Sfatare il mito: cosa si cela dietro il traffico d'organi. Intervista con la professoressa Nancy Scheper-Hughes

“Parte del mio lavoro è far comprendere alla gente che non si tratta solo di una leggenda” dice la professoressa Nancy Scheper-Hughes parlando dal quartier generale della Organs Watch, un’organizzazione fondata nel 1999 che opera al di fuori dell’Università della California e ha centri di ricerca in una dozzina di paesi. I 'miti' che circondano il traffico di organi sono diffusi tanto nei paesi industrializzati quanto in quelli in via di sviluppo. Conosciamo tutti la leggenda urbana di quel turista che accetta un drink in un bar e si sveglia in una vasca piena di ghiaccio macchiato di sangue, con un taglio sul fianco ed un biglietto che dice “ti è stato asportato un rene: vai subito all’ospedale!”. Un’immagine drammatica che però non corrisponde completamente alla realtà. I ricchi turisti occidentali costituiscono il gruppo meno a rischio nel giro del traffico di organi. Quello più a rischio è costituito invece dalla popolazione povera che vive nelle baraccopoli o ai margini delle grandi città dei paesi in via di sviluppo.

L’origine e la storia dell’impegno della Professoressa Scheper-Hughes nello studio del traffico di organi illustrano i tanti malintesi che permettono a queste leggende di perpetuarsi. Una laurea in antropologia, il suo secondo lavoro più importante, seguito dalla pubblicazione di Death without Weeping, è stato un studio biennale che ha esaminato la violenza quotidiana in Brasile. Nel pieno di un clima estremamente violento, la professoressa Scheper-Hughes rimase perplessa di fronte alle preoccupazioni espresse dalle persone che intervistava: “Ero confusa. C’era molta violenza, c’erano squadroni della morte e organizzazioni paramilitari che avevano contatti nella polizia e con ex militari che portavano avanti una specie di pulizia etnica nei confronti dei neri poveri e dei bambini di strada”, ci spiega, “ma ciò di cui la gente della comunità voleva parlare era la enorme paura per la loro integrità fisica e per quella dei loro figli, la paura di essere rapiti da una mafia degli organi. Quella che si può definire la leggenda metropolitana sul furto degli organi”. Dopo la pubblicazione di Death without weeping, Scheper-Hughes ritorna sull’argomento e, partendo dal presupposto che “dove c’è il fumo c’è anche il fuoco” pubblica Theft of Life un importante articolo in cui afferma che “nella mente delle persone vi è stata una sostituzione simbolica, riguardo all’esistenza vera e propria di un mercato illegale e clandestino di bambini dati in adozione”. La Scheper-Hughes ha indagato e ha scoperto che molti bambini venivano adottati, per esempio, da proprietari di zuccherifici. “Molti di questi bambini erano malati oppure erano afro-brasiliani, alcuni avevano l’AIDS”, continua, “e la gente cominciò a chiedersi perché quelle persone volessero proprio quei bambini. Era ovvio che gli occidentali ricchi li volevano per i loro organi. Quindi c’era una certa logica in tutto questo”.

L’articolo suscitò un grande clamore e antropologi da tutto il mondo cominciarono a contattarla per farle sapere che avevano sentito storie simili nei loro Paesi. “Cominciai ad intravedere una specie di retroscena politico. La diffusione del mito legato al traffico di organi era caratteristica di quei paesi dilaniati dalla guerra civile o dal genocidio.” Studiando più a fondo l’argomento, Scheper-Hughes costruì una nuova teoria: “la si può considerare una sorta di testimonianza, seppur vaga e indefinita, da parte di persone non alfabetizzate ed emarginate, che non sono in grado di dimostrarla con i fatti ma che sanno che, sotto quei regimi che tollerano torture, sparizioni e cose di questo genere, la loro integrità fisica è a rischio”.

Nello stesso periodo è l’unica antropologa invitata a partecipare alla Bellagio Task Force, un’organizzazione che ha il compito di monitorare i trapianti, l’integrità fisica e il traffico internazionale di organi. Parlando con i medici, scopre ben presto che “all’interno del sistema le cose non sono chiare” e che la compravendita di organi è un fatto reale in paesi quali India, Cina (dove, a detta di certi chirurghi, le autorità espiantano gli organi dai prigionieri giustiziati per poi venderli. Scheper-Hughes ha parlato con un chirurgo di New York che ha usato organi di tale provenienza), Sud Africa, Brasile e Medio Oriente. “Parlando con i chirurghi ho scoperto che queste non erano solo supposizioni ma che era tutto vero e che il traffico di organi che coinvolge persone ancora in vita sta prendendo sempre più piede”. Comincia così una nuova fase della ricerca: “Cominciai dando ascolto alle dicerie, prima ancora di cominciare a cercare i corpi. Il mio intento principale è quello di far comprendere a tutti che queste non sono solo voci ma che succede veramente, anche se non nei modi previsti dalle dicerie. Credo davvero che questa voce sia stata diffusa dai chirurghi che si occupano di trapianti e che venga mantenuta in vita allo scopo di distogliere l’attenzione pubblica da ciò che accade veramente nel mondo dei trapianti”.

Organs Watch nasce come una piccola organizzazione umanitaria non governativa dedicata alla promozione di un programma di sostegno nei casi di violazioni dell’integrità fisica di popolazioni vulnerabili. Grazie alla sua attività è stata scoperta l’esistenza di una rete mondiale di traffico di organi e di tessuti dove, in alcuni casi, si rimuovono, senza previo consenso, organi e tessuti da cadaveri. Scheper-Hughes ha scoperto, per esempio, una rete incentrata sui tendini che partendo dalla Corea del Sud e finendo in America del Nord, si avvaleva di ambigue clausole legislative: “la maggior parte delle leggi sul trapianto di organi risale agli anni ’80 e si assomigliano tutte quante. Di solito negli obitori degli ospedali e nelle prigioni di Stato il patologo ha la facoltà di prelevare tessuti in eccesso da cadaveri non identificati e di spedirli a costi di analisi ragionevoli”. In questa rete estremamente intricata, i tessuti in eccesso acquistano sempre più valore ad ogni scalo e alla fine finiscono per valere 2.500 dollari al pezzo. I profitti diventato quindi considerevoli.

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