Divertitevi con la sincerità psicadelica di Devendra Banhart!

La voce mi è giunta da Barcellona, dal direttore dell'edizione spagnola di Three Monkeys Online , “hey, hai sentito parlare di questo tizio, Devendra Banhart? Qui ne parlano tutti, dovresti tenerlo d'occhio!” Detto fatto, in men che non si dica mi sono ritrovato seduto qui, piacevolmente perplesso, ad ascoltare il suo ultimo disco, il secondo, Rejoicing in the hands, con le sue ambientazioni acustiche, il falsetto particolare di Banhart e i suoi caustici versi. Mi sono fatto intrigare e l'ho contattato per vedere un po' chi fosse questo Devendra Banhart. A posteriori, è stato probabilmente un po' ottimistico aspettarsi che qualcuno che ha scritto canzoni tipo This beard is for Siobhan [Questa barba è per Siobhan] e Tit smoking in the temple of Artemis [Un imbecille che fuma nel tempio di Artemide] rivelasse poi troppi particolari in un'intervista condotta tramite email, sebbene le sue risposte nel complesso aggiungano tutta un anuova gamma di sfumature al concetto di 'ellissi'. Ma noi non ci siamo arresi, e Three Monkeys Online ha il piacere di introdurvi ad un curioso genio – Devendra Banhart.

Nato in Texas nel 1981, gli fu dato un nome alquanto insolito, su suggerimento di una guida spirituale (niente a che fare con sette o stranezze, giura), nome che, sebbene sia relativamente comune in India, deve esser parso abbastanza strano ai texani, nonché in Venezuela, dove Devendra si trasferì, all'età di due anni, con la madre, in seguito ad una separazione familiare.

Non c'è dubbio che possedere un nome tanto strano abbia un suo effetto, magari, insinuo, in questo caso ha contribuito alla sua trasformazione in artista così particolare? “Mi ha aiutato a svillupare la mia parte femminile,” risponde, dopo essere stato scambiato per una ragazzina al suo ritorno negli Stati Uniti a tredici anni. “E' questo che mi ha fatto iniziare con la musica e il canto: mi vestivo con gli abiti di mia madre e cantavo con una spazzola come microfono.”

A tutt'oggi Banhart, quando si rade, viene scambiato per una ragazza, a causa senza dubbio di nome, voce in falsetto e corporatura snella. “Non essendo gay, mi ha sempre dato una sorta di fiducia in me stesso che non so spiegare,” dice.Ha trascorso in Venezuela gli anni formativi, frequentando le scuole a Caracas, a detta di molti la città più pericolosa del sudamerica, un continente in sé non privo di violenza. E mentre magari ti aspetti che un tale ambiente turbolento incoraggi un amore per Sepultura o Motorhead, la sua musica non potrebbe essere più lontana da questo, richiamando alla mente suggestioni hippie e idealismo, e cantautori d0introspezione. Si eccita però quando gli chiedo del Venezuela, e se per esempio, segue ciò che accade là. “Il Venezuela era pazzasco,” risponde Banhart. “Non si può uscire dopo le otto di sera perché è troppo pericoloso. Non ti metti scarpe da ginnastica di moda, perché se qui ti possono derubare, là ti possono uccidere… E' andato a puttane! Veramente. Io l'ho visto [con enfasi]. La corruzione è OVUNQUE, persino nell'acqua da bere!” E' intrigante quando continua, “Hanno buttato fuori mio padre per essere un agente della CIA, quando non lo è. La mia famiglia non è benestante, io l'ho visto!!!”

La sua infanzia in Venezuela gli ha però regalato un bilinguismo che gli viene utile per cantare Todos los dolores [Tutti i dolori] in spagnolo, e per proporre un disco in tale lingua, Nino Rojo, che dovrebbe uscire verso la fine dell'anno [N.d.T: l'articolo originale è stato pubblicato sull'edizione di agosto 2004 di Three Monkeys Online]. C'è qualche differenza tra il comporre canzoni in inglese piuttosto che in spagnolo? “In una lingua è più facile essere [fà una pausa] più diretti, più schietti. In inglese divento più poetico. In spagnolo mi posso permettere di dire cose tipo 'il mare è bello e io ti amo' e pensare di cavarmela così”.

I suoi versi, se pur a volte bizzarri, sono il risultato di un lavoro appassionato: “Derivano tutti da ore e ore di revisione, di arrivare all'essenza, da un bloc-notes pieno di parole può uscire un verso singolo”. Questo è, almeno a mio avviso, parte del fascino [delle canzoni di Banhart]: nel bel mezzo di versi che paiono filastrocche o poesie infantili, vengono evocate alcune immagini bellissime e ammalianti, come ad esempio in The body breaks [Il corpo si spezza]:

The body stays and then the body moves on, and I'd really rather not dwell on when yours will be gone
[Il corpo rimane, poi il corpo si muove e va avanti, e io non vorrei proprio soffermarmi una volta che il tuo se ne sarà andato]

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