Caos nelle città. Architettura, Modernismo e Crisi del Petrolio. Intervista a James Kunstler

Ho chiesto a Kunstler se le città 'riuscite' vengono pianificate o si sviluppano naturalmente. “Per lo più crescono 'organicamente' in un processo di auto organizzazione che si potrebbe definire come il processo detto 'emergenza'. Ma ci sono sicuramente parti della città pianificate in un processo consapevole e manifesto. Le piazze di quartiere di Londra e le rispettive case a schiera rientrano in questa categoria, così come le grandi avenues di Parigi risalenti ai tempi di Luigi-Napoleone (1848-1870), o elementi antecedenti come la Place de Vosges, un palazzo reale che occupa un isolato e ha una piazza nel centro. L'era industriale spinse le città ad una specie di ipercrescita che a volte era pianificata, altre era arbitraria. Naturalmente bisogna distinguere fra grandiosi schemi di disegno urbano svolti come progetti (ad es. Washington DC) e poi un insieme di standard e norme d'eccellenza (ad es. il movimento “City Beautiful” negli Stati Uniti, 1890-1930) che era più una questione di consenso fra architetti sulle pratiche migliori nel design. Il ventesimo secolo è stato sfortunato per quasi tutte le città, nel senso che virtualmente la crescita ha significato ipertrofia, o ipercrescita patologica. La tendenza suburbana è stata un fallimento in America e meno catastrofica in Europa, dove si è mantenuto il valore della vita cittadina per se”.

Kunstler descrive l'architettura come una professione scredit
ata in The City in Mind. (Il Centro Pompidou, scrive, è una “mutilazione” [39]). In questa intervista sfodera altrettanta intransigenza: “I più, inclusa gente intelligente ed istruita, sono consapevoli, nel profondo dell'animo, che gli edifici contemporanei abbiano reso loro la vita peggiore, non migliore. E di sicuro un simile disprezzo del contesto urbano fra gli architetti (gli architetti 'star' in particolare) ha peggiorato le cose. L'ideologia dell'architettura è stata fatta ostaggio dell'estrema entropia della nostra cultura industriale. La bruttezza che sommerge l'orizzonte urbano americano è per l'appunto entropia resa visibile. E con 'entropia' intendo la tendenza delle cose a condurre all'intorpidimento e alla morte. Le idee che escono dai circoli più illustri della teoria architetturale contemporanea sono totali assurdità, come l'idea che la novità dovrebbe ingannare l'interesse pubblico, o l'idea che la 'creatività' (cosiddetta) sia un metodo superiore all'emulazione di forme che si sono già dimostrate vincenti (quindi problemi già risolti). Personalmente considero alcuni degli architetti principali dei nostri giorni fra la gente più pericolosa al mondo”.

Per Kunstler una bestia nera speciale è Corbusier. “Il maggior contributo di Corbu alla distruzione dell'habitat umano è stato il suo odio virulento per le città e gli agglomerati urbani in particolare. I suoi scritti sono pieni di disprezzo per la vita di strada e la gente che la popola. Non sorprende quindi che egli eccelse nel trovare modi per distruggere queste indispensabili unità di design urbano. Corbu era il padre dell'idea della 'tower in the park' [N.d.T.: la torre in mezzo al parco], che negli Stati Uniti finì presto nell'esperimento fallito dei complessi residenziali popolari. I suoi contemporanei furono altrettanto dannosi. Walter Gropius fuggì dalla Germania e venne subito messo a dirigere il programma dei dottorati di ricerca di Harvard. Diede così inizio al processo per cui un Modernismo dispotico divenne l'unica modalità di design permessa nel mondo industriale. Il suo crimine più grave, oltre alla promozione del gigantismo su scala, è stato quel che l'autrice Wendy Steiner ha etichettato abilmente come 'l'esilio di Venere', intendendo che il carattere femminile è stato completamente estromesso dall'architettura: basta ornamenti, sensualità, curve ed emulazione di forme reperibili in natura. Abbiamo invece l'adorazione della Macchina, un'etica promossa dall'ultimo dei Tre Moschettieri Canonici, Ludwig Mies Van der Rohe, che è finito all'Illinois Institute of Technology”. Su questo punto Kunstler è particolarmente graffiante, con l'equiparazione di questo ethos a, per esempio, il sadomasochismo. “Questi personaggi ed i loro seguaci sono riusciti a togliere di mezzo ogni elemento umano dall'architettura, almeno l'architettura pubblica e monumentale, lasciandoci con un'eredità di edifici robot costruiti per nullità umane”.

Quando gli faccio notare che il gigantismo di Gropius mi ricorda l'architettura realista socialista risponde: “Il Gigantismo non è stato assolutamente un marchio di Walter Gropius. Il Gigantismo era il segno distintivo della civiltà industriale e di tutti gli architetti al suo servizio. Servivano edifici per attività organizzate su scala gigante, tutto dai palazzi di uffici di multinazionali a 60 piani a pareti gigantesche di pensionati studenteschi alle imponenti sedi della burocrazia statale. Il Gigantismo andava a braccetto con l'adorazione della macchina e delle sue forme, invece delle forme prese dalla natura, e fu anche un fenomeno abbracciato da quasi tutti i Modernisti iconici. Un'interpretazione più interessante sull'estetica del purismo della macchina di Gropius viene da E. Michael Jones, secondo il quale Gropius cercava di compensare il disordine della propria vita sessuale”.

Lo stesso Kunstler non ha una preparazione formale in architettura o in campi del design collegati. Gli chiedo se ha incontrato molto snobismo dai professionisti del mestiere. “Ho incontrato dello snobismo nelle scuole di architettura dove vado a tenere lezioni, ma i professori di architettura sono snob con tutti. Non mi sento preso di mira. Si occupano prevalentemente di difendere un'ideologia indifendibile, il Modernismo (con la maiuscola), che è stato estremamente dannoso per la razza umana. La loro professione è messa in dubbio. Il pubblico ne odia gli edifici freddi e inumani. Sono paranoici. Molti di coloro che insegnano sono proprio quelli che non potrebbero campare con l'architettura se ci provassero, perciò cercano conforto nel riparo della teoria e dell'ideologia, che procura un confortevole senso di superiorità a gente che non ha combinato nulla nella vita. Le prove della loro ideologia sono lì davanti agli occhi di tutti nelle città e cittadine americane: abbandono, rovine, e il disonore del regno pubblico”. La resistenza maggiore che Kunstler trova viene da gente con interessi acquisiti nell'espansione selvaggia delle periferie, mi dice. “ Ho girato in lungo e in largo il paese molte volte e la maggior parte della gente 'normale' è esasperata per quel che è accaduto alle cittadine e città. Si vergogna, è perplessa. E' molto riconoscente quando sente che non deve necessariamente essere così, che possono fare altre scelte (così come i funzionari pubblici)”.

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