Si esce vivi dagli anni 2000? – Manuel Agnelli degli Afterhours a colloquio con TMO

Alla vigilia dell'uscita in Italia della sua ultima fatica, Ballads for Little Hyenas, in questa intervista-fiume, l'eclettico Manuel Agnelli, neo-papà, leader storico degli Afterhours, produttore, collaboratore di artisti di fama mondiale e, a sua volta, al suo debutto sulla scena internazionale, si confessa con Three Monkeys Online.

TMO: In due parole, per quelli che non vi conoscono, specialmente fuori dal territorio nazionale: che tipo di musica fate?

Manuel Agnelli: Il progetto è soprattutto rock, orgogliosamente rock. E' un progetto che esiste da più di 15 anni, perché il primo album degli Afterhours è del '90, ma il primo 45 giri è addirittura dell'87. Abbiamo cambiato formazione naturalmente tantissime volte, in 15 anni ci sono stati tantissimi cambiamenti. Cantiamo in italiano, dal 1995, cioè da Germi, prima cantavamo in inglese. Questo tipo di scelta è stato fatto soprattutto perché abbiamo visto che in Italia, da un certo periodo in poi, la scena stava crescendo tantissimo e noi ci sentivamo parte di questa scena e di questa crescita e ci sembrava grottesco continuare a cantare in inglese davanti ad un pubblico che non capiva quello che dicevamo. Dopo di che, il cantare in italiano è stata la chiave di volta per noi, ci ha dato un tipo di personalità che probabilmente prima stentavamo a raggiungere. Ultimamente abbiamo pubblicato un disco in tutto il mondo su licenza Mescal per la One Little Indian, sia England che Usa, che sono due etichette separate, anche se hanno lo stesso nome. Questo disco è praticamente la versione in inglese dell'ultimo nostro disco italiano che è Ballate per piccole iene.

TMO: Questa era la mia seconda domanda: come mai siete tornati all'inglese?

Manuel Agnelli: Siamo tornati all'inglese… in realtà non siamo tornati all'inglese. In realtà il disco è uscito prima in italiano, poi l'abbiamo tradotto in inglese, non è stata quindi una scelta etica o artistica. Semplicemente quando siamo stati stati contattati dalla One Little Indian, loro […] erano molto interessati a quello che facevamo noi, ci avevano già visto dal vivo e gli eravamo piaciuti molto, ci hanno chiesto se potevamo fare una versione inglese del disco perché quella era la discriminante per poter poi lavorare insieme o meno. Perché loro sono ancora convinti che l'inglese è ancora necessario per i dischi, per riuscire a lavorare su un progetto a livello internazionale. Poi quanto inglese finisca in un disco questo è un altro discorso. Il fatto di fare tutti i pezzi in inglese, invece che metterne alcuni in italiano, quella è una scelta nostra dettata da una certa [omegeinità] stilistica, se vogliamo. Per lo stesso motivo negli album in italiano non mettiamo pezzi in inglese. Per me questi 'accrocchi', diciamo, linguistici non funzionano artisticamente, per cui preferisco fare due album distinti che uno in due lingue. Per cui l'inglese non è stato ancora una volta una scelta artistica, però si è rivelata una soluzione molto divertente e anche molto creativa, perché in realtà cantare i pezzi in un'altra lingua li fa suonare in modo completamente diverso, almeno per la parte vocale, e sicuramente è stato molto, molto divertente riuscire a rifare un disco con il senno di poi, quindi apportando quelle piccole modifiche che ci sembravano necessarie anche nel suono.

TMO: Mi stai prevenendo tutte le domande: questa era la terza! Quello che volevo chiederti era proprio questo confronto fra le stesse canzoni cantate in italiano e in inglese. Forse nella versione inglese, in certe canzoni, sembri un pochino più … 'controllato'. Non so, la fisicità della voce è diversa. Secondo te è vero questo?

Manuel Agnelli: Mah, io lo descriverei in modo diverso. Diciamo che per certi versi io avevo sicuramente appreso meglio i cantati dei pezzi, perché ormai erano mesi che li cantavo e quando ho fatto la versione in inglese li ho cantati in maniera forse più naturale, anche più musicale. Un po' la lingua lo è, è inutile nasconderlo: l'inglese per il rock'n'roll è la lingua più musicale, la lingua su cui si è formato il genere, quindi è logico che suoni come nessuna altra lingua, per cui un po' è quello che aiuta a cantare con una certa naturalezza. Poi io avevo già cantato i pezzi per mesi, quindi sicuramente li ho cantati in maniera meno spigolosa. Questa è sicuramente una delle diversità maggiori che puoi riscontrare nella versione in inglese. E' anche vero che l'italiano ha altri vantaggi: intanto è la mia madrelingua, quindi penso di aver raggiunto una personalità nello scrivere i testi che comunque in inglese non ho, perché, anche se son stato seguitissimo dalla prima all'ultima parola, sia da Greg Dulli che da John Parish che soprattuto da Davey Ray Moor, che è l'ex-tastierista dei Cousteau – loro mi hanno seguito nella scrittura dei testi, nel cantato, nella pronuncia, in tantissime cose, producendo proprio la voce – nonostante questo, naturalmente, i testi sono riadattati in una lingua che non è la mia linguamadre, quindi ho dovuto ridimensionarmi nelle velleità di scrittura, questo è poco ma è sicuro. In più l'italiano penso che sia più originale, proprio perché poco sentito all'interno del rock, e quindi ha questo tipo di vantaggio, ma se parliamo di musica, di musicalità, di suono, l'inglese rimane ancora insuperabile, e probabilmente anche per quello mi sono divertito molto a ricantare i pezzi in inglese.

TMO: La versione in inglese delle canzoni è una semplice traduzione oppure c'è anche un'interpretazione? Cioè il nuovo disco è una nuova opera, un po' a sé stante, oppure è semplicemente la versione dell'italiano?

Manuel Agnelli: E' una via di mezzo, nel senso che i pezzi sono reinterpretazioni, non sono mere traduzioni, perché le traduzioni non funzionano. Abbiamo salvato tutte quelle frasi che erano forti anche in inglese, che suonavano bene e che erano forti anche in inglese. In questo mi sono fidato ciecamente dei miei collaboratori, che non sono solo madrelingua, ma anche grandi autori di canzoni, per cui sapevano, credo, il fatto loro. Anche se io l'inglese penso di saperlo piuttosto bene perché ho vissuto parecchio tempo a Londra e poi collaboro con loro da anni, per cui, insomma, ho occasione di parlarlo molto, molto spesso. Però al di là di quello, è chiaro che, se non sei madrelingua, le sfumature puoi anche perderle, quindi con loro abbiamo deciso quali frasi salvare; i titoli sono pressoché uguali perché funzionavano molto bene anche nella mera traduzione dall'italiano all'inglese e abbiamo cambiato, buttato via tutte quelle frasi che, anche se in italiano erano forti, in inglese non funzionavano allo stesso modo, cercando di mantenere sempre il contenuto del testo, perché ci tenevo che le canzoni parlassero della stessa cosa, di modo da non fare una versione in italiano che parlasse di una cosa, di un tavolo, e poi in inglese che parlasse di un pino. Io ho ancora nelle orecchie la canzone Ragazzo solo, ragazza sola di David Bowie in italiano, che è la traduzione di Space Oddity, uno dei suoi brani più famosi, che in italiano diventava una banalissima canzone d'amore. Non volevo che succedesse questa cosa qua, ecco. Con tutto il rispetto per Bowie che è un genio [si affretta a specificare, ridendo quasi nervosamente],
però in quel caso lì la traduzione aveva banalizzato parecchio la canzone per farla funzionare proprio come canzone. Volevamo che questo non succedesse, per cui abbiamo mantenuto il più possibile i contenuti dei testi, abbiamo lavorato sulle frasi forti e abbiamo riadattato il resto, però è lo stesso disco. Suona in modo molto diverso, la masterizzazione è radicalmente diversa, alcuni pezzi sono arrangiati in modo diverso, altri sono remixati, i cantati fanno comunque suonare in modo radicalmente diverso – penso che l'inglese sia un cantato molto più musicale ma il suono è molto più aggressivo dell'italiano – però il disco è lo stesso; c'è un pezzo in più, ma il disco è radicalmente simile all'originale, questo senza esserne una mera traduzione.

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