ma tutte le mie canzoni erano canzoni country, o meglio [si corregge] folk. Sono cresciuto con Bob Dylan, Leonard Cohen e Van the Man [N.d.R.: Van Morrison], quindi stavo facendo un errore di base volendo incidere un album rock come primo album, perché non sapevo come si facesse a scrivere canzoni rock. Non erano parte del mio vocabolario, a quei tempi.”

Dopo essere stati scaricati dalla loro etichetta, i componenti del gruppo si leccarono le ferite e continuarono a scrivere e ad esibirirsi. Il 1995 fu l’anno di uscita di Fitzcarraldo, per l’etichetta ZTT di Trevor Horn. Prima di firmare con Horn, uscì una diversa versione dell’album in Irlanda, divenuta ora oggetto di collezionismo. Se Another Love Song era stato una falsa partenza, Fitzcarraldo fu un ritorno alla grande. Canzoni quali Revelate e Monument fondono la sensibilità poetica di Hansard con un sound più robusto e inequivocabile. Il gruppo aveva incorporato il rock nel proprio vocabolario. Mentre rimane uno degli album preferiti per i fan, [Fitzcarraldo] è anche un album che riesce a sconcertare Hansard: “Quando ero giovane, c’era una buona dose di disperatione; era tipo un inno. C’è stato un punto, quando ho compiuto 31 anni, in cui mi sono voltato indietro, ho ascoltato Fitzcarraldo e mi sono chiesto ‘ma che mi aveva preso?’ [ride]. Di cosa avevo una tale fame? E’ buffo, man mano che cresci e invecchi, la tua ambizione si affina e si purifica fino a che ti rendi conto che tutto ciò che un uomo desidera veramente è avere dei figli che siano orgogliosi di lui. Credo di aver intrapreso quella strada, che ti porta a desiderare una buona moglie, una bella casa. Vuoi essere capace di provvedere dei pasti decenti e così via. Non sono ancora a questo livello, ma mi piace parlarne perché so che mi ci sto avviando. So che ad un certo punto lo realizzerò.”

Il sound inneggiante e degli spettacoli dal vivo ‘feroci’ (clichés coniati da vari giornalisti musicali) erano indici di un futuro radioso per la band. Ai loro concerti dublinesi si sentiva dire partecipassero anche star di Hollywood tipo Matt Dillon. Un video ‘economico’ realizzato per Revelate ottenne la nomination come miglior video su MTV Europa. Le cose sembravano andare per il meglio.

The post L&apos;escretore di canzoni: Glen Hansard dei Frames a colloquio con Three Monkeys Online appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/lescretore-di-canzoni-glen-hansard-dei-frames-a-colloquio-con-three-monkeys-online/feed/ 0 1013
Il giorno dei giorni, fino a quel giorno voi non svegliateci – Ligabue Campovolo https://www.threemonkeysonline.com/it/il-giorno-dei-giorni-fino-a-quel-giorno-voi-non-svegliateci-ligabue-campovolo/ https://www.threemonkeysonline.com/it/il-giorno-dei-giorni-fino-a-quel-giorno-voi-non-svegliateci-ligabue-campovolo/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/il-giorno-dei-giorni-fino-a-quel-giorno-voi-non-svegliateci-ligabue-campovolo/ Le macchine sono messe in fila già allo svincolo per Reggio Emilia. I finestrini sono abbassati, il sole è forte e i gomiti fanno capolino dagli sportelli. In quelle macchine ci sono le canzoni di Luciano Ligabue, tanta pazienza e quella sensazione che percorre velocemente i bambini quando vanno a dormire la notte della vigilia […]

The post Il giorno dei giorni, fino a quel giorno voi non svegliateci – Ligabue Campovolo appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Le macchine sono messe in fila già allo svincolo per Reggio Emilia. I finestrini sono abbassati, il sole è forte e i gomiti fanno capolino dagli sportelli. In quelle macchine ci sono le canzoni di Luciano Ligabue, tanta pazienza e quella sensazione che percorre velocemente i bambini quando vanno a dormire la notte della vigilia di Natale, e sanno che il mattino arriverà di sicuro.

Così si è aperto questo 10 settembre delle loro vite. Tutti lo ricorderanno come il loro personalissimo “giorno dei giorni” e c'è da scommetterci che anche lui lo ricorderà apostrofandolo così: il primo (e unico) concerto di Luciano Ligabue in questo anno solare, il 2005… ma probabilmente, con un concerto così, possiamo dire anche in questa vita.

Le macchine e le canzoni di Luciano sono ferme al casello per lasciarsi alle spalle, finalmente, l'odiata autostrada. Tra di esse si muovono ragazzi che indossano maglie nere e cartellini plastificati con il logo del Campovolo: distribuiscono volantini che riportano mappe, informazioni e consigli utili su quello che è entrato di diritto nel Guinness dei Primati come il concerto europeo, tenuto a pagamento da un singolo artista, che ha registrato il maggior numero di presenze di tutti i tempi. Il record precedente è stato polverizzato: lo detenevano gli U2 con 146mila voci urlanti, e lo conquistarono proprio lì su quello stesso campo nel 1997.

Sono 5 le radio collegate per gli aggiornamenti in tempo reale; 8 i parcheggi a pagamento allestiti intorno al Campovolo, dalla 'A' alla 'H'; 3000 i metri quadrati attrezzati per camping, tende e roulotte; e 150mila la superficie che, dalle 21.30 in poi, verrà battuta e calpestata da più di 360mila suole ipnotizzate da un unico grande ammaliatore. Tutto è immenso, stratosferico, tutto è da Guinness.

Il sole è oramai alto sul Campovolo. E' un continuo ribollire di schiamazzi e risate, di gente che urla al telefono, di altri che agitano le braccia in questa o quella direzione nella speranza che chissà chi li possa vedere. I ragazzi, più o meno giovani e provenienti da ogni città, hanno messo via le loro magliette già da un bel po': indossano soltanto jeans a vita bassa, cappellini appena comprati dagli stand ufficiali, occhiali da sole scurissimi, dei bei sorrisi e c'è anche qualcuno che fuma, o che scorrazza a piedi nudi qua e là facendo attenzione a non calpestare nessuno.

Un elicottero ronza continuamente proprio sopra di loro. In lontananza spicca qualche palla che ballonzola tra la folla. Alcuni fanno le prove con gli striscioni che hanno preparato per il loro idolo. Alle orecchie musica di ogni genere, che è lì per far pesare un po' meno le ore di attesa.

E' mezzogiorno spaccato, quando tutto questo si ferma senza alcun preavviso: la prima a fermarsi è la musica, cui nessuno aveva dato grande peso fino a quel momento, poi, di riflesso, si è fermato tutto il resto. Dagli altoparlanti comincia a sprigionarsi il suono delle corde di una chitarra pizzicate dolcemente e poi una voce: “Le bionde trecce, gli occhi azzurri e poi…”. Inconfondibile, basta questo primo verso per far saltare come molle tutti in punta di piedi a volgere lo sguardo verso il palco “Main” davanti a loro, ma lì ci sono solo un paio di tecnici indaffarati con i cavi.
In quel momento Luciano Ligabue non è in nessun posto: è nell'aria che i presenti stanno respirando, è nelle loro narici e fin dentro i polmoni, e lo è ancor di più quando tutto Campovolo si unisce al suo canto, fino alla fine della canzone. A 7 anni dalla sua morte, neanche il grande Lucio Battisti avrebbe potuto immaginare omaggio migliore di questo.

Quando anche la chitarra si ferma – dopo il consueto e fragoroso applauso di rito – ogni cosa riprende come prima: la musica cui nessuno bada, gli schiamazzi, le risate, i piedi nudi nel parco, le palle che saltellano in lontananza, le prove con gli striscioni e l'elicottero che ronza tutt'intorno.

Ecco arrivate le 21.16. Elisa, l'ultima a esibirsi in una interminabile carrellata di gruppi spalla che ha preso il via alle tre del pomeriggio, saluta tutti col suo bel sorriso e se ne va, non prima di augurare al Campovolo di godersi lo spettacolo… Sì, lo spettacolo: che è lì davanti a tutti e che promette molto bene, nonostante del protagonista non vi sia ancora alcuna traccia. La realizzazione del concerto è costata 5 milioni di euro: intorno ai 4 palchi 1000 punti luce – talmente d'effetto da far sembrare il “Main” un'astronave aliena pronta per il decollo – 300 diffusori audio e 9 milioni di watt per rendere tutto questo possibile.

Sono le 21.20. Da dietro il “Main” sbuca il manager (e anche grande amico) Claudio Maioli, che grida, gettando benzina a secchiate sulle 180mila fiamme del Campovolo: “Voi avete battuto un record! Voi siete il record!!!” e, dopo aver fatto le raccomandazioni di rito per l'incolumità di tutti, lascia il palco dicendo: “Lo show inizia fra 5 minuti!”. Palco “Main” di nuovo a soffrire di solitudine.

E' l'autocelebrazione con la A – ma anche con tutto il resto – in maiuscolo. Passano pochi minuti e le 1000 luci del Campovolo si spengono, mentre sugli 8 megaschermi piazzati qua e là tra i vari palchi, un satellite spia il mondo che ruota rapidamente su se stesso come fosse una palla da basket sull'indice di un cestista davvero bravo. Uno zoom centra gradualmente l'Italia, poi l'Emilia, Reggio, il Campovolo e infine la sterminata marea dei 180mila… Sono tanti bambini che aprono gli occhi e si ritrovano nel giorno di Natale: sapevano tutti che, prima o poi, sarebbe comunque arrivato.

Ben presto al fragore della folla, che ha le cinture bene allacciate ed è pronta sulla 'rampa di lancio', si mischia tutto un frinir di grilli notturni: sugli schermi compare la sagoma sfocata di qualcuno che, poco a poco, comincia a mettersi a fuoco, ma a molti (a tutti) quel tale è da subito familiare. Così inizia il video de Il giorno dei giorni, che Luciano regala in anteprima assoluta a chi è venuto lì e ha fatto tanta strada per lui. Camicia nera a maniche corte, jeans scuri, fascetta di cuoio al polso destro, la chitarra imbracciata e le braccia spalancate, come a dire: “Beh, Eccomi qua!”. Così sul palco “Main”, così su ogni megaschermo.

The post Il giorno dei giorni, fino a quel giorno voi non svegliateci – Ligabue Campovolo appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]> https://www.threemonkeysonline.com/it/il-giorno-dei-giorni-fino-a-quel-giorno-voi-non-svegliateci-ligabue-campovolo/feed/ 0 1010