Si esce vivi dagli anni 2000? – Manuel Agnelli degli Afterhours a colloquio con TMO

TMO: Uno dei nostri consulenti quando preparavamo l'intervista riferendosi a Non si esce vivi dagli anni '80, voleva sapere se siamo ancora prigionieri degli anni '80. Secondo quanto avevi detto in un'intervista “ritornare agli anni '80 è un pericolo per tutti noi, perché vorrebbe dire tornare a vedere le cose in modo piatto e superficiale”. Secondo te c'è ancora questo pericolo nel 2006?

Manuel Agnelli: Sicuramente, [non esita, e aggiunge ridendo] anzi guarda… Per la Seconda Repubblica avevano detto che probabilmente avremmo rimpianto i politici della Prima Repubblica: forse avevano ragione, forse rimpiangeremo anche gli anni '80, perché un periodo più superficiale di questo [l'attuale] io non l'ho mai vissuto. Gli anni '80 erano sicuramente un periodo di edonismo reaganiano, di superficialità, di arroganza, arrivismo, carrierismo. Era un periodo molto difficile soprattutto per chi non aveva controllo della propria vita, quindi per esempio i ragazzi; io ero un ragazzo, ero uno di questi, di quelle persone non troppo abbienti, comunque una persona in difficoltà economica, sicuramente è stato un periodo molto difficile. Però per esempio nell'underground negli anni '80 sono nate cose meravigliose, c'era veramente una spinta a fare certe cose diverse, eccessive, e soprattutto uniche, originali e personali. Adesso questo tipo di spinta non lo vedo più, neanche nell'underground. C'è un appiattimento culturale allucinante, c'è una velocità e una quantità di informazione tale da cancellarne quasi l'utilità, nel senso che troppa informazione è non-informazione. La velocità di comunicazione ha purtroppo causato una velocità di analisi che non permette di fermarsi bene su quello che sta succedendo, sui concetti, sulle cose e spesso provoca appunto delle mostruosità. Anche la gente è abituata a ragionare così, a ragionare molto velocemente: se la soluzione non si trova molto velocemente, se ne trova un'altra. Per me… io non rimpiango tanto gli anni '80, ma gli anni '70, che sono stati mostruosi da un altro punto di vista, ma però erano molto più lenti: c'era proprio il concetto di analizzare le cose, di discuterle in modo analitico, in modo … qui sai dire più sereno… con le Brigate Rosse, il terrorismo, … [sorride e lascia in sospeso]. Sicuramente più approfondito, più approfondito sì: adesso c'è una superficialità pericolosa, perché non è neanche più passività e menefreghismo com'era negli anni '80. E' una superficialità invece attiva: c'è un sacco di arroganza nella gente che vuole pretendere di avere le soluzioni in mano senza averle neanche elaborate, pensate, e questa cosa si trasmette soprattutto alle giovani generazioni, e io lo vedo perché ne incontro tanti, di ragazzi, proprio tanti. E' una cosa terribile da vedere, dispiace molto. Internet ha fatto la sua parte in questo, perché internet è un mezzo meraviglioso di informazione, è un mezzo democratico di quelli allucinanti, però è usato malissimo dalla gente, è usato come valvola di sfogo, per cui i concetti che si trovano su Internet sono sempre molto superficiali [chiaramente non si riferisce ad un magazine di approfondimento come Three Monkeys Online…], poco sereni, poco eleborati, e Internet è inzuppato di questa melma. Questo dal punto di vista della comunicazione, poi c'è il lato musicale che forse è ancora peggio, perché Internet ha dato la possibilità a tutti di fare un disco e di metterlo in giro. Questa è una cosa meravigliosa, non è meraviglioso che tutti abbiano scelto di farlo. Tutti fanno un disco, la rete è intasata di produzioni, è difficilissimo andare a scovarne una buo
na, e non avendo filtri, non avendo alcun tipo di difficoltà da questo punto di vista, alla fine annulli il potere del mezzo, perché chiaramente con centomila dischi al secondo in giro, il fatto che tu metta il tuo disco su Internet non porta più a niente.

TMO: Come si può uscire da questa superficialità? La musica può fare ancora qualcosa?

Manuel Agnelli: [Con una risata quasi incredula] Acciderboli, che domandone! [si interrompe la comunicazione, mi richiama dopo qualche minuto – avrà chiesto l'aiuto del pubblico o usato la telefonata a casa?]. Penso che alla fine la musica rappresenterà un punto di riferimento, come ha sempre fatto. Il potere rivoluzionario della musica è un concetto molto romanticizzato, un po' eccessivo; però è vero che offrire un punto di riferimento vuol dire tantissimo, oggi, soprattutto perché i grandi punti di riferimento sono un po' caduti, quelli politici, quelli sociali. Si fa fatica a trovarne uno serio, vero. Chiaro che è molto generico dire 'la musica': c'è tanta musica e di tanta qualità e anche di contenuti molto diversi. Gran parte della musica potrà offrire un punto di riferimento importante.

TMO: Per quanto riguarda altre canzoni che ci hanno colpito: Bianca, La sottile linea bianca, La vedova bianca: il bianco è un colore-metafora particolarmente importante per te o è solo un caso?

Manuel Agnelli: No, è un caso. E' un caso perché … In realtà – boh – mi sono trovato a fare cose molto bianche ultimamente [ridacchia], però in realtà è un caso. E' un caso che ci siano due canzoni con 'bianco' nel titolo nel disco, anche perché è un bianco totalmente diverso, che vuol dire cose completamente diverse. Anche quando prima parlavi, non so, di 'sangue' e vocaboli come quello: non vado a cercare vocaboli particolari da infilare nelle canzoni, anche perché quelli poi sono standard del rock: quando parli di sangue, di lacrime, di queste cose qua, di [ironicamente] 'lapidi e fiori marci', alla fine sono veramente un po' il cliché del rock, non vado ad infilarci quel tipo di parole apposta, anzi … ne farei volentieri a meno, quando posso ne faccio a meno. Se però ci stanno bene, non ho preconcetto, non ho appunto l'idea contraria in testa: 'ah questo l'hanno già usato tizio, caio e sempronio, allora io non lo devo usare'. Non ho più neanche questo tipo di tensione, non mi interessa, scrivo veramente quello che ho bisogno di scrivere.

TMO: Per quanto riguarda i concerti dal vivo, di nuovo in una delle tue interviste precedenti hai detto che “il pubblico è una parte insostituibile di noi, perché il nostro progetto all'80% è un progetto live”. Secondo te suonare dal vivo è una sorta di autocelebrazione, un regalo che fate al pubblico o che altro?

Manuel Agnelli: Questa è una domanda molto difficile, molto interessante. Vorrei saperlo, vorrei poterti rispondere bene. In realtà suonare per noi non è mai stato 'fare un regalo al pubblico', non abbiamo mai suonato per il pubblico. Chiaramente uno non può far finta di niente, nel senso che comunque il pubblico ce l'hai davanti, reagisce in modo completamente diverso. Per quello è logico che questo influenza tantissimo il concerto; il pubblico è una componente fondamentale del concerto e mi sono accorto che, anche quando noi abbiamo cercato di mantenere un certo tipo di atmosfera, non dipendente dalla reazione del pubblico, poi era il pubblico a decidere qual era l'atmosfera del concerto. C'è molta gente che viene a vedere alcuni concerti nostri e magari ci trova un'atmosfera eccessivamente celebrativa – e questo sinceramente lo penso anch'io, sono d'accordo, talvolta – e chiaramente giudica quello che stiamo facendo noi per l'atmosfera che trova al concerto. In realtà noi sul palco non stiamo assecondando quelle cose, però è il pubblico che comanda, in quel caso. Cerco di spiegarmi meglio: quando abbiamo iniziato, noi eravamo un gruppo piuttosto 'disturbante' per il pubblico. Facevamo cose che erano atte anche disturbare chi veniva a sentirci. La reazione era o di stupore o addirittura di fastidio, di noia. Poi piano piano le cose si sono trasformate e adesso quello che prima era disturbante è diventato celebrativo. E' vero che ormai in Italia, basando la nostra attività 90% sul live, facendo cento-centoventi concerti all'anno e continuando a girare incessantemente, è difficile non cadere in quel tipo di celebrazione, perché [esita impercettibilmente] la routine è sempre dietro l'angolo, rifare le stesse cose diventa quasi inevitabile. Anche per questo il fatto di andare all'estero per noi è meraviglioso, perché all'estero non ci conosce nessuno, cominciamo da zero, abbiamo davanti un pubblico che viene ad ascoltare la musica prima di tutto, e a lasciarsi coinvolgere da una tensione molto naturale. Non viene a celebrare, non viene a fare festa, non viene a cantare in coro prima di tutto, ma prima di tutto viene ad ascoltare. E le date che abbiamo iniziato a fare ora all'estero sono state meravigliose anche per quello: siamo riusciti a suonare ripartendo da zero. Mi viene in mente, non so se ti ricordi, quando andavi in vacanza a scuola, i tre mesi di vacanza. E spesso andavi in vacanza e vivevi delle situazioni magiche, non so andavi a Londra, incontravi i tuoi amici e ti sentivi te stesso, finalmente libero di essere te stesso. Poi tornavi a casa e, nel giro di tre-quattro mesi, la classe, i compagni, la routine, la scuola ti riportavano a quel tipo di vita che in realtà può anche non piacerti. Noi ci stiamo vivendo un po' questo tipo di situazione: abbiamo una situazione all'estero che è un po' come andare in vacanza, un po' come liberarci di tutte le idee che il pubblico ha su di noi, che la gente ha su di noi, tutti i preconcetti, le idee fisse, e lì suoniamo veramente in libertà, lì ci sentiamo veramente noi stessi. Per contro, se qua le cose sono andate così bene e continuano ad andare così bene, lo dobbiamo al pubblico che viene ai nostri concerti, gli dobbiamo veramente tante cose… Questo non vuol dire che noi saliamo sul palco per sdebitarci col pubblico, perché sarebbe un rapporto veramente falso, sarebbe un rapporto veramente 'morto'. Dobbiamo avere la sincerità – chiamala anche arroganza se vuoi – di essere noi stessi anche davanti a persone che per noi contano tantissimo.

TMO: A proposito sempre di concerti live, è del 2001 il Tora! Tora!, il festival da te curato [festival itinerante che, con le sue tre edizioni, ha dato la possibilità ad alcune realtà alternative del nostro paese (tra cui artisti come Marlene Kuntz, Modena City Ramblers, Subsonica e Cristina Donà) di farsi conoscere al pubblico italiano]. Continuerà? Qual è il suo destino?

Manuel Agnelli: Anche quella è una situazione molto delicata, perché il festival ha avuto le prime tre edizioni, che sono state meravigliose, in cui una serie di musicisti ha espresso un'esigenza di un pubblico particolare. Adesso questo pubblico in parte è cambiato, si è rinnovato, è ringiovanito, e in parte è cambiato. Soprattutto è cambiata la generazione musicale. Non possiamo fare un festival sempre con gli stessi gruppi: l'abbiamo fatto e ha funzionato, però è chiaro che il festival deve diventare un megafono p
er far conoscere ad un pubblico più grande delle realtà un po' più nascoste, delle realtà che non hanno un pubblico. Allora abbiamo tentato nelle ultime due edizioni di trasformarlo in questa maniera e sinceramente i risultati sono stati un po' altalenanti. Primo perché da parte del pubblico c'è meno curiosità che in passato – sicuramente – nei confronti delle cose che non conosce. E poi anche perché la mentalità dei gruppi della 'nuova generazione' sicuramente non è la stessa della nostra generazione, quindi forse devono ancora crescere un po' devono perdere un po' di insicurezze, riuscire a mettersi in gioco un pochettino di più, per ritrovare quel tipo di atmosfera di complicità di scena che c'è stata nelle prime tre edizioni. Se il festival ha questi tipi di presupposti positivi, ovvero se riesce a esprimere qualcosa di sensato, che abbia un'unitarietà e che porti avanti un discorso comunque positivo per i gruppi, per la scena, per la musica, ha un senso. Sennò diventa semplicemente una passerella di canzoni e di gruppi su un palco e di questo non c'è una grande esigenza – adesso come adesso siamo pieni di festival. Quindi rimane questo dubbio qua, non so se mi sono spiegato bene, rimane il dubbio che il festival riesca a trasformarsi in qualcosa di nuovo rispetto a quello che è stato in passato. Se non succederà così, smetteremo di farlo.

TMO: A proposito dei tuoi progetti 'paralleli' al di fuori degli Afterhours, sto pensando ai tuoi lati di attore e scrittore che per ora sono senza seguito [Agnelli ha recitato in Lavorare con lentezza, è autore del libro Il meraviglioso tubetto, ha partecipato con Emidio 'Mimì' Clementi dei Massimo Volume a Gli Agnelli Clementi, spettacolo di reading itinerante]. Ti piace, non ti piace, lo rifarai, che significato ha avuto per te scrivere un libro piuttosto che una canzone?

Manuel Agnelli: Hai detto bene: 'un libro piuttosto che una canzone'. Ha lo stesso significato; è un modo di esprimersi che trova diversi sbocchi. E' chiaro che uno funziona più di un altro, uno è più naturale di un altro, e allora sviluppi più quello. Poi succede che lì le cose crescono e allora ti concentri su quello. Io mi sono concentrato sullo scrivere canzoni. In realtà mi diverto a fare qualsiasi cosa senza nessun tipo di pudore, perché non mi sento relegato in una categoria, con dei paletti molto stretti. Non mi interessa essere uno scrittore, non mi interessa essere un attore e non mi interessa essere un musicista: mi interessa esprimermi e divertirmi in tutti i modi possibili e immaginabili. Se mi chiederanno di fare il subacqueo, lo farò. Ci sono cose che non farei e infatti non le ho fatte quando me le hanno chieste, ma sinceramente voglio fare tutto quello che mi diverte, tutto quello che mi piace.

TMO: Hai qualcosa in particolare in cantiere oppure è solo in generale?

Manuel Agnelli: [Ride imbarazzato] No, ci sono, ci sono. In particolare adesso no, perché mi sono riconcentrato sul progetto Afterhours, anche tralasciando altre attività come la produzione di altri gruppi che in passato aveva preso molto del mio tempo, delle mie energie e che mi ha dato anche tantissimo [ricordiamo che Manuel è stato produttore per Cristina Donà, Pitch, Scisma, Massimo Volume, La Crus, Verdena, Marco Parente]. Gli After in questo momento mi stanno facendo divertire tantissimo, sono ridiventati proprio un progetto quasi adolescenziale. Siamo veramente 'invasati' in questo momento e quindi è lì che stiamo buttando tutte le nostre energie. In futuro non lo so, vedremo: se avrò bisogno di scrivere qualcos'altro e ci sarò la possibilità e la fortuna di fare qualcosa di decente, lo farò.

TMO: Come festeggerete il ventennale? Ormai ci siete…

Manuel Agnelli: Eh sì, ormai siamo lì, hai ragione acciderboli! Non lo so, forse lo festeggeremo sciogliendoci… [mi provoca].

TMO: Oh mamma mia, non dire così, che i tuoi fans…

Manuel Agnelli: [Ride] Sì, perché no? Non è male mettere un po' di pepe ogni tanto! Sarebbe un festeggiamento molto originale…


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