Il brutale assassinio di un uomo disarmato avvenuto in gennaio in un pub di Belfast per mano di un membro dell’IRA – poche settimane dopo che l’IRA aveva rapinato la Northern Bank – ha provocato un’ondata di sdegno e la pressante richiesta che l’IRA venga sciolta. La campagna internazionale per il processo agli assassini portata avanti dalla famiglia di Robert McCartney e le pesanti accuse senza precedenti dei repubblicani nei confronti dell’IRA, hanno messo Sinn Féin sotto pressione. Il 6 aprile, dopo sei mesi di incessanti critiche, Gerry Adams, il presidente di Sinn Féin, si è pubblicamente rivolto all’IRA affinché intraprenda “attività puramente politiche e democratiche”. Il suo discorso è stato definito da Martin McGuinness (che al pari di Adams è considerato membro del consiglio militare dell’IRA) un “momento decisivo” nella storia della repubblica. Ancora una volta si parla di cambiamenti sismici, disegni sulla sabbia, giochi dietro le quinte e altri clichès che hanno avvolto tutti, tranne i più tenaci osservatori dell’infinito processo di pace, in una opprimente nube di torpore. Alcuni sono più scettici, data soprattutto la fortuita coincidenza dell’annuncio con l’inizio della campagna elettorale generale. A partire dal 1990 il clima politico dell’Irlanda del nord si è trovato più volte ad un punto di svolta e ha vissuto momenti storici accompagnati, allo stesso tempo, da una crescente tensione e polarizzazione politica. John Hume e David Trimble hanno forse meritato il premio Nobel grazie alla loro leadership ma i loro partiti moderati non sono riusciti a tenersi stretto il loro elettorato.
Chi osserva da tempo la situazione della repubblica irlandese ha fatto notare che l’assassino di McCartney non sarebbe il primo grave fatto di sangue ad essere considerato un punto di svolta nella storia violenta della repubblica. Il precedente storico più noto fu l’omicidio di Kevin O’Higgins (avvenuto il 10 agosto 1927) assassinato da tre membri (“non autorizzati”) dell’IRA che incontrarono casualmente il Ministro della Giustizia mentre rincasava dalla messa domenicale. Le conseguenze di questo grave atto, avvenuto in un periodo di instabilità politica, quattro anni dopo la fine della guerra civile, contribuirono grandemente alla trasformazione della situazione politica irlandese.
Forte dello sdegno dell’opinione pubblica, il governo Cumann na nGaedheal di W.T. Cosgrave introdusse un decreto d’emergenza che costrinse Fianna Fáil, il partito astensionista di De Valera, a far parte del Parlamento del Libero Stato e ad accettare la legittimità di un accordo politico che i repubblicani avevano giurato di abolire all’epoca del trattato anglo-irlandese del 1921. Nel 1932 Fianna Fáil era salito al potere grazie al voto dell’elettorato irlandese che, non approvando i metodi violenti, sosteneva chiaramente il pacifico raggiungimento degli obiettivi repubblicani. Nel 1936 De Valera, all’epoca impegnato in quelle riforme che avrebbero trasformato il Libero Stato in una repubblica in tutto tranne che nel nome, mise le forze dello Stato contro i suoi ex compagni dell’IRA. Al termine della seconda guerra mondiale, il governo di De Valera, dopo aver giustiziato sei repubblicani, lasciato morirne tre di fame e internato un altro centinaio, si vantò di aver liberato la politica irlandese dalla violenza.
Benché i parallelismi tra la politica repubblicana caratterizzata dall’uso della violenza degli anni '20 e quella dell’ultimo decennio siano numersi, da un esame approfondito emerge un quadro assai più complesso. Un paragone tra le due epoche storiche dimostra in primo luogo che il cammino di Fianna Fáil verso la costituzionalità non fu così tranquillo come si crede e che Gerry Adams ha dovuto affrontare difficoltà molto maggiori di quelle del suo predecessore nel far adottare al repubblicanesimo metodi puramente politici. Spiega inoltre perché l’attuale leadership provvisoria, che si considera l’avanguardia di un movimento radical-popolare, si è dimostrata riluttante nel fare ciò che la comunità si aspetterebbe, ovvero sciogliere l’IRA e condividere il potere nel governare il paese.
Un utile punto di partenza sarebbe paragonare i percorsi di De Valera e di Adams, dal background repubblicano purista ai più oscuri meandri del compromesso. Ad un esame superficiale le somiglianze sono notevoli. De Valera, presidente di Sinn Féin a metà degli anni ’20, e Adams, presidente di Sinn Féin a metà degli anni ’80, si sono trovati in posizioni analoghe: entrambi erano a capo di partiti che si rifiutavano fermamente di essere parte di quello stato in cui si trovavano ad operare. Entrambi i leader erano più consapevoli, rispetto ai loro seguaci, del fatto che l’astensionismo politico e i metodi violenti dell’IRA avrebbero portato pochi vantaggi e contribuito all’isolamento politico. Come esponenti principali di un partito che credeva nei valori militari e che per tradizione guardava con un certo sospetto al compromesso politico, entrambi hanno avuto difficoltà nel persuadere i loro sostenitori della bontà del loro percorso politico. In particolar modo dovettero affrontare il fatto che il logico risultato di un tale processo – ovvero l’accettare un accordo separazionista che doveva la propria legittimità ad una legge del parlamento inglese invece che al primo Dáil [Nota del redattore: il parlamento irlandese] eletto dal popolo irlandese nel 1918 – era considerato dalla maggioranza dei loro seguaci come un tradimento nei confronti dei principi repubblicani.
Contrariamente alla loro immagine pubblica, entrambi i leader erano moderati e pragmatici piuttosto che intransigenti e radicali. Entrambi dovettero affrontare la sfida di convincere i loro sostenitori ad accettare quei compromessi che loro stessi non avevano mai accettato prima e per opporsi ai quali i loro seguaci erano morti o avevano ucciso. Quindi nel 1927 proprio mentre i nazionalisti pro trattato [Nota del redattore: nazionalisti che avevano accettato il trattato anglo-irlandese del 1921 che divideva il paese] e i legittimisti di Sinn Féin condannarono De Valera per aver accettato un compromesso per opporsi al quale i repubblicani avevano combattuto una guerra civile, i nazionalisti costituzionali di oggi e i dissidenti repubblicani mettono in dubbio l’utilità di tre decenni di violenza se il risultato finale è stato un accordo le cui linee generali erano state conseguite nel 1973. Come si è espressa la sorella di Bobby Sands, martire repubblicano morto durante lo sciopero della fame: “Mio fratello non è morto per ottenere degli organismi governativi transnazionali”. In entrambi i casi queste critiche hanno avuto scarso impatto sulla popolarità di entrambi i leader, il cui operato è stato sostenuto dal rispettivo elettorato. In entrambi i casi la loro credibilità era in parte dovuta al fatto che essi spacciavano i compromessi come una mossa strategica mirata ad una maggiore libertà piuttosto che come una riconsiderazione dei loro principi e in parte al pragmatismo, poco riconosciuto, del loro elettorato, più interessato alle ingiustizie subite che alle astratte teorie repubblicane.
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