Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php on line 707

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php on line 707

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php on line 708

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php on line 708

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-content/plugins/jetpack/modules/shortcodes.php on line 98

Deprecated: Array and string offset access syntax with curly braces is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-content/plugins/jetpack/modules/shortcodes.php on line 130

Deprecated: Unparenthesized `a ? b : c ? d : e` is deprecated. Use either `(a ? b : c) ? d : e` or `a ? b : (c ? d : e)` in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-content/plugins/jetpack/modules/shortcodes/soundcloud.php on line 167

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/load.php on line 656

Notice: automatic_feed_links is deprecated since version 3.0.0! Use add_theme_support( 'automatic-feed-links' ) instead. in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/functions.php on line 3931

Notice: register_sidebar was called incorrectly. No id was set in the arguments array for the "Sidebar 1" sidebar. Defaulting to "sidebar-1". Manually set the id to "sidebar-1" to silence this notice and keep existing sidebar content. Please see Debugging in WordPress for more information. (This message was added in version 4.2.0.) in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/functions.php on line 4239

Warning: Use of undefined constant SINGLE_PATH - assumed 'SINGLE_PATH' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-content/themes/threemonkeys/functions.php on line 90

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Deprecated: Function get_magic_quotes_gpc() is deprecated in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/formatting.php on line 4411

Warning: Cannot modify header information - headers already sent by (output started at /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/script-loader.php:707) in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/feed-rss2.php on line 8
Michael OConnor – Three Monkeys Online Italiano https://www.threemonkeysonline.com/it La Rivista Gratuita di Attualità & Cultura Thu, 08 Dec 2016 08:16:06 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.0.21 110413507 Il colore rosso – storia della cocciniglia https://www.threemonkeysonline.com/it/il-colore-rosso-storia-della-cocciniglia/ https://www.threemonkeysonline.com/it/il-colore-rosso-storia-della-cocciniglia/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/il-colore-rosso-storia-della-cocciniglia/ “Due secoli fa nessuno avrebbe immaginato che una cosa preziosa come la cocciniglia, considerata, alla stessa stregua dell’oro e dell’argento, uno dei più importanti tesori dell’impero spagnolo, sarebbe stata dimenticata”, sostiene Amy Butler Greenfield, studiosa di storia e autrice di A Perfect Red [N.d.T.: Un rosso perfetto]. Per chi non lo sapesse, la cocciniglia è […]

The post Il colore rosso – storia della cocciniglia appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
“Due secoli fa nessuno avrebbe immaginato che una cosa preziosa come la cocciniglia, considerata, alla stessa stregua dell’oro e dell’argento, uno dei più importanti tesori dell’impero spagnolo, sarebbe stata dimenticata”, sostiene Amy Butler Greenfield, studiosa di storia e autrice di A Perfect Red [N.d.T.: Un rosso perfetto]. Per chi non lo sapesse, la cocciniglia è un insetto che, schiacciato ed essiccato, produce un colorante che dà origine ad una tonalità di rosso viva e duratura. Mentre si dedicava alle ricerche per la sua tesi di Master, sull’introduzione del cioccolato in Europa, la Greenfield fu incuriosita da un costante riferimento alla parola “grana” o “grana cochinilla“, da lei notato in alcuni documenti contenuti nell’archivio di Siviglia. Tra le principali merci che la Spagna importava dal Nuovo Mondo risultò esservi un colorante rosso.

Anni dopo, questa informazione spinse l’autrice ad approfondire le ricerche sulla cocciniglia e sulle ragioni per cui il colorante rosso sarebbe diventato così importante nell’Europa pre-industriale.

Uno dei punti partenza è il colore rosso in sé. Gli esseri umani hanno sempre avuto un rapporto speciale con questo particolare colore, fa notare la Greenfield. “Gli antropologi Brent Berlin e Paul Kay hanno dimostrato che, nella maggior parte delle culture, i primi nomi riferiti ai colori distinguevano tra chiaro e scuro. Quando una lingua si evolveva fino a comprendere tre nomi di colori, quasi sempre il terzo termine si riferiva al rosso. I nomi che indicavano gli altri colori si svilupparono solamente in seguito, dopo che il termine che indicava il rosso diveniva di uso comune. È interessante notare come, secondo Berlin e Kay, è frequente che il termine “rosso” sia collegato alla parola che indica il sangue. Essi citano esempi di gruppi di aborigeni in cui la stessa parola esprime entrambi i concetti.”

L’importanza del colore rosso durante il Medioevo non si limitava alla sua affinità con la natura. Era apprezzato anche perché era relativamente raro. I tintori medioevali, estremamente abili e preparati, riuscivano a produrre molti colori ma il rosso era molto difficile da ottenere, almeno in forma duratura. Le radici che producevano la 'robbia', un colorante rosso, erano conosciute sin dall’antichità, ma il colore era soggetto a leggere variazioni di alcalinità e di temperatura. Tinture prodotte da insetti quali il chermes, il sangue di San Giovanni e il rosso armeno erano molto ricercate ma difficili da ottenere (secondo alcuni documenti prodotti dalla Greenfield, ad una tintoria medioevale di Firenze tingere una stoffa di rosso costava dieci volte di più che tingerla di azzurro).

A Perfect Red ci svela informazioni affascinanti, tutte basate su questo particolare colore. Chi avrebbe mai pensato, ad esempio, che vi fosse l’usanza di dipingere la Vergine vestita di rosso? “Molti associano la Madonna ai colori bianco e azzurro,” afferma la Greenfield, “ma nei dipinti rinascimentali essa è spesso dipinta vestita di rosso, oppure di una combinazione di rosso e blu. Ciò ha una spiegazione. Benché il rosso sia in qualche modo legato all’idea di peccato, esso è ancora più legato alla Chiesa e a Dio. Era il colore dei cespugli in fiamme, del fuoco pentecostale, del sangue di Cristo, dei martiri, per non parlare dell’emblema stesso della Chiesa. Era il colore associato anche ad un’elevata condizione sociale: chi indossava un abito rosso apparteneva ad un certo ceto sociale ed era meritevole di rispetto”. (Sembra che “in parte, l’usanza andò persa durante il periodo barocco a causa delle tendenze artistiche del tempo. Durante il XIX secolo, quando il Papa dichiarò il bianco colore ufficiale della Vergine, il rosso era caduto in disgrazia ed era più spesso associato al peccato che al divino”.)

La scoperta dell’America da parte della Spagna portò alla scoperta di un nuovo mondo, pieno di ricchezze sconosciute all’Europa del tempo. Una di esse era la cocciniglia, un piccolo insetto che abbondava in un tipo di cactus che cresceva in Messico (in particolare nella zona di Oaxaca). La cocciniglia presentava una serie di vantaggi sulle tinture utilizzate a quell’epoca in Europa. Grazie alla sua composizione chimica, essa produceva un rosso più ricco e duraturo ed era più facile da coltivare, per lo meno in Messico. Nel 1570 l’industria tessile europea si era convertita all’uso della cocciniglia, dalla quale era diventata dipendente. E aveva così portato nelle casse della corona spagnola le tanto attese entrate.

La Greenfield è oltremodo adatta a descrivere il processo di introduzione della cocciniglia, avendo, come è stato già accennato, studiato l’introduzione di un altro prodotto proveniente dalle Americhe: la cioccolata. “L’arrivo del cioccolato in Europa è stato fitto di ostacoli. Dovette passare un secolo prima che gli europei accettassero questa bevanda, e ciò che li conquistò fu tanto il cacao quanto lo zucchero che essi vi aggiungevano. Quando il cioccolato divenne popolare, i coloni spagnoli delle Americhe non ebbero difficoltà a coltivare il cacao secondo il classico stile coloniale: in enormi piantagioni, con manovali e schiavi”, spiega la studiosa. “Con la cocciniglia fu invece diverso. Gli europei apprezzavano le tinture rosse da secoli, tennero quindi in grande stima la cocciniglia fin dal primo momento. Ma quando i coloni spagnoli tentarono di riprodurre la cocciniglia nelle piantagioni andarono incontro a ripetuti fallimenti. Furono quindi costretti a dipendere dagli indigeni del Messico per ottenere la tintura. Ciò concesse agli allevatori di cocciniglia del luogo un certo potere contro i peggiori eccessi del colonialismo.”

Uno degli argomenti secondari più interessanti del libro è quello che affronta lo sviluppo della mentalità scientifica che, a differenza della segretezza tipica delle corporazioni dei mestieri, cercava di studiare e di discutere apertamente i nuovi materiali, tra cui la cocciniglia. Mentre i membri delle corporazioni, come i tintori, venivano severamente puniti (in casi estremi anche con la morte) se svelavano i segreti del proprio mestiere, gli uomini di scienza, sempre più numerosi, incoraggiavano una mentalità più aperta. Poiché l’uso della cocciniglia era sottoposto a restrizioni da parte degli spagnoli, uno dei maggiori dibattiti scientifici del tempo riguardò la vera natura della cocciniglia (si ricordi che all’epoca il microscopio era ancora agli albori). “Il tramonto delle corporazioni fu causato più che altro dai radicali cambiamenti che caratterizzarono l’economia europea e dai nuovi sviluppi nella circolazione delle informazioni”, chiarisce la Greenfield, “ma la storia della cocciniglia aiuta senz’altro a comprendere cosa stava accadendo. Nell’Europa medioevale o del primo Rinascimento le corporazioni di tintori riuscivano a mantenere tra loro il segreto della loro arte, spesso minacciando di morte coloro che ne violavano il codice. Nel XVII secolo però gli scienziati cominciarono a sconfinare nel loro territorio. I nuovi “filosofi della natura” svilupparono un particolare interesse per la cocciniglia. Non avevano idea se fosse di origine animale, vegetale o minerale ma, svelando l’enigma, speravano di gettare luce sui misteri della luce e del colore; o, almeno, di sviluppare nuove strategie per ottenere la preziosa tintura. Per i tintori era di vitale importanza mantenere tali i segreti della cocciniglia, ma, per loro disgrazia, gli scienziati erano determinati a fare luce su di essi”.

The post Il colore rosso – storia della cocciniglia appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/il-colore-rosso-storia-della-cocciniglia/feed/ 0 1012
Sotto pelle: alla scoperta dell'estrema destra. Un'intervista a Nick Ryan. https://www.threemonkeysonline.com/it/sotto-pelle-alla-scoperta-dellestrema-destra-unintervista-a-nick-ryan/ https://www.threemonkeysonline.com/it/sotto-pelle-alla-scoperta-dellestrema-destra-unintervista-a-nick-ryan/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/sotto-pelle-alla-scoperta-dellestrema-destra-unintervista-a-nick-ryan/ Indubbiamente, per decenni, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si è aggirato per l’Europa lo spettro di un redivivo movimento politico e militare di estrema destra. Questa paura, però, si è sempre concentrata sull’immaginario piuttosto che sulla realtà. Nel suo studio sull’immagine dei neo nazisti nella produzione hollywoodiana tra il 1945 e il 1978, […]

The post Sotto pelle: alla scoperta dell'estrema destra. Un'intervista a Nick Ryan. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Indubbiamente, per decenni, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si è aggirato per l’Europa lo spettro di un redivivo movimento politico e militare di estrema destra. Questa paura, però, si è sempre concentrata sull’immaginario piuttosto che sulla realtà. Nel suo studio sull’immagine dei neo nazisti nella produzione hollywoodiana tra il 1945 e il 1978, ad esempio, il professor Lawrence Baron sostiene che “i film tendevano a rappresentare il neo nazista come un recalcitrante residuato del nazionalsocialismo tedesco intento a formare una rete clandestina al di fuori degli Stati Uniti allo scopo di fondare il Quarto Reich”. Film quali Dossier Odessa e I ragazzi del Brasile hanno ispirato l’idea che l’estrema destra sia radicata in un gruppo segreto di ufficiali nazisti redivivi la cui speranza è quella di resuscitare il Reich.

La verità sulla rinascita dell’estrema destra però è molto più complessa e riguarda aspetti politici, sociali ed economici, non solo dell’Europa postbellica ma anche degli Stati Uniti. Essa include non solo i gruppi di skinheads tanto amati dai media (vedi le recenti immagini di skinheads neo nazisti che marciavano per le strade di Dresda) ma anche le campagne dei principali partiti politici relative alle severe leggi sull’immigrazione.

Nick Ryan è il più qualificato di tutti nel discutere tendenze e caratteristiche dell’universo dell’estrema destra, in quanto, nel corso degli anni, ha intervistato figure chiave del movimento, quali Nick Griffin, presidente del British National Party (BNP), e il leader conservatore americano nonché ex candidato alle presidenziali Pat Buchanan. Oltre a ciò, Ryan ha incontrato e intervistato membri di organizzazioni di destra, tra cui Combat 18. Homeland è il resoconto del suo viaggio personale all’interno di un gruppo eterogeneo di individui che potrebbero essere considerati esponenti dell’estrema destra.

Secondo Ryan l’immagine comunemente associata all’estrema destra è fuorviante: “In realtà in Europa i gruppi che sperano di ottenere un risultato in politica si distanziano il più possibile dallo stereotipo nazista. Lo scopo è quello di liberarsi degli skinheads, di quegli elementi attratti solo dalla violenza, e di avvicinarsi alle frange estreme dei partiti conservatori. Si può dire che i modelli cui si ispirano sono quelli austriaci, francesi e italiani, che si considerano più “anti-immigrazione” che autoritari o dichiaratamente razzisti”.

Allo stesso tempo però Ryan ci tiene a sottolineare che non ha incontrato solo gruppi politici conservatori estranei alla violenza. “In alcuni paesi europei esistono ancora nazisti fanatici. Negli Stati Uniti, è stato facile prendere in ridere i miei incontri con queste persone ma nell’ex Germania dell’est i livelli di razzismo e l’aspirazione alla passata sicurezza data dalla “legge e dall’ordine” raggiungevano livelli preoccupanti. Qui esistono due partiti politici di estrema destra (NPD e VDU) che si stanno conquistando seggi nelle assemblee regionali, più altri gruppi sciolti chiamati ”cameratismi” che si ispirano agli ideali del nazionalsocialismo.

È facile ignorare gli elementi più violenti che, come emerge dal libro di Ryan, risultano essere isolati e deliranti. Questi fanatici della supremazia bianca potrebbero però costituire un rischio. “C’era un ex frate [David Myatt] – ricorda Ryan – che aveva (quelle che io ritengo essere) delle ridicole convinzioni riguardo alla sottomissione delle altre razze e al ritorno ad uno stile di vita “sangue e terra”. Traduceva i poeti greci e sembrava un po' 'fuori'. Ciononstante capeggiava un piccolo movimento cui apparteneva un certo David Copeland. Nel 1999 Copeland fu responsabile dell’esplosione di tre bombe a Londra, che avevano come obiettivo gay, neri e bengalesi e che uccisero tre persone e ne ferirono un centinaio. È qui che sta il pericolo: che gli elementi più fanatici persuadano e influenzino quelli già instabili, i 'lupi solitari'.”

Un aspetto dell’ideologia dell’estrema destra che può destare stupore è la diffusa opposizione al fenomeno della globalizzazione, comunemente considerata come una prerogativa della sinistra. Per Ryan questo non deve sorprendere anche se la stampa tradizionale sottovaluta il fenomeno. “Ciò non mi stupisce. Tanto per cominciare, storicamente il concetto di 'socialismo nazionale' includeva l’idea di dare una nuova forma allo Stato e al mondo: la 'terza via', così era chiamata, né capitalismo né comunismo. E c’è sempre da considerare la vecchia analogia nazista del 'sangue e patria'.”

“Ci sono moltissimi esempi di gruppi minori che si ispirano a questa ideologia e che si sono infiltrati o si sono uniti a gruppi di coalizione più grandi e più importanti – continua Ryan. – Penso che anche molti esponenti della sinistra lo abbiano fatto con il 'movimento' dell’anti-globalizzazione. Si pensi al partito inglese Respect, i cui sostenitori provengono dal movimento contro la guerra in Iraq (Sinistra e Musulmani). Credo ancora che la maggior parte dei no Global sia di sinistra ma se si considerano quei movimenti che si dichiarano contrari alla guerra non si può fare a meno di notare la presenza di militanti islamici. Per questo motivo dobbiamo considerare quei movimenti come composti da estremisti islamici? No. Ma chi forma queste grosse coalizioni deve essere ben consapevole di ciò che potrebbe accadere se i loro scopi venissero manipolati.”

Il libro di Ryan descrive in dettaglio le unioni e gli scambi approssimativi che spesso si verificano negli ambienti della destra. Che si tratti di Nick Griffin, attualmente membro del BNP ed ex militante del National Front, che incontra il colonnello Gheddafi negli anni in cui il leader libico riforniva di munizioni l’IRA, o della cooperazione tra razzisti bianchi e gruppi islamici anti-semiti, quello della destra sembra essere un universo mutevole e in continua trasformazione: “I miei viaggi mi hanno fatto comprendere non solo le divisioni, le ripicche e, a volte, le vere e proprie pugnalate alle spalle (come nel caso dell’assassinio di un membro di Combat 18 durante il mio primo viaggio in Gran Bretagna) ma anche quanto questi gruppi siano in comunicazione tra loro; non solo quelli violenti ma anche quelli politici, o quelli che negano l’Olocausto per finire con i gruppi di neo confederati americani. Negli Stati Uniti ho vissuto con il principale raccoglitore di fondi del BNP, il quale mi ha presentato a membri delle campagne politiche, a lobbisti, a fautori della negazione dell’Olocausto, a gruppi di Klu Klux Klan e a un fanatico fondamentalista cristiano legato a gang di carcerati appartenenti al White Power. Allo scopo di promuovere le loro idee questi personaggi utilizzano Internet (siti web, e mails, gruppi di discussione), libri, conferenze, incontri tra leader. Si parla anche di una coalizione intenzionata a votare partiti di estrema destra anti-immigrati al parlamento europeo”.

Ma se usassimo l’immigrazione come criterio, dovremmo pensare che, politicamente, la maggior parte dell’Europa sia orientata verso destra. Dall’Irlanda all’Italia molti governi europei hanno introdotto misure severe per combattere l’immigrazione illegale. È come se i politici avessero derubato l'estrema destra della sua idea più preziosa. “È certo che i partiti principali tentano di cooptare le politiche dell’estrema destra e dei movimenti anti-immigrazione. Politicamente ciò è comprensibile – afferma Ryan. – Non so in che posizione si collochino gli estremisti, credo che le tensioni continueranno a crescere. Ricordiamoci anche che questi partiti si rivolgono in particolar modo alla classe operaia, ai piccol
i imprenditori, a chi sente escluso, scartato, dimenticato: tutti problemi che hanno a che fare tanto con la globalizzazione quanto con la religione e la razza. I nuovo vicini sono solo un segnale esplicito per la maggior parte delle persone, ma le vere forze coinvolte sono molto più potenti, meno visibili e meno facilmente spiegabili.”

Anche se, purtroppo, l’anti-immigrazione non è una caratteristica esclusiva dei gruppi più estremisti, vi è un elemento ideologico che sembra accomunare tutti i personaggi intervistati da Ryan: l’antisemitismo. “È il collante ideologico che unisce molte leadership di questi movimenti”, afferma Ryan. “Ciò fa sì che Nick Griffin del British National Party vada in Germania ad incontrare David Duke, leader del Ku Klux Klan e ora attivo in politica negli Stati Uniti, il quale a sua volta incontra Horst Mahler, un membro fondatore della Red Army Faction e oggi noto avvocato e leader neo nazista”.

Il linguaggio utilizzato spesso può essere ingannevole, spiega Ryan. “I termini utilizzati fanno velato accenno ai potenti della terra (il che equivale ad incolpare le grandi imprese globali piuttosto che dire che dietro a tutto vi è qualcun altro), al potere della finanza, a quello della costa orientale degli Stati Uniti eccetera”. Un altro paradosso osservato da Ryan durante le sue ricerche è l’antisemitismo, apparentemente di comodo, che unisce gli estremisti del White Power con quelli del mondo musulmano: “Ho visto estremisti di destra auspicare, per esempio, una più stretta collaborazione con i palestinesi in nome dell’odio comune per Israele (gli ebrei). Io stesso sono stato invitato a Beirut per assistere ad una conferenza tenuta da fautori della negazione dell’Olocausto, alcuni di essi ricercati dalla polizia nei loro stessi paesi d’origine. Alla conferenza erano presenti anche rinomati studiosi islamici. È la sindrome del “il nemico del mio nemico è mio amico”, che non viene però sbandierata durante le elezioni né è evidente nei gradini più bassi di queste organizzazioni: l’antisemitismo è considerato il collante ideologico caratteristico delle elites. La maggioranza dei semplici militanti odia i musulmani, i turchi, gli asiatici, i pakistani molto più degli ebrei, meno facilmente individuabili”.

Nel libro di Ryan le voci femminili sono rare, dal momento che l’ambiente della destra è prevalentemente maschile: “Non ha senso neanche citare cosa pensa la maggiorparte [degli estremisti] del movimento femminista!”, afferma Ryan ridendo. “Le donne sono poche e decisamente in secondo piano. Direi che, anche se in misura minore, questo vale anche per la sinistra, oltre che per altri gruppi di attivisti. Per i giovani maschi sfogare la propria rabbia e la propria ribellione unendosi ad un gruppo, a una gang, può avere una ragione. Dà un senso di potere e di appartenenza. Lo stesso accade, anche se in modo più diluito, in gruppi più orientati politicamente, nonostante i partiti di estrema destra e anti-immigrazione facciano di tutto per attirare l’elettorato femminile (spesso incoraggiando le donne a restare a casa e a fare più figli). Tuttavia uno studio condotto in Inghilterra sugli elettori del BNP ha rivelato che essi sono quasi interamente uomini, dai 18 ai 35 anni, molti dei quali sono al loro primo voto o non hanno mai votato prima (in Inghilterra votare non è obbligatorio e l’affluenza alle urne sta diminuendo)”. Più che essere un’umiliazione, una dimostrazione del loro disadattamento sociale, l’assenza di donne in questi gruppi è una possibile spiegazione del loro attaccamento all’ideologia razzista. “Un tema molto comune riguarda i tempi andati e come, allora, la vita fosse migliore; una rievocazione della mitica (e inesistente) età dell’oro dei loro nonni”.

Il libro di Ryan è il ritratto complesso di individui che ricercano un’identità collettiva che, fortunatamente, è rimasta fino ad ora irraggiungibile. Alcuni aspetti di tale identità toccano argomenti da molti accettati (ad esempio le politiche anti-immigrazione) mentre altri sono invece respinti dalla società in generale (la negazione dell’Olocausto, la purezza razziale eccetera). È un libro affascinante e coraggioso che non vuole né esagerare né minimizzare i vari movimenti all’interno dell’estrema destra. “Lo si può considerare un avvertimento, il canarino nella miniera, qualcosa che ci metta in guardia prima che sorgano problemi più grossi. Tutti, e sottolineo tutti, sono capaci di azioni cattive e in tempi di paura, troppe persone si lasciano andare al pregiudizio e al sospetto.”

Homeland di Nick Ryan è pubblicato in Gran Bretagna per Mainstream Publishing.
In Nordamerica per Routledge con il titolo di Into A World Of Hate: A Journey Among The Extreme Right.

The post Sotto pelle: alla scoperta dell'estrema destra. Un'intervista a Nick Ryan. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/sotto-pelle-alla-scoperta-dellestrema-destra-unintervista-a-nick-ryan/feed/ 0 1004
L’ impossibile volo, di Louis de Bernières https://www.threemonkeysonline.com/it/l-impossibile-volo-di-louis-de-bernires/ https://www.threemonkeysonline.com/it/l-impossibile-volo-di-louis-de-bernires/#respond Tue, 01 Mar 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/l-impossibile-volo-di-louis-de-bernires/ L’impossibile volo di Louis de Bernières (Guanda, 2005) è un libro voluminoso. Tratta temi importanti come la guerra, il genocidio, la tolleranza religiosa e la sua mancanza ed è un romanzo ad ampio respiro come vuole una vecchia tradizione (Tolstoj è uno dei suoi autori preferiti). Avendo già tentato di conquistare uno dei suoi ultimi […]

The post <b><i>L’ impossibile volo</b></i>, di Louis de Bernières appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
L’impossibile volo di Louis de Bernières (Guanda, 2005) è un libro voluminoso. Tratta temi importanti come la guerra, il genocidio, la tolleranza religiosa e la sua mancanza ed è un romanzo ad ampio respiro come vuole una vecchia tradizione (Tolstoj è uno dei suoi autori preferiti).

Avendo già tentato di conquistare uno dei suoi ultimi romanzi, Don Emmanuel e la guerra delle bacche (Guanda, 2003) per fallire miseramente, l’autore di questo articolo è rimasto favorevolmente colpito di trovarsi così facilmente ed immediatamente immerso nell’immaginario villaggio di Eskibahce di de Bernières durante il tramontare dell’impero Ottomano.

Con un tono sicuro di sé, essenziale per uno scrittore inglese che ha scritto, pressoché esclusivamente, romanzi di ambientazione non anglofona, siamo posti di fronte ad una lunga schiera di personaggi, con soprannomi efficaci e semplici come ‘Lydia la sterile’ o ‘Ali il portatore di ghiaccio’, che vivono in una litigiosa armonia. Cioè litigano e contrastano l’un l’altro come solo gli abitanti di un piccolo villaggio possono fare, ma i loro conflitti nascono da motivi locali e non da argomenti religiosi o etnici, come è efficacemente illustrato dall’episodio dove un mussulmano reso pazzo dal mal di denti attacca un cristiano. Allo stesso tempo abbiamo brevi capitoli dedicati a Mustafa Kemal [N.d.T.: dopo il 1935 assunse il nome di Kemal Atatürk, 'padre dei Turchi'], il futuro creatore di una moderna ‘Turchia laica’ , pieni di dettagli storici (che senza alcun dubbio saranno chiamati in causa dai detrattori di de Bernières), i quali introducono il lettore attraverso la prima metà del libro con tensione e sentimento di cattivo presagio. Per finire, nel capitolo d’apertura, al lettore è reso noto l’assassinio che il libro apertamente si sforza di spiegare. Tutti abili trucchi per attirare il lettore.

Convinto dalla forza dell’incipit, il lettore percorre senza esitazione i 95 capitoli più 6 dell’epilogo ma ad un certo punto (per il recensore diviene evidente dal capitolo 77) il percorso, verosimilmente, assume un compito oneroso. Le sempre più frequenti giustapposizioni di capitoli asciutti e carichi di particolari circa Mustafa Kemal minacciano di ribaltare l’equilibrio del libro. Del problema de Bernières sembra essere consapevole, come ha ammesso in un’intervista : “Ha più sostanza e più ambizione [de ] quello che più mi preoccupa sono le sezioni dedicate a Mustafa Atatürk. Queste rompono leggermente l’equilibrio del racconto. Li ho voluti cosicché la gente possa seguire il corso della storia se lo desidera. Possono in ogni caso essere evitati se non piacciono”.

Ritornano alla mente commenti di Lionel Shriver quando parla di sessismo nel mondo dell’editoria, e dice: “si suppone che gli uomini debbano conquistare grandi premi letterari (questo è il motivo per cui è nato l’Orange) e intraprendere grandi soggetti. Si suppone debbano anche scrivere libri voluminosi. Se io portassi un manoscritto di 1000 pagine, il mio agente diverrebbe paonazzo; fossi David Foster o Jonathan Franzen direbbe: ‘spettacolare, la tua opera magna, faremo un sacco di soldi e tu vincerai il Pulitzer'”. Per uno scrittore sufficientemente disinvolto per avvicinarsi a questioni importanti e culture straniere è un peccato che non estenda questa disinvoltura al tagliare materiale in eccesso.

Il problema è, in parte, di natura ideologica. Questo è, come dichiara orgogliosamente la copertina del libro, un romanzo “epico profondamente umano”. Così abbiamo una trama dove de Bernières non vuole sorvolare su personaggi e dettagli e non vuole finire il romanzo (come dimostrano i 6 capitoli dell’epilogo) finché il messaggio, che i mostruosi eventi storici provengono dall’alto, con il perseguire delle grandi idee, non sia stato recapitato ancora ed ancora. Si potrebbe suggerire che la risposta di un lettore disimpegnato è che la storia e i racconti sono complessi, e si intrecciano e a volte in modo necessariamente prolisso e noioso. Giusto. Si potrebbe rispondere citando Tolstoj: “il Dramma, invece di raccontarci la storia dell’uomo, lo inserisce in una posizione, lo lega a tali nodi, che una volta slegato, l’intero uomo si rende visibile”.

Infatti quando de Bernières ha a che fare con personaggi come Rustam Bey, l’Aga del villaggio, o la sua concubina Leyla Hanim, i paradossi e la tragedie del periodo prendono vita in maniera stupefacente. De Bernières è un ottimo romanziere quando non si accanisce contro le sue stesse inclinazioni.

Vi è molto di notevole in questo libro, almeno 70 capitoli, quelli che potevano essere rimasti, avesse de Bernières od il suo editore operato tagli artistici vitali, dalla descrizione di personaggi vividi e complessi, ad una coraggiosa rivalutazione dell’impero Ottomano e delle stragi che accaddero durante la prima guerra mondiale. Nelle mani di uno scrittore mediocre L’impossibile volo sarebbe stato un disastro. E’ una prova del talento di de Bernières, il quale riesce quasi a mettere a segno una vittoria. Quasi. Speriamo che la prossima volta, tuttavia, questo molto talentuoso scrittore non abbandoni la responsabilità d’autore, imbottendo il suo libro con materiale che può o meno contribuire alla storia.

L’ impossibile volo, di Louis de Bernières – Ed. Guanda – pp. 612 – Euro 18

The post <b><i>L’ impossibile volo</b></i>, di Louis de Bernières appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/l-impossibile-volo-di-louis-de-bernires/feed/ 0 1079
La parola scritta contro il terrorismo – Nadeem Aslam a colloquio con Three Monkeys Online. https://www.threemonkeysonline.com/it/la-parola-scritta-contro-il-terrorismo-nadeem-aslam-a-colloquio-con-three-monkeys-online/ https://www.threemonkeysonline.com/it/la-parola-scritta-contro-il-terrorismo-nadeem-aslam-a-colloquio-con-three-monkeys-online/#respond Tue, 01 Mar 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/la-parola-scritta-contro-il-terrorismo-nadeem-aslam-a-colloquio-con-three-monkeys-online/ La cosa più semplice sarebbe buttarsi di getto e domandare subito al romanziere Nadeem Aslam cosa ne pensa delle recenti bombe nella capitale britannica. Dopotutto, il suo Mappe per amanti smarriti, grande successo di critica, è un'analisi lirica di quelle stesse comunità di immigrati nel nord dell'Inghilterra dalle quali proverrebbero gli attentatori. Britannico per nascita […]

The post La parola scritta contro il terrorismo – Nadeem Aslam a colloquio con Three Monkeys Online. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
La cosa più semplice sarebbe buttarsi di getto e domandare subito al romanziere Nadeem Aslam cosa ne pensa delle recenti bombe nella capitale britannica. Dopotutto, il suo Mappe per amanti smarriti, grande successo di critica, è un'analisi lirica di quelle stesse comunità di immigrati nel nord dell'Inghilterra dalle quali proverrebbero gli attentatori. Britannico per nascita come loro, ma nato in una Gran Bretagna molto diversa da quella rappresentata quotidianamente sui nostri schermi.

Ma la scelta più facile non renderebbe necessariamente giustizia all'opera in questione, come potrebbe concordare Aslam, che ha passato quasi dieci anni interi a lavorare a questo suo secondo romanzo. Ha plasmato il suo Mappe per amanti smarriti con un'ossessione e una dedizione tali, creando ad esempio lunghe biografie, a suo uso, di tutti i personaggi principali e registrando il romanzo in un dittafono per assicurarsi che 'suonasse bene' (“la scrittura era così ricca in certi passaggi, così esitante in altri, che temevo non scorresse alla lettura”). Non ci si dovrebbe quindi sorprendere della forte influenza su Aslam di James Joyce, con riferimenti specifici in Mappe per amanti smarriti e nel suo romanzo di debutto, Season of the Rainbirds. “Fra gli scrittori non ce n'è uno che possa prescindere da Joyce, nè dovrebbe desiderarlo. Io penso a lui quasi ogni giorno – il rognone per colazione; il bastone gettato sulla sabbia bagnata che si infila diritto; Bloom che aspetta di fare un peto all'aperto così che il rumore venga coperto da quello più alto del traffico. Con quale maestria I morti [N.d.T.: racconto che fa parte della collezione Gente di Dublino] prende dettagli apparentemente minori della vita di tutti i giorni e li trasforma in un urlo sulla disperazione di essere vivi”.

In Mappe per amanti smarriti dei dettagli minimi hanno conseguenze violente, come ad esempio una donna che viene vista insieme all'uomo sbagliato, o le critiche di membri della comunità. Non ci sono bombe, nè legami con Al-Qaeda, nel libro di Aslam. Nulla di così sensazionale, ma piuttosto un mosaico di violenze a livello più basso, locale, di intimidazione e omicidio. La comunità pachistana del romanzo vive in un posto senza nome, senza forma, allo stesso tempo in Inghilterra eppure non propriamente lì. E' una descrizione cupa, soprattutto con il clima attuale. Nel romanzo non c'è integrazione, l'Inghilterra è, per modo di dire, assente. “L'Inghilterra non è assente dal mio romanzo, solo l'Inghilterra BIANCA è assente,” precisa Aslam con cautela. “Non volevo dare l'impressione – come fanno in maggior parte i romanzi sull'immigrazione – che i rapporti con i bianchi spesso ostili siano tutto quel che c'è nella vita di un immigrato. Che passiamo i giorni e le notti preoccupandoci di quel che i bianchi pensano di noi. Lo facciamo a volte, ma il 99% delle volte non siamo pachistani, siamo solo essere umani con fratelli e sorelle e amanti e genitori e lavori e bambini. Volevo soffermarmi su queste cose”.

“Alcune delle decisioni che ho preso non sono politiche o culturali; sono artistiche: non nomino la città nè la situo geograficamente perché volevo che i lettori si ritrovassero spaesati quanto i miei personaggi, immigrati in questo posto alieno”, spiega Aslam, ammettendo indirettamente che molte delle sue decisioni nel romanzo derivano anche da scelte politiche e culturali. Ad ogni modo, sembra naturale per Aslam mescolare la politica e l'arte: “Venendo da una cultura ed un paese quale è il Pakistan, ho sempre conosciuto le potenzialità di verità presenti in qualsiasi forma di produzione artistica – pittura, musica, la parola scritta, il cinema. In ognuna di queste forme artistiche si potevano fare cose che, rivelando la verità sull'esistenza, potevano offendere i potenti che avevano investito molto sulle bugie. In una società con delle regole molto rigide su ogni aspetto della vita, fare anche la più piccola mossa voleva dire rischiare di offendere la gente al potere. Tale situazione è più o meno rimasta tale e quale oggi, lì in Pakistan e all'interno delle comunità pachistane in occidente. I cosiddetti leader e gli autoproclamatisi portavoce di queste comunità si offendono facilmente. Bruciano libri, bloccano rappresentazioni teatrali, picchettano l'entrata dei cinema, disturbano gli spettacoli dei comici”.

Le religioni e in effetti le culture (l'uso del plurale è intenzionale) riservano le ire maggiori agli apostati o a coloro che osano criticare dall'interno. Avendo a mente l'esempio di Salman Rushdie nel passato e con la sensibilità acuita dal cosiddetto 'scontro fra civiltà' dei nostri giorni, l'autore, pachistano per nascita, deve aver considerato che aver scritto un libro che pungentemente e decisamente critica elementi dell'Islam comporta dei rischi. “Nel mio romanzo non compare nulla che non venga discusso quotidianamente sui giornali pubblicati in Pakistan e nel resto del mondo musulmano, – replica, – ho solamente voluto aggiungere la mia voce a quelle che già si alzano”.

E' importante, per Aslam, aggiungere la sua voce. Anzi, seppur non credente, si affretta a precisare: “Sono cresciuto osservando i dipinti persiani, leggendo le poesie urdu, ascoltando le storie su Maometto che mia madre mi leggeva per farmi addormentare da bambino. In molti modi il libro tratta il classico tema della letteratura islamica: la ricerca dell'amata. Il libro non sarebbe quel che è senza Le mille e una notte, il Corano, Bihzad”. Aslam sembra abbracciare appassionatamente l'idea che la questione del terrorismo islamico debba prima di tutto e principalmente venire affrontata dalle comunità islamiche: “Sento sempre dentro di me che dovrei fare di più, non so come. E' stato interessante vedere in TV i capi musulmani affermare che non avevano nessuna idea dell'estremismo esistente nelle moschee ed università. Tutti lo sanno”.

The post La parola scritta contro il terrorismo – Nadeem Aslam a colloquio con Three Monkeys Online. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/la-parola-scritta-contro-il-terrorismo-nadeem-aslam-a-colloquio-con-three-monkeys-online/feed/ 0 999
La Storia della paura. Intervista con la Professoressa Joanna Bourke https://www.threemonkeysonline.com/it/la-storia-della-paura-intervista-con-la-professoressa-joanna-bourke/ https://www.threemonkeysonline.com/it/la-storia-della-paura-intervista-con-la-professoressa-joanna-bourke/#respond Tue, 01 Feb 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/la-storia-della-paura-intervista-con-la-professoressa-joanna-bourke/ “Per citare le parole pronunciate dall’arcidiacono R.H. Charles nel 1931, la scienza avrà anche smascherato molte superstizioni del Medioevo e la fallacia del pensiero magico, sia laico che religioso, del passato e del presente ma, al loro posto, ha introdotto nuove paure che dominano la nostra vita dalla culla alla tomba” – Fear. A Cultural […]

The post La Storia della paura. Intervista con la Professoressa Joanna Bourke appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>

“Per citare le parole pronunciate dall’arcidiacono R.H. Charles nel 1931, la scienza avrà anche smascherato molte superstizioni del Medioevo e la fallacia del pensiero magico, sia laico che religioso, del passato e del presente ma, al loro posto, ha introdotto nuove paure che dominano la nostra vita dalla culla alla tomba” – Fear. A Cultural History, Joanna Bourke (pag.5).

Nel 1862 Duchenne de Boulogne, pioniere francese della neurofisiologia, pubblicò un’opera dal titolo Fisiologia delle passioni, un interessante studio in cui egli cercò, tramite scosse elettriche, di riprodurre le varie emozioni sul volto di una persona anziana, dopo averla anestetizzata. Dopo aver provocato la contrazione di certi muscoli, l’espressione della paura che riuscì a riprodurre e a fotografare fu tanto stupefacente quanto illuminante. Secondo Duchenne il volto era lo specchio delle emozioni (un volto malvagio era indicativo di un’indole malvagia). Nello stesso periodo Darwin esponeva le proprie teorie sull’evoluzione e sui ‘principi dell’espressività’, sostenendo che l’espressione della paura aveva determinate caratteristiche fisiche funzionali alla sopravvivenza della specie (ad esempio gli occhi spalancati con le sopracciglia inarcate permettono all’individuo di esplorare velocemente l’ambiente circostante). La professoressa Joanna Bourke, nel suo ultimo libro Fear: A Cultural History [N.d.T.: Storia culturale della paura], utilizza queste teorie per introdurre un argomento vasto sottolineando il fatto che, benché gli studiosi concordino su quale sia l’espressione facciale della paura, non hanno fornito una spiegazione di cosa essa sia veramente, e quali siano le sue conseguenze.

Si potrebbe pensare che lo spunto per questo affascinante studio sia nato dall’osservazione del mondo dopo la tragedia dell’11 Settembre. In realtà l’ispirazione ha radici storicamente più profonde : “Avrebbe dovuto essere una storia delle emozioni in generale: la paura, la rabbia, l’odio, la gelosia, l’amore e così via”, spiega la professoressa Bourke che è lettrice di storia presso il Birkbeck College di Londra. “Il mio interesse per la storia delle emozioni è nato da un’insoddisfazione nei confronti di alcuni miei libri precedenti, i quali guardavano alcuni tra i momenti più traumatici della storia moderna con occhio spassionato. Avevo impiegato un decennio a leggere lettere e diari di uomini e donne che durante la guerra si trovavano al fronte o nelle sue vicinanze e tuttavia non ero riuscita a centrare veramente il punto riguardo alle emozioni. Credo sia stato un errore [che i miei libri avevano in] comune a molti libri di storia che stavo leggendo. Gli storici amano discutere sulle risposte razionali, sulle ‘economie morali’ e sul concetto di causalità, ma sono meno a loro agio quando si parla di irrazionalità, una caratteristica spesso attribuita alle emozioni.”

Il libro esamina le paure considerate predominanti in Gran Bretagna e Stati Uniti (nonché Irlanda e Australia) negli ultimi 150 anni. Partendo dal 1860 con gli esperimenti di Duchenne de Boulogne per finire con le recenti riflessioni sulla ‘guerra al terrore’, il libro è una raccolta di episodi che stimolano la riflessione. L’approccio cronologico ha dato a Joanna Bourke l’occasione di suggerire un affascinante contrasto tra le paure predominanti nel 19° secolo e quelle predominanti nel nostro: “Nel 19° secolo”, spiega la professoressa Bourke facendo un esempio, “le paure legate alla morte erano intimamente legate a quelle riguardanti un’eventuale vita nell’aldilà oppure al timore legato al corretto accertamento del decesso (ovvero al rischio di una sepoltura prematura). Al contrario, al giorno d’oggi la nostra preoccupazione è più che altro legata all’obbligo di rimanere forzatamente in vita o al fatto che venga negato il diritto di ‘morire dignitosamente’. E’ il personale medico, più dell’autorità religiosa, ad influenzare sempre più spesso la nostra paura della morte. Gli attuali dibattiti sull’eutanasia e sulla morte assistita sono legati a questi cambiamenti.”

Fino a che punto Fear: A Cultural History può essere considerato un completamento dei suoi libri precedenti? “In un certo senso, il libro sulla paura è il compendio di Le seduzioni della guerra. Miti e storie di soldati in battaglia. Una delle critiche che ho dovuto affrontare quando uscì, fu quella per cui avevo posto troppa enfasi sul piacere di uccidere in tempo di guerra: la gioia, l’eccitazione e l’esaltazione espressa da molti combattenti subito dopo un brutale massacro. Ho accettato questa critica fino ad un certo punto. A mia difesa va detto che nel libro precedente a Le seduzioni della guerra avevo affrontato esplicitamente il tema degli orrori della guerra (il titolo di questo libro è molto significativo: Dismembering the Male: Men’s Bodies, Britain and the Great War [N.d.T.: Lo smembramento del maschio: corpi umani, la Gran Bretagna e la Grande Guerra]). Tuttavia il libro sulla paura è molto più di un ‘completamento’: solo tre capitoli su undici sono dedicati alle società in tempo di guerra. Il libro affronta anche svariati argomenti quali le fobie, la paura di Dio e della morte, gli incubi, le paure infantili, la malattia, il crimine, il terrorismo.”

The post La Storia della paura. Intervista con la Professoressa Joanna Bourke appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/la-storia-della-paura-intervista-con-la-professoressa-joanna-bourke/feed/ 0 978
In lotta con il passato – un incontro con Michael Cimino https://www.threemonkeysonline.com/it/in-lotta-con-il-passato-un-incontro-con-michael-cimino/ https://www.threemonkeysonline.com/it/in-lotta-con-il-passato-un-incontro-con-michael-cimino/#respond Tue, 01 Feb 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/in-lotta-con-il-passato-un-incontro-con-michael-cimino/ Come vi immaginereste Michael Cimino, regista de Il cacciatore e I cancelli del cielo? Questa domanda mi occupa la mente, mentre me ne sto seduto con una birra nel cortile dell'elegante Cinema Lumière di Bologna ad aspettare l'arrivo del celebrato cineasta americano. Una domanda, sì, perché non ho idea della risposta. Esistono fotografie che lo […]

The post In lotta con il passato – un incontro con Michael Cimino appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Come vi immaginereste Michael Cimino, regista de Il cacciatore e I cancelli del cielo? Questa domanda mi occupa la mente, mentre me ne sto seduto con una birra nel cortile dell'elegante Cinema Lumière di Bologna ad aspettare l'arrivo del celebrato cineasta americano. Una domanda, sì, perché non ho idea della risposta. Esistono fotografie che lo ritraggono sul set de Il cacciatore, pettinatura gonfia come ci si aspetta si addica ad un regista cinematografico negli anni '70 (e poi non così lontano da come appere Christopher Walkien ne Il cacciatore), ma, a tutti gli effetti, il regista americano si è ritirato dall'immagine pubblica dopo il tragico fiasco de I cancelli del cielo. In un certo senso. In realtà ha diretto altri film, come L'anno del dragone, senza infamia e senza lode da parte della critica, a confronto con i due film precedenti. Ha anche scritto un romanzo, Big Jane, che, secondo alcune dichiarazioni del 2001, avrebbe intenzione di sceneggiare e trasformare in un film. Eppure, l'interesse generale rimane pur sempre focalizzato su quei due film coraggiosi, che hanno fatto e disfatto il suo successo. Che apparenza avrà? Sarà ingrigito e appassito dal suo viaggio dedaleo tra fama e infamia?

La partecipazione di Cimino all'annuale festival del Cinema Ritrovato a Bologna è attesa con impazienza. E', come si dice in Italia, un 'grande'. Una leggenda del cinema. Nato, ufficialmente, nel 1943 (si rumoreggia che sia nato qualche anno prima), Cimino si affaccia al mondo della cinematografia come sceneggiatore ed è menzionato nei titoli di coda dell'importante film di fantascienza 2002: la seconda odissea e nel secondo episodio della saga dell'ispettore Callaghan di Clint Eastwood, Una 44 Magnum per l’ispettore Callaghan. Ed è stato proprio Eastwood a lanciare il newyorchese come regista, essendo stato favorevolmente impressionato dal suo lavoro nel film sull'ispettore Callaghan. Una calibro 20 per lo specialista del 1974 ha avuto un ragionevole successo, e si trasformò in un film cult. Dopodiché diresse Il cacciatore, premiato con l'Oscar per Miglior Film, un successo di critica e di botteghino che rese Cimino uno dei registi più richiesti di Hollywood. Il film successivo, I cancelli del cielo, avrebbe distrutto questo successo e mandato in bancarotta uno Studios di Holywood allo stesso tempo.

La pace del tardo pomeriggio è improvvisamente spezzata dal subitaneo arrivo di tre eleganti macchinoni neri dai vetri oscurati. Si fermano in sterzata, lentamente, e da una di esse esce questa figura medio-piccola, vestita con un completo in terra di Siena e il cappello da cowboy più impressionante/ridicolo mai visto al di fuori dei confini texani. Il Michael Cimino version 2005 è arrivato.

Da vicino, il viso è oscurato sia dal cappellone, che lo rimpicciolisce, sia da un paio di occhiali da sole scuri, che devono rendere la penombra all'interno del Lumière simile al lato scuro della luna. Non se li toglierà neppure per un momento.

“Sono veramente orgoglioso di aver ceduto una copia della mia sceneggiatura di lavoro personale de Il cacciatore alla biblioteca di Bologna,” osserva, mentre studia l'interno del cinema, le labbra quasi immobili. La pelle del viso appare stirata; la mandibola sembra muoversi autonomamente. Forse è maleducato, ma mi viene in mente Michael Jackson…

Il regista è qui sia per presentare il suo capolavoro del '79, Il cacciatore, sia per tenere una lezione agli studenti di cinema dell0università di Bologna. “Uno dei motivi per cui mi sono offerto di tenere questi seminari è, se posso essere volgare per un momento, che credo che gli studenti siano stufi di stronzate,” dice sorridendo. “Mi piacciono i film, – continua, – mi piace la parola movie [N.d.T.: film in inglese], perché è questo che sono, 'in movimento'. Il cinema è un'altra cosa. Quando smetti di muoverti, sei morto. Troppe sciocchezze sono state propinate agli studenti in merito a tecniche, ruoli, riguardo a così tante cose che non hanno nulla a che vedere con il cuore di un film. Dobbiamo riprenderci, gli studenti devono riprendersi la loro parte spirituale; anche se questo può sembrare pretenzioso, o persino ridicolo, è verissimo.”

Il cuore di un film. Questo è ciò che interessa a Cimino, e come arrivarci. “Prima di iniziare ad obbedire a delle regole, bisogna romperne,” dice enfaticamente. “Ho diretto Il cacciatore da giovane. Se avessi frequentato una scuola di cinema prima di fare questo film, non lo avrei mai fatto. Avrei avuto troppa paura. A tutt'oggi le mie assistenti mi dicono, 'Michael, questo non può funzionare. Stai andando al di là della linea della visuale'. Io ancora non ho idea di cosa sia la linea della visuale!”

Forse però è finita l'era in cui i film potevano essere fatti facilmente rompendo le regole. Si potrebbe insinuare che l'epoca del rischio su grande scala, con la benedizione dei magnati hollywoodiani, sia stata terminata, pur se involontariamente, da registi proprio come Cimino. I cancelli del cielo rimane un argomento elusivamente tabù per la serata.

“Non c'è neanche un centesimo di denaro di Hollywood in questo film,” dice a proposito de Il cacciatore. E' come se, anche se nessuno glielo chiede, le recriminazioni riguardo a I cancelli del cielo continuassero a ronzare sotto al cappello da cowboy. “Tutto il finanziamento proveniva da una società inglese [EMI]. Coprirono tutti i costi, poi, una volta completato il film, lo misero all'asta per il miglior offerente e se lo aggiudicò la Universal. Mi auguro che possiate guardarlo con cuore, occhi e mente sinceri,” implora il pubblico riunito nel cinema.

Il film, la pellicola più emblematica di tutte, fu distribuito tra le controversie. Vincitore di cinque Oscar, compresi quelli per miglior film e migliore regia, il film causò anche il ritiro delle nazioni del Patto di Varsavia dal Festival del cinema di Berlino, in solidarietà con 'l'eroico popolo vietnamita'. Il ritratto dei Vietnamiti, in particolare nelle famose scene della roulette russa (di cui non ci fu nessun caso documentato) fu criticato e tacciato di razzismo.

“Sforzatevi di non trovare del simbolismo nel film, perché non ce n'è. Non c'è alcun programma politico nel film,” ribadisce Cimino. “E neanche riguarda la guerra del Vietnam. Tratta di quel che accade quando una catastrofe si abbatte su di un gruppo di amici, vicini tra loro quanto una famiglia, in un paese minuscolo. Questo film parla delle persone. Semplicemente delle persone. Vorrei veramente esortarvi a prenderlo in questa maniera. E' la storia di un gruppo di amici.”

Effettivamente, mentre non si può certo negare che i personaggi vietnamiti ritratti nel film siano degli stereotipi monodimensionali e sadici, il film ebbe una tale risonanza anche per il ritratto che fà di questo gruppetto di amici. Quantunque il dialogo sia sporadico, il film parla a fiotti. “Credo che uno dei motivi per cui il film mantiene una sua vitalità, per la mancanza di una espressione migliore,” spiega, “sia il fatto che agli attori fu chiesto di impegnarsi così tanto. A tutti gli interpreti fu chiesto di andare al di là di loro stessi., di fare cose che non avevano mai fatto in precedenza.
Questi tizi, io li ho fatti dormire in quelle uniformi, senza mai fargliele levare di dosso, asciutte o bagnate, per un mese intero. Non si sono mai sbarbati, mai un bagno, come succede in guerra. Mica puoi fare una doccia calda tutte le sere. Piccoli dettagli come questi. Ognuno di loro si è lasciato inspirare da quello che facevano gli altri. Fu un'occasione rara.”

“Sono orgoglioso di affermare che non ci sono effetti speciali in questo film,” continua il regista. “Non ci sono trucchi digitali. Quando si vedono novemila profughi di notte in una Saigon in fiamme, quelle sono novemila persone nella notte. Sul serio. Quando si vedono gli attori che saltano giù da un elicottero, quelli sono gli attori. Quando li si vede galleggiare sul fiume aggrappati ad un tronco, quelli sono loro. Lo so perché io ero nel fiume con loro, a reggere un'estremità della zattera perché continuava a sollevarsi e il tronco era così pesante da minacciare di romperla. Tutto quello che ho chiesto loro, gli attori me l'hanno dato.”

In un certo senso, per Il cacciatore l'intero pare essere più grande della somma delle parti, il prodotto di una rara combinazione di talenti che collaborano. “Girare un film non riguarda la propria ispirazione, la propria emozione. Girare un film non ha a che fare con la propria soddisfazione personale., “dice Cimino tutto eccitato. “E' anche ispirare altre persone a fare quel passo in più. Io sono convinto che ognuno desidera ardentemente, ed quello che intendo dire, desidera ardentemente un momento di trascendenza dalla vita reale. Quando questo si verifica sul lavoro, è come prendere la miglior droga al mondo. Quando si finisce di girare, le riprese terminano e tutta la troupe, gli attori, i tecnici, tutti lo possono sentire, e puoi quasi vederli lievitare dal terreno!”

Ascoltare Cimino parlare è una sensazione intensamente nostalgica. Dopotutto è qui per parlare del passato, non del presente o del futuro. Il suo discorso è pieno di fantasmi che vanno e vengono. Lui, forse più di ogni altro regista, ha fatto I suoi errori in pubblico, e per ogni convinta affermazione di cosa un film debba essere, c'è sempre un accenno di dubbio. Come se filtrasse attraverso le critiche accumulate durante la sua carriera.

Alla fine però forse è lui il peggior critico di se stesso. Il cacciatore, è meritatamente entrato nel pantheon dei film più grandi di tutti i tempi. Col passare del tempo, I cancelli del cielo è stato rivalutato in chiave positiva, a dispetto dei suoi eccessi. In breve, col passare del tempo, la reputazione di Cimino è stata riabilitata, come dimostra la fervida e lunga fila di aspiranti registi/sceneggiatori che si sono riuniti qui questa sera per accogliere il grande regista newyorkese con riverenza.

All'abbassarsi delle luci, Cimino chiede di andarsene. “Quello che mi viene in mente adesso è quanto avrei potuto far meglio [con la regia del film]. Ci sono così tante cose che mi piacerebbe poter aver fatto meglio. Questa è una delle maledizioni del rivedere uno dei propri film, perché si tende a vedere solo gli errori. Si vedono i punti in cui ci è lasciati andare. Dove magari l'energia è calata. Magari eri stanco, avresti dovuto pretendere da te stesso qualcosa in più, avresti potuto fare le cose in maniera diversa. Questoa è la ragione per cui in effetti è doloroso. Altrimenti mi piacerebbe sedere a vedere il film con voi, ma non posso. Già dalla prima scena mi verrebbe da pensare 'Oh, avrei dovuto spostare la cinepresa qui' e così via.”

E così, con un sorriso 'stirato', gli occhiali scuri e il suo cappellone, Michael Cimino torna a rifugiarsi nel proprio passato.

The post In lotta con il passato – un incontro con Michael Cimino appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/in-lotta-con-il-passato-un-incontro-con-michael-cimino/feed/ 0 991
Divertitevi con la sincerità psicadelica di Devendra Banhart! https://www.threemonkeysonline.com/it/divertitevi-con-la-sincerit-psicadelica-di-devendra-banhart/ https://www.threemonkeysonline.com/it/divertitevi-con-la-sincerit-psicadelica-di-devendra-banhart/#respond Sat, 01 Jan 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/divertitevi-con-la-sincerit-psicadelica-di-devendra-banhart/ La voce mi è giunta da Barcellona, dal direttore dell'edizione spagnola di Three Monkeys Online , “hey, hai sentito parlare di questo tizio, Devendra Banhart? Qui ne parlano tutti, dovresti tenerlo d'occhio!” Detto fatto, in men che non si dica mi sono ritrovato seduto qui, piacevolmente perplesso, ad ascoltare il suo ultimo disco, il secondo, […]

The post Divertitevi con la sincerità psicadelica di Devendra Banhart! appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
La voce mi è giunta da Barcellona, dal direttore dell'edizione spagnola di Three Monkeys Online , “hey, hai sentito parlare di questo tizio, Devendra Banhart? Qui ne parlano tutti, dovresti tenerlo d'occhio!” Detto fatto, in men che non si dica mi sono ritrovato seduto qui, piacevolmente perplesso, ad ascoltare il suo ultimo disco, il secondo, Rejoicing in the hands, con le sue ambientazioni acustiche, il falsetto particolare di Banhart e i suoi caustici versi. Mi sono fatto intrigare e l'ho contattato per vedere un po' chi fosse questo Devendra Banhart. A posteriori, è stato probabilmente un po' ottimistico aspettarsi che qualcuno che ha scritto canzoni tipo This beard is for Siobhan [Questa barba è per Siobhan] e Tit smoking in the temple of Artemis [Un imbecille che fuma nel tempio di Artemide] rivelasse poi troppi particolari in un'intervista condotta tramite email, sebbene le sue risposte nel complesso aggiungano tutta un anuova gamma di sfumature al concetto di 'ellissi'. Ma noi non ci siamo arresi, e Three Monkeys Online ha il piacere di introdurvi ad un curioso genio – Devendra Banhart.

Nato in Texas nel 1981, gli fu dato un nome alquanto insolito, su suggerimento di una guida spirituale (niente a che fare con sette o stranezze, giura), nome che, sebbene sia relativamente comune in India, deve esser parso abbastanza strano ai texani, nonché in Venezuela, dove Devendra si trasferì, all'età di due anni, con la madre, in seguito ad una separazione familiare.

Non c'è dubbio che possedere un nome tanto strano abbia un suo effetto, magari, insinuo, in questo caso ha contribuito alla sua trasformazione in artista così particolare? “Mi ha aiutato a svillupare la mia parte femminile,” risponde, dopo essere stato scambiato per una ragazzina al suo ritorno negli Stati Uniti a tredici anni. “E' questo che mi ha fatto iniziare con la musica e il canto: mi vestivo con gli abiti di mia madre e cantavo con una spazzola come microfono.”

A tutt'oggi Banhart, quando si rade, viene scambiato per una ragazza, a causa senza dubbio di nome, voce in falsetto e corporatura snella. “Non essendo gay, mi ha sempre dato una sorta di fiducia in me stesso che non so spiegare,” dice.Ha trascorso in Venezuela gli anni formativi, frequentando le scuole a Caracas, a detta di molti la città più pericolosa del sudamerica, un continente in sé non privo di violenza. E mentre magari ti aspetti che un tale ambiente turbolento incoraggi un amore per Sepultura o Motorhead, la sua musica non potrebbe essere più lontana da questo, richiamando alla mente suggestioni hippie e idealismo, e cantautori d0introspezione. Si eccita però quando gli chiedo del Venezuela, e se per esempio, segue ciò che accade là. “Il Venezuela era pazzasco,” risponde Banhart. “Non si può uscire dopo le otto di sera perché è troppo pericoloso. Non ti metti scarpe da ginnastica di moda, perché se qui ti possono derubare, là ti possono uccidere… E' andato a puttane! Veramente. Io l'ho visto [con enfasi]. La corruzione è OVUNQUE, persino nell'acqua da bere!” E' intrigante quando continua, “Hanno buttato fuori mio padre per essere un agente della CIA, quando non lo è. La mia famiglia non è benestante, io l'ho visto!!!”

La sua infanzia in Venezuela gli ha però regalato un bilinguismo che gli viene utile per cantare Todos los dolores [Tutti i dolori] in spagnolo, e per proporre un disco in tale lingua, Nino Rojo, che dovrebbe uscire verso la fine dell'anno [N.d.T: l'articolo originale è stato pubblicato sull'edizione di agosto 2004 di Three Monkeys Online]. C'è qualche differenza tra il comporre canzoni in inglese piuttosto che in spagnolo? “In una lingua è più facile essere [fà una pausa] più diretti, più schietti. In inglese divento più poetico. In spagnolo mi posso permettere di dire cose tipo 'il mare è bello e io ti amo' e pensare di cavarmela così”.

I suoi versi, se pur a volte bizzarri, sono il risultato di un lavoro appassionato: “Derivano tutti da ore e ore di revisione, di arrivare all'essenza, da un bloc-notes pieno di parole può uscire un verso singolo”. Questo è, almeno a mio avviso, parte del fascino [delle canzoni di Banhart]: nel bel mezzo di versi che paiono filastrocche o poesie infantili, vengono evocate alcune immagini bellissime e ammalianti, come ad esempio in The body breaks [Il corpo si spezza]:

The body stays and then the body moves on, and I'd really rather not dwell on when yours will be gone
[Il corpo rimane, poi il corpo si muove e va avanti, e io non vorrei proprio soffermarmi una volta che il tuo se ne sarà andato]

The post Divertitevi con la sincerità psicadelica di Devendra Banhart! appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/divertitevi-con-la-sincerit-psicadelica-di-devendra-banhart/feed/ 0 967
Quo vadis, Salvatores? https://www.threemonkeysonline.com/it/quo-vadis-salvatores/ https://www.threemonkeysonline.com/it/quo-vadis-salvatores/#respond Wed, 01 Dec 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/quo-vadis-salvatores/ “Io ero veramente stufo dopo 12 film” confida il vincitore del Premio Oscar Gabriele Salvatores, “che alla fine dei dibattiti si alzasse puntualmente una ragazza che dicesse 'Scusi, ho una domanda: perché non fà un film con una donna?'.” Il suo commento è sia scherzoso che serio al tempo stesso. Meglio conosciuto all'estero per il […]

The post Quo vadis, Salvatores? appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
“Io ero veramente stufo dopo 12 film” confida il vincitore del Premio Oscar Gabriele Salvatores, “che alla fine dei dibattiti si alzasse puntualmente una ragazza che dicesse 'Scusi, ho una domanda: perché non fà un film con una donna?'.” Il suo commento è sia scherzoso che serio al tempo stesso. Meglio conosciuto all'estero per il suo film Mediterraneo, i suoi film finora hanno mostrato soprattutto personaggi maschili. Dall'allegra compagnia di Mediterraneo, ai bambini attori protagonisti del suo ultimo film Io non ho paura, le donne sono state, in un certo senso, lasciate al di fuori.

Il fatto che avesse, fino al suo nono film, evitato di porre storie di donne al centro delle sue regie, aveva a che fare più con una certa consapevolezza delle proprie limitazioni che con una dose di sciovinismo strisciante. Per qualcuno che ha esplorato attraverso i suoi film i legami di amicizia e i cliché degli uomini, Salvatores era ben consapevole delle difficoltà per un uomo di raccontare una storia femminile: “Siccome il cinema per molti versi è ancora maschile – se vedete il numero delle registe e sceneggiatrici rispetto ai registi e sceneggiatori è decisamente inferiore – certe volte gli uomini, anche in buona fede, assolutamente, è capitato ovviamente anche a me, tentano di riprodurre un modello che hanno in testa, anche il più aperto possibile, il più democratico, ma alla fine sono le donne che devono parlare delle donne.”

Quo Vadis, Baby?, un romanzo noir della bolognese Grazia Verasani, si materializzò sulla scrivania di Salvatores quando lui e il produttore Maurizio Totti stavano lanciando una nuova casa editrice, la Colorado Noir. “Quando ho trovato questo libro, tra i primi letti per scegliere quale pubblicare, io ho capito che forse avrei trovato la storia per poter fare il primo film con una protagonista femminile”, spiega, “E l'ho potuto fare grazie proprio al fatto che fosse stata una donna [la Verasani, appunto] a creare questo personaggio”.

Il prodotto finito (evidentemente, accettò la sfida) è un thriller meditativo ambientato a Bologna, una città di portici oscuri che hanno ispirato migliaia di romanzi noir, tanto che scrittori tipo Carlo Lucarelli, autore di almost blue, hanno fatto coniato il termine 'scuola bolognese' di noir.

Racconta la storia di Giorgia, una donna sui quarant'anni, che ancora cerca di venire a patti con il suicidio della sorella, avvenuto 15 anni prima. All'inizio del film [Giorgia] riceve delle videocassette, che si rivelano essere una specie di video-diario registrato da Ada, la sorella defunta.

Allora, che tipo di personaggio è Giorgia, la prima protagonista femminile di Salvatores? Non sorprenderà il fatto che non sia una eroina cinematografica di tipo convenzionale. “Giorgia è una donna, diciamo, molto atipica nel panorama cinematografico. E' una donna che esce dagli stereotipi maschili”, dice il regista. “Vive sola, senza figli, politicamente molto scorretta, beve, va in giro da sola, sceglie lei i suoi uomini. La Verasani dice non cinica, ma a volte scostante, non cinica, ma a volte arrabbiata, e poi all'improvviso tenerissima”. Fà una pausa, poi continua: “C'è nella mitologia indiana una delle donne principali è Parvati, la moglie di Shiva. E' la moglie perfetta, tira su dei figli, canta, balla, cucina, fà bene l'amore – vorrei conoscerla,” scherza, “ma Parvati non è solamente questo. Quando si arrabbia si trasforma in un altro dio femmina, che si chiama Kali, che è esattamente l'opposto, è una distruttrice, tutta nera, con la lingua lunga che lecca il sangue delle sue vittime, una collana di teschi al collo, cioè proprio l'aspetto completamente contrario. Io credo che nel femminile convivano queste due cose, e che il maschile probabilmente dovrebbe smetterla di controllarle e invece imparare da uomo di proteggere la fantasia, libertà di queste donne”.

Per interpretare Giorgia, Salvatores ha scelto Angela Baraldi, cantante bolognese, al posto di un'attrice di professione. Una scelta un po' controversa, specialmente fra le attrici italiane, un po' una mancanza di riguardo verso le loro capacità. Ma è una scelta che Salvatores difende, pur restando sensibile alle critiche delle attrici snobbate: “spero proprio che le attrici italiane non si arrabbino, perché cercavo una donna e non un'attrice per interpretare questo ruolo. Ci sono,” continua, “in Italia degli attori e delle attrici molto bravi, credo soprattuto in una nuova generazione di attori tra i venti e i trent'anni molto interessanti. La protagonista qui ha quarant'anni, e quindi dovevo cercare in quella fasci lì e il problema era che si doveva pensare di trovare una persona che non avesse troppa tecnica recitativa, e che quindi sarebbe stata costretta a mettere in gioco sé stessa in qualche modo, la propria maniera di muoversi, … Chiedere ad un'attrice di fare un personaggio significa chiederle di entrare in un personaggio e quindi in qualche modo di fingere delle cose. Invece mi trovavo a conoscere Angela [Baraldi], la conosco dal '88 […] è stata la prima persona 'reale' che mi è venuta in mente quando ho letto il romanzo di Grazia [Verasani] e mi sono detto 'mi ricorda un pochino di lei, e allora perché non farlo fare a lei?'”

The post Quo vadis, Salvatores? appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/quo-vadis-salvatores/feed/ 0 963
Thunder, Lightning, Strike – Intervista ai The Go! Team https://www.threemonkeysonline.com/it/thunder-lightning-strike-intervista-ai-the-go-team/ https://www.threemonkeysonline.com/it/thunder-lightning-strike-intervista-ai-the-go-team/#respond Mon, 01 Nov 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/thunder-lightning-strike-intervista-ai-the-go-team/ L'album di debutto dei The Go! Team, Thunder, Lightning, Strike, ha avuto un impatto tanto immediato ed energetico quanto il titolo stesso suggerisce, con elogi che arrivano da ogni angolo della stampa musicale Britannica. NME, poco espansiva come al solito, li ha etichettati “una delle migliori band del momento”. Quindi, chi sono i The Go! […]

The post <I>Thunder, Lightning, Strike</I> – Intervista ai The Go! Team appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
L'album di debutto dei The Go! Team, Thunder, Lightning, Strike, ha avuto un impatto tanto immediato ed energetico quanto il titolo stesso suggerisce, con elogi che arrivano da ogni angolo della stampa musicale Britannica. NME, poco espansiva come al solito, li ha etichettati “una delle migliori band del momento”. Quindi, chi sono i The Go! Team? Sono l'ennesima band indie/rock che spera di far risorgere il lascito del Britpop/rock? “La stampa si aggrappa all'idea del classico gruppo indie/rock” dice Ian Parton, membro fondatore e principale autore delle canzoni, “composto generalmente sempre da quattro tizi con chitarre e l'idea che, non importa come i gusti musicali possano cambiare, non potrai mai battere una ballata rock a 4 corde. Ciò può anche essere abbastanza vero, ma a me non piace particolarmente.”

E infatti, i The Go! Team sono tanto lontani dalle ballate rock a 4 corde quanto si può immaginare. E' intuibile come la maggiore preoccupazione di Partonsia quella di guardare avanti piuttosto che indietro: “Penso che ciò che mi ispira a fare musica è vedere un territorio musicale inesplorato e cercare di arrivarci prima di chiunque altro” dice quando gli chiediamo cosa lo ispira a scrivere canzoni. Il loro suono, una combinazione di campionamenti e sensibilità per la musica dal vivo, è stato diversamente descritto come i Sonic Youth che incontrano i Jackson 5, o un Avalanches al femminile che intona motivi polizieschi degli anni '70. Il riferimento ai polizieschi è qualcosa che Parton ha già sentito, innumerevoli volte sembrerebbe. “Tutti dicono sempre che è come il tema di un poliziesco televisivo, cosa su cui non sono totalmente d'accordo” afferma, sebbene continui “Mentirei se non dicessi che l'emozione di una 'blaxploitation' [N.d.T. filone di film scritti, realizzati ed interpretati da afroamericani statunitensi], un episodio di Charlie Brown o un vecchio documentario sulla sopravvivenza non abbiano influito sui miei gusti musicali, e molte persone parlano in termini cinematografici quando lo descrivono [N.d.T: si riferisce all'album] – solitamente in modo troppo letterale per i miei gusti”.

E' innegabile tuttavia che c'è un cenno al passato, assorbito nel futuro, nella loro musica. Molto di ciò può essere spiegato dall'amore entusiastico che Parton ha per i suoni di produzione vintage: “Io sono anti nostalgia ma molti dei campionamenti vengono dalle decadi passate. E mi piace il vecchio stile di produzione –suoni schiacciati fino alla distorsione– questo è ciò in cui consiste il suono del soul nordico. Penso che la gente creda che siamo retrò perché associano gli ottoni con il passato. In realtà è solo che le trombe squillanti sono uno dei miei suoni preferiti.”

Trombe squillanti, blaxploitation e Northern Soul tutti insieme: sono questi gli elementi che danno l'idea su da dove vengono i The Go! Team? Non proprio, dato che i The Go! Team si sono messi insieme a Brighton. “Essere a Brighton non ha avuto alcun effetto su questo disco”, dice Parton. “potrebbe essere stato fatto da qualsiasi altra parte. Riflette semplicemente il tipo di musica che mi piace”. Continua, “Penso, tuttavia, che la musica dovrebbe richiamare il proprio paese d'origine. Uno dei motivi per cui sono meno soddisfatto è che credo che [l'album] evochi immagini americane. In parte a causa del fatto di essere cresciuti guardando i film e la TV americana, tutti credono che le trombe squillanti siano il suono di un inno yankee.” Si capisce dalle parole di Parton che parte del problema è l'identità data al disco dalle riviste, ma è qualcosa che ha voglia di cambiare nel prossimo album, “usare voci più britanniche nel prossimo materiale darà al Team un'impronta anglosassone.”

Le voci dell'album sono di 'Ninja', la loro cantante 'dinamite'. Si tratta di uno strano incrocio tra salmodie e i classici gruppi femminili degli anni '60, ma quanto sono importanti per Parton le voci nello scrivere canzoni? “Penso che usando la voce come uno strumento si dia più forza a ciò che fanno gli strumenti. Non sono molto interessato ai testi –solo che non dovrebbero essere merda e dovrebbero essere eccitanti. Mi piace come questo cantilenare incomprensibile sembri come se stessimo chiamando a raccolta il pubblico per prenderne parte.” Ma, mentre non è molto interessato ai testi, le voci sono un punto chiave del suono: “Spesso mi piace una canzone e poi il cantato arriva e rovina tutto. Ma quando hai le voci giuste la rendono 100 volte migliore. Mi piace l'idea di un lavoro vocale di gruppo”.

The post <I>Thunder, Lightning, Strike</I> – Intervista ai The Go! Team appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/thunder-lightning-strike-intervista-ai-the-go-team/feed/ 0 942
Tuttapposto? Sì, appostissimo: gli Aretuska alla conquista del mondo! https://www.threemonkeysonline.com/it/tuttapposto-s-appostissimo-gli-aretuska-alla-conquista-del-mondo/ https://www.threemonkeysonline.com/it/tuttapposto-s-appostissimo-gli-aretuska-alla-conquista-del-mondo/#respond Sat, 01 May 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/tuttapposto-s-appostissimo-gli-aretuska-alla-conquista-del-mondo/ Fondati nel 1999 da Roy Paci, giustamente soprannominato Il Padrino, gli Aretuska derivano il loro nome dalla città di Siracusa, l'antica Aretusa. La formazione è a prevalenza sicula, ma oggi, dopo diverse entrate e uscite, comprende anche un pugliese e quattro 'nordici'. Three Monkeys ha avuto modo di apprezzare il rocksteady siciliano e le coinvolgenti […]

The post Tuttapposto? Sì, appostissimo: gli Aretuska alla conquista del mondo! appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
Fondati nel 1999 da Roy Paci, giustamente soprannominato Il Padrino, gli Aretuska derivano il loro nome dalla città di Siracusa, l'antica Aretusa. La formazione è a prevalenza sicula, ma oggi, dopo diverse entrate e uscite, comprende anche un pugliese e quattro 'nordici'. Three Monkeys ha avuto modo di apprezzare il rocksteady siciliano e le coinvolgenti atmosfere degli Aretuska lo scorso dicembre al TPO di Bologna. Ma la forza di questa band non si esaurisce in ritmi scatenati, musica d'autore, testi impegnati. Roy e i suoi Aretuska sono impegnati in tante importanti battaglie su temi che spaziano dall'anti-proibizionismo al no-global all'integrazione razziale. Ma ora bando alle ciance e godetevi questa intervista con Roy Paci, realizzata lo scorso maggio via email, per problemi di impegni e di tempo.

Quali sono le origini del rocksteady siciliano??? Io sono Irlandese, e mi sembra fantastico, però anche strano

Non esistono esempi, che io sappia, di rocksteady siciliano prima dell’avvento dei miei Aretuska. Nel 1995 (periodo di militanza nei Persiana Jones e Mau Mau di Torino) ho per primo innestato nelle mie composizioni, di chiara matrice siciliana, il classico up-tempo (levare) di ispirazione giamaicana, attingendo alla indiscutibile sorgente dei padri del genere: gli Skatalities. Adesso devo dire che ci sono delle interessantissime realtà come i Kebana di Siracusa e i Cheech Skaos da Palermo, che tengono alto il livello della nostra terra.

A parte il rocksteady, cosa influenza gli Aretuska?

Un mondo musicale a 360 gradi! Non vorrei essere logorroico ma adoro descrivere tutte le disparate tendenze musicali che entrano in circolo soprattutto nel luogo dove siamo sicuramente tutti insieme: il furgone. Gaetano sfodera i suoi dischi di autori contemporanei come Varese o Stockhausen, Peppe, considerato il Django Reinhardt siciliano, inietta anche molto swing e tropicalismo sudamericano, Massimo è legato alla scena ska-core, ska-punk, venerando i Mad Caddies, Giorgio è il jazzista per antonomasia, Rude e avvolto nei suoi remix basco-beat stedymuffin, adoratore della scena spagnola, Josh è un mamboman grande conoscitore della musica exotica da Yma Sumac a Esquivel, Marco puntualizza sullo finetta del levare di classe e del suo essere salentino e infine Jah Sazzah segna il tempo con tutti i possibili aggiornamenti di nuovi riddim reggae e da dancehall. Io aggiungo un pizzico di musica per cartoni animati. Che ve ne pare?

Quanto pesano le vostre origini siciliane sulla vostra musica?

Tantissimo. Ma più che pesare, ci accompagnano tuttora, per mano, negli infiniti viaggi artistici e nella solarità che accomuna le persone della nostra isola.

Il vostro sito e i vostri concerti sono ispirati ai valori della non-violenza, della tolleranza e dell’ecologia. Quanto si riflette tutto ciò nei vostri testi? In altre parole quanta importanza date alla politica e all’impegno sociale?

Mi sembra personalmente naturale il fatto che l’impegno etico e sociale sia alla base di ogni nostra performance. E’ impossibile pensare di salire sul palco, suonare-cantare senza tenere in considerazione anche la realtà che ci circonda, brutta o bella che sia. Basti pensare lo stato attuale delle cose in Italia e lo scempio politico dell’amministrazione del Cavaliere per contrattaccare spontaneamente dando manforte dal palco alle classi operaie o deboli con le parole e con i fatti, con l’attuazione di concerti che fungono anche da raccolta fondi, vedasi recentemente il caso Melfi. Non mi interessa assolutamente chi degli artisti non lo fa, so solo che non potrei vivere in pace con me stesso se [non] considerassi il palco solo come una effimera costruzione per permettere al pubblico di vedere il concerto. Per molti artisti si trasforma in un podio o in un piedistallo dove poter pavoneggiarsi e sentirsi esseri onnipotenti di fronte al pubbico, per noi rimane un clima da strada e sul palco parlo come se fossi tra amici e tra la gente.

Se Tony Renis vi avesse invitato a San Remo, sareste andati?? E a Mantova?

Ho chiamato Tonuzzo e gli ho lasciato il posto da presentatore volentieri, raccomandandogli di ringraziare tutte le famiglie italo-americane che lo hanno portato al successo….A parte gli scherzi, non disdegno il festival, ma è stato meglio non farlo quest’anno e per quanto riguarda Mantova, non avendo avuto il minimo invito, non conoscevo a fondo la situazione che si era creata. Poi, in un secondo momento, parlandone con un fraterno amico collega che fa di nome Daniele Sepe, mi sono fatto un idea precisa e abbastanza schifata. Mi risulta difficile poter digerire il fatto che dapprima alcune case discografiche hanno negato la presenza ai loro artisti, poi con un giochetto abbastanza strano, sono apparsi tutti in piazza, giustificandosi dietro il nome di una tappa del Tora Tora Festival della Mescal, ma nello stesso giorno della manifestazione mantovana. Non vi sembra tutto così contorto?

[N.d.R.: Sì!]

The post Tuttapposto? Sì, appostissimo: gli Aretuska alla conquista del mondo! appeared first on Three Monkeys Online Italiano.

]]>
https://www.threemonkeysonline.com/it/tuttapposto-s-appostissimo-gli-aretuska-alla-conquista-del-mondo/feed/ 0 882