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Colm McInerney – Three Monkeys Online Italiano https://www.threemonkeysonline.com/it La Rivista Gratuita di Attualità & Cultura Thu, 08 Dec 2016 08:16:06 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.0.21 110413507 King Kong https://www.threemonkeysonline.com/it/king-kong/ https://www.threemonkeysonline.com/it/king-kong/#respond Wed, 01 Jun 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/king-kong/ King Kong si sforza disperatamente di voler essere un'epopea, ma non è che un fallimento in questo senso. Ambientato in America all'epoca della grande depressione, il film si sviluppa in tre atti: la troupe cinematografica che veleggia verso Skull Island, le avventure sull'isola, e il drammatico finale a New York. Con una lunghezza di più […]

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King Kong si sforza disperatamente di voler essere un'epopea, ma non è che un fallimento in questo senso.

Ambientato in America all'epoca della grande depressione, il film si sviluppa in tre atti: la troupe cinematografica che veleggia verso Skull Island, le avventure sull'isola, e il drammatico finale a New York. Con una lunghezza di più di tre ore, procede lentamente e dolorosamente attraverso questo arazzo.

La prima ora è tutta occupata da Carl Denham (Jack Black) e la sua impresa di trascinare la sua troupe verso una misteriosa e segreta location. Il regista Peter Jackson non compie alcuno sforzo per spiegarci come mai metà America sia disposta a seguire quest'uomo in capo al mondo. Durante il loro viaggio verso Skull Island, siamo soggetti alla visione di folle che si accalcano attorno a vecchie mappe spiegazzate bisbigliando a proposito di malefici che si suppone avvengano nella location che stanno cercando di raggiungere. Il battello a vapore su cui viaggiano è un cliché galleggiante, inclusi il vecchio lupo di mare con un occhio solo e il mozzo birichino ma pieno di fervore, Jimmy. Per inciso possiamo notare la relazione abbozzata in maniera spaventosa fra Jimmy (Jamie Bell) e il saggio veterano Hayes (Evan Dexter Parker). A Jimmy sono offerti consigli del tipo “Devi istruirti, crearti delle opportunità”, il solito tipo di sciocchezze che si ritrovano in dozzine di melensi film hollywoodiani.

Ci presentano tutti gli altri personaggi 'umani'. Abbiamo Denham, in apparenza un temerario regista dotato di sensibilità artistica, ma in realtà fondamentalmente Jack Black strizzato in costumi anni '30 che dà un'interpretazione leggermente meno divertente del solito. Abbiamo lo sceneggiatore Jack Driscoll, che deve apparire distaccato e misterioso, ma che sembra semplicemente un idiota scialbo ed insulso, probabilmente perché interpretato da un idiota scialbo ed insulso, Adrien Brody, che pare essere convinto che sia sufficiente sussurrare e aggrottare le sopracciglia per diventare un attore serio. Abbiamo altri attori e aiutanti di bordo che emergono ma senza offrire nulla allo svolgersi della trama. L'unica salvezza, e intendo dire esattamente questo: unica, è Ann Darrow (Naomi Watts), la giovane attrice in carriera che conquisterà il cuore di Kong. Solo lei riesce ad illuminare la scena, se pur questa non sia un'impresa ardua quando è circondata da pezzi di legno.

Il nocciolo del film è rappresentato, ovviamente, dall'incontro conKing Kong su Skull Island. Sebbene la sua apparizione sia una delusione tremenda, a causa del tentativo di Jackson di aumentare la tensione nell'attesa di incontrare Kong, tentativo che occupa metà del film, e del fatto che tutti abbiamo visto i trailer. Il film scade ora ad una serie di sequenze d'azione, che più o meno si fondono in un'unica macchia sfuocata. L'amicizia di Kong e Ann, e praticamente qualunque scena che coinvolge il gorillone sono le uniche parti guardabili del film. Il tutto frammezzato da attori che blaterano insensatezze e le solite stupidaggini mentre combattono contro dinosauri, ragni giganti e indigeni turbolenti. Infine Kong viene catturato e trasportato a New York, dove si protrae la scena della sua morte.

King Kong è un film talmente brutto che sembra incredibile che duri più di tre ore. La trama avanza a stento. La sceneggiatura è goffa e forzata. C'è una totale mancanza di senso dell'umorismo, il che è un disastro in quanto non c'è neppure un minimo di dramma. La recitazione, con l'esclusione della Watts, non sarebbe fuori posto in Fair City [N.d.T.: soap opera irlandese ambientata a Dublino]. Manca interazione fra i personaggi, sostituita da banali scambievolezze fra le varie forme umane trascinate sul nostro schermo da Peter Jackson. La storia d'amore fra Ann e lo sdolcinato Jack Driscoll non ha alcun fondamento e si cristallizza sullo schermo all'improvviso solo per soddisfare le esigenze sceniche. Qualcuna delel scene d'azione sono trppo simili a immagini computerizzate: stiamo guardando King Kong o giocando a Donkey Kong sul Super Nintendo? I primi piani sono frustranti; ci sono zumate continue su particolari raccapriccianti tipo teschi umani DOPO che la telecamera li ha già inquadrati di sfuggita in precedenza. E la colonna sonora? Sembra che il compositore di quella de Il Signore degli Anelli abbia preparato in fretta e furia qualche lato B per schiaffarlo qui.

Gli elementi positivi? Beh, King Kong stesso fa impressione e le scene delle sue lotte con i dinosauri sull'isola sono emozionanti, non fosse altro per quella in cui con la presa di testa fra il gorillone e il tirannosauro gigante. Alcune riprese panoramiche della nave e dell'isola sono bellissime, in quanto girate in Nuova Zelanda, come Il Signore degli Anelli. Il che ti fa morire dalla voglia di vedere invece che questo, uno qualsiasi di quella trilogia di film tanto migliori, e ogni tanto speri di vedere sbucare all'orizzonte un hobbit che ti riporti alla Terra di Mezzo. Anche King Kong che passeggia sulle strade di New York non è malaccio, ma pure in questo caso a Jackson serve il doppio del tempo per finire il film. King Kong è un film orribile. Se, in conclusione, si dovesse tentare di ricavarne un significato, non ce ne sarebbe alcuno. Certo, c'è l'intenzione di Jackson, qualcunque questa possa essere stata, ma neanche questa viene alla luce. Se è un film d'azione, è troppo noioso ed esagerato. Se si tratta di escapismo, riportatemi nel monmdo reale, ve ne prego! Se è un film dramamtico sull'abilità dell'uomo di distruggere tutto ciò che ama, bla bla bla, Jackson ha solo da vergognarsi. Come può il film persino tentare di narrare tale idea quando il suo cast orbita attorno al film come un nugolo di elettroni, senza neppure farsi minimamente coinvolgere?

King Kong è la dimostrazione di cosa può accadere quando resta un enorme vuoto tra premesse di un film e produzione finale.

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Il Trattato Anglo-Irlandese e la Guerra Civile Irlandese https://www.threemonkeysonline.com/it/il-trattato-anglo-irlandese-e-la-guerra-civile-irlandese/ https://www.threemonkeysonline.com/it/il-trattato-anglo-irlandese-e-la-guerra-civile-irlandese/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/il-trattato-anglo-irlandese-e-la-guerra-civile-irlandese/ Il Trattato È difficile capire come nel [gennaio del] 1922 tanti giovani irlandesi dotati di sensibilità assistettero senza alcuna commozione alla vista delle truppe britanniche che uscivano a passo di marcia dal grande arco del castello di Dublino mentre i nostri ragazzi, coi vestiti inzaccherati, entravano a testa alta per conquistare quella fortezza simbolo del […]

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Il Trattato

È difficile capire come nel [gennaio del] 1922 tanti giovani irlandesi dotati di sensibilità assistettero senza alcuna commozione alla vista delle truppe britanniche che uscivano a passo di marcia dal grande arco del castello di Dublino mentre i nostri ragazzi, coi vestiti inzaccherati, entravano a testa alta per conquistare quella fortezza simbolo del potere imperiale.

Dermot Foley1

Subito dopo la tregua, Eamon De Valera si recò a Londra. Rifiutò i termini che gli erano stati offerti e fece ritorno a Dublino. Gli irlandesi volevano una repubblica, gli inglesi invece erano disposti a riconoscere all’Irlanda nulla di più se non lo status di Dominio all’interno dell’impero. Durante i due mesi successivi una corrispondenza epistolare tra De Valera e Lloyd George tentò di trovare un punto di incontro tra le due parti. Nessuna di esse desiderava una nuova guerra. In questo periodo De Valera lanciò la proposta di una 'associazione esterna' che, per quanto confusa, fece intuire a Lloyd che gli irlandesi erano pronti a scendere a patti sulla piena indipendenza.

Lloyd George esortò De Valera ad inviare una delegazione ad una conferenza che si sarebbe tenuta a Londra l’11 ottobre 1921. De Valera selezionò un gruppo di persone, senza includere se stesso. Tra i rappresentanti governativi, anche i repubblicani più incalliti, quali Cathal Brugha, si rifiutarono di partecipare. Con una certa riluttanza, Michael Collins accettò di guidare la delegazione, indebolita da dissidi interni e dalla decisione di De Valera, presidente della repubblica irlandese, di non capeggiarla. I poteri dei negoziatori erano ammantati di ambiguità. De Valera concesse loro il titolo di 'delegati plenipotenziari', la loro posizione ufficiale, il che implicava che essi avevano il potere di stringere accordi con gli inglesi. Ma prima di partire i delegati ricevettero l’istruzione di comunicare con la madre patria prima di prendere una qualsiasi decisione. L’11 ottobre 1921 un piccolo gruppo di irlandesi intraprese il difficile compito di negoziare la libertà dell’Irlanda e di sottrarla al dominio dell’impero britannico. Di fronte a loro sedevano uomini della statura e del calibro di Lloyd George, Winston Churchill, Austin Chamberlain e Lord Birkenhead.

Dalla discussione emersero tre temi principali: lo status dell’Irlanda e la natura del suo legame con la Gran Bretagna, se l’Irlanda dovesse essere unificata o rimanere divisa, e le richieste della sicurezza e della difesa britanniche. Il problema della difesa fu risolto relativamente in fretta, in quanto l’Inghilterra manteneva il controllo su alcuni porti irlandesi. L’attenzione si rivolse quindi alle prime due questioni. A questo punto la delegazione irlandese era determinata, se si fosse reso necessario, a interrompere i negoziati relativamente al problema dell’Ulster mentre gli inglesi li avrebbero interrotti relativamente al problema dell’impero. James Craig, primo ministro dell’Irlanda del Nord, rifiutò l’ipotesi di un’Irlanda unita, appoggiato dalla gran parte del partito conservatore inglese, alcuni esponenti del quale erano membri del gabinetto di Llyod George. Alla fine quest’ultimo convinse la delegazione irlandese ad accettare un confine, ma aggiunse che sarebbe stata istituita una Commissione sui Confini allo scopo di definire i dettagli. Lloyd George strappò a Griffith una dichiarazione scritta in cui questi accettava la Commissione sui Confini, dichiarazione che venne in seguito prodotta con grande imbarazzo di Griffith. Egli fu costretto ad onorare la propria promessa e ad appoggiare l’idea della Commissione, il che implicava il fatto che la delegazione irlandese non avrebbe potuto sciogliersi a causa della questione dell’Irlanda del Nord. Lloyd George sottolineò con forza che, col tempo, la divisione sarebbe diventata a livello politico ed economico insostenibile per l’Irlanda del Nord. Alla fine la delegazione accettò l’esistenza della Commissione sui Confini e l’attenzione si concentrò sull’ultimo problema rimasto: i rapporti tra Irlanda e impero britannico.

Gli inglesi rifiutarono ripetutamente la proposta di 'associazione esterna' fatta da De Valera, e Lloyd George cominciò a discutere separatamente con Collins e Arthur Griffith un eventuale compromesso. Entrambi gli uomini sapevano che per gli inglesi solamente lo status di Dominio era accettabile e Lloyd George tentò di arrivare ad una soluzione. Il 30 Novembre fece pervenire alla delegazione ciò che descrisse come la versione definitiva di un negoziato, documento che la delegazione portò con sé a Dublino. Griffith, e in misura minore Collins, erano dell’idea che gli inglesi non avrebbero concesso di più mentre altri delegati ritenevano che si sarebbero potute ottenere maggiori concessioni. De Valera suggerì che, con opportuni emendamenti alla Costituzione, sarebbe ancora stato possibile un accordo ma cosa intendesse con questo non era del tutto chiaro. O l’Irlanda era pronta al giuramento di fedeltà alla corona britannica oppure no, e tutte le parole del mondo non sarebbero servite a nasconderlo. Non vi era alcun dubbio su come i delegati avrebbero reagito se Lloyd George avesse preteso da loro di accettare o rifiutare il Trattato senza consultarsi coi colleghi di Dublino o su che cosa fare se gli inglesi avessero minacciato di riprendere le ostilità nel caso in cui il Trattato non fosse stato firmato.

Una volta tornati a Londra De Valera impose ai delegati di adoperarsi ancora una volta per l’associazione esterna. Consapevoli che sarebbe stato un fallimento essi obbedirono senza troppa convinzione (Collins si rifiutò addirittura di presentarsi all’incontro) e l’idea di associazione esterna fu ancora una volta respinta dagli inglesi. Il 5 dicembre i negoziati volsero al termine. Griffith era pronto a firmare ma sollevò di nuovo la questione dell’Irlanda del Nord, poiché voleva ottenere da Craig un accordo sulla problema dell’unità. Lloyd George lo batté sul tempo producendo l’approvazione della Commissione sui Confini firmata da Griffith, il quale accettò di firmare senza riproporre il problema dell’Irlanda del Nord. Winston Churchill descrisse con queste parole la reazione di Michael Collins quando realizzò che Lloyd George aveva battuto Griffith in astuzia:

“Michael Collins si alzò con l’aria di chi stava per sparare a qualcuno, preferibilmente se stesso. In tutta la mia vita non avevo mai visto tanta passione e tanta sofferenza represse.”2

Anche Collins accettò di firmare, come il resto della delegazione, alcuni di buon grado, altri con riluttanza. L’offerta finale prevedeva per l’Irlanda lo status di Dominio. Il paese sarebbe stato conosciuto come il Libero Stato d’Irlanda e il re sarebbe stato rappresentato dal Governatore Generale. Tutti i membri del Dàil [il Parlamento irlandese] dovettero giurare fedeltà alla corona inglese. Perché Collins aveva accettato le condizioni del negoziato? Sapeva che l’IRA non era in grado di sfidare gli inglesi sul piano militare. Si erano limitati ad impedire che gli inglesi vincessero la guerra. Ma Collins sapeva che, se fosse scoppiata un’altra guerra, la scarsità cronica dell’IRA in fatto di uomini e di munizioni e la possente macchina bellica degli inglesi si sarebbero rivelate ancora una volta a scapito dell'IRA stessa. Se non avesse raccolto l'offerta che stava sul tavolo dei negoziati nel dicembre 1921, si sarebbe mai presentata un'occasione migliore per gli irlandesi? La sua natura pragmatica lo convinse che sarebbe stato meglio firmare.

Verso la guerra civile

Nella scorsa guerra contro gli inglesi siamo stati costretti a mettere nelle mani dei nostri soldati poteri più o meno illimitati.

Desmond FitzGerald3

La verità è che i nostri politici hanno fatto finta di governare una repubblica mentre i nostri soldati non sono morti per finta.

Richard Mulcahy, Capo di Stato Maggiore dell'IRA4

Il Trattato divise gli irlandesi. I suoi sostenitori lo consideravano un grosso risultato dopo la guerra anglo-irlandese, una possibilità di ottenere la pace in un paese libero, e, in un futuro, la possibilità di costituire una repubblica. Per i suoi detrattori esso era un tradimento che distruggeva il sogno repubblicano. Il gabinetto del Dàil era diviso a metà e quindi incapace di portare avanti una linea d’azione nei confronti del negoziato. Votò quindi a favore del Trattato, 64 a 57. Spesso durante i dibattiti in parlamento Griffith e Collins sostennero che il compromesso con il governo inglese era conseguenza della decisione di negoziare e che l’idea di una repubblica non era mai stata in programma. Una nuova guerra non era giustificabile per la differenza tra il negoziato e 'l’associazione esterna' e in ogni caso il governo inglese non avrebbe mai accettato l’associazione esterna, né nel presente né in futuro. Collins definì pubblicamente il Trattato come un trampolino per ottenere un’ulteriore libertà per l’Irlanda; nei circoli privati dell’IRB [Irish Republican Brotherhood, movimento indipendentista feniano risalente al secolo XIX] lo presentò invece come un mezzo per costituire un esercito irlandese che avrebbe alla fine costretto gli inglesi a cedere l’Irlanda del Nord5. Con estrema abilità, mentre approvava le condizioni del negoziato in veste di ministro governativo, e in seguito capeggiava l’esercito del Libero Stato, Collins fornì armi, in gran segreto, ad alcune unità dell’IRA del Nord le quali attaccarono alcune caserme di polizia, in aperta violazione del negoziato. Il 16 marzo del 1922 un gruppo di militanti dell’IRA del Nord dell’Irlanda furono catturati e con essi anche le armi fornite loro da Collins e provenienti dal governo inglese (il quale era naturalmente all’oscuro che le armi sarebbero servite a quello scopo)6. L’IRA era costretta ad agire nel nord del paese per proteggere le minoranze cattoliche che in certe zone venivano cacciate dalle proprie case da bande di lealisti, i quali temevano una potenziale riunificazione del paese.

Nelle campagne, benché divise, la maggioranza era favorevole al Trattato. La gente era stanca della guerra e voleva tornare ad una vita normale. L’entusiasmo per il negoziato era maggiore nelle aree rurali e imprenditoriali più ricche che si trovavano a est del paese. Vi era inoltre il sospetto che a Dublino stesse per essere istituito un governo centrale, inglese o irlandese che fosse, da parte di certi esponenti del Munster 7. L’IRA si divise tra favorevoli e contrari al negoziato; gli esponenti del GHQ [General Headquarters] erano pro negoziato (con alcune importanti eccezioni) mentre i comandi provinciali era contro. Gli uomini dell’IRA non avevano un’alta opinione di Sinn Féin e dei politici e, se Michael Collins non avesse firmato e appoggiato il negoziato, molto probabilmente neanche l’IRA l’avrebbe approvato. Nonostante l’influenza di Collins la maggior parte dell’esercito rimaneva contraria al Trattato. Richard Mulcahy, il nuovo ministro della Difesa che era succeduto a Cathal Brugha, anch’egli contrario, promise che l’IRA sarebbe rimasta fedele al governo. Ma l’esercito non aveva mai avuto potere sulle autorità civili e di sicuro non si sentiva più in dovere di obbedire ad un governo che aveva giurato fedeltà alla corona inglese. Lo storico Tom Garvin descrive così le differenze tra le due diverse facce di Sinn Féin: gli esponenti di spicco a favore del negoziato quali Collins, Cosgrave e O’Higgins tendevano a dare il meglio di sé nel “dirigere le cose” (ossia nell’amministrazione del paese) mentre quelli contrari eccellevano nell’ideale romantico di repubblica o nelle azioni militari su piccola scala8. Col tempo, l’amministrazione del Libero Stato d’Irlanda avrebbe sconfitto quell’ideale romantico al quale gli anti-Trattato erano così tenacemente attaccati.

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America: da colonia a superpotenza. Parte III: 1929-1960 https://www.threemonkeysonline.com/it/america-da-colonia-a-superpotenza-parte-iii-1929-1960/ https://www.threemonkeysonline.com/it/america-da-colonia-a-superpotenza-parte-iii-1929-1960/#respond Mon, 01 Nov 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/america-da-colonia-a-superpotenza-parte-iii-1929-1960/ L’ascesa di Franklin D. Roosevelt In una settimana, questa nazione, dopo aver perso fiducia in tutto e in tutti, l’ha ritrovata nel proprio governo e in se stessa [Walter Lippmann, sull’impatto del nuovo governo dei Democratici, 19321] Come riprendersi dalla crisi del 1929 era un problema che coinvolgeva l’intera classe politica americana. Gli interessi del […]

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L’ascesa di Franklin D. Roosevelt

In una settimana, questa nazione, dopo aver perso fiducia in tutto e in tutti, l’ha ritrovata nel proprio governo e in se stessa
[Walter Lippmann, sull’impatto del nuovo governo dei Democratici, 19321]

Come riprendersi dalla crisi del 1929 era un problema che coinvolgeva l’intera classe politica americana. Gli interessi del mondo della finanza, secondo cui gli Stati Uniti avrebbero dovuto mantenere il Gold Standard Act (N.d.T.:legge che prevedeva l’oro come valuta standard negli USA), trovarono un sostenitore nel presidente Hoover. Egli invocò l’intervento federale a sostegno delle banche e dell’industria, senza però potenziare il medesimo intervento anche a livello locale. La situazione era disastrosa: la disoccupazione era alle stelle, le famiglie pativano la fame e il crimine dilagava. Nell’estate del 1932 il partito repubblicano rinominò Hoover presidente e Charles Curtis vice presidente. I democratici scelsero il governatore di New York Franklin D. Roosevelt.

Roosevelt era un lontano parente di Theodore Roosevelt. Colpito dalla poliomielite nel 1921, rimase privo dell’uso delle gambe. La malattia non ostacolò però la sua carriera in politica che lo portò ad essere eletto governatore di New York. Roosevelt poté contare sul sostegno dei democratici tanto del nord quanto del sud, sanando così la spaccatura che divideva il partito dal 1924. Durante la sua campagna elettorale, mirata al recupero dell’economia, cominciò ad elaborare il New Deal. Promise il suo appoggio alle vittime della Grande Depressione, oltre ad una più severa regolamentazione dei servizi pubblici e al loro potenziamento a livello federale. Durante i suoi comizi elettorali rimase tuttavia nel vago, per non alienarsi il consenso delle maggioranze. Il fascino e l’eloquenza di Roosevelt erano in netto contrasto con i toni tetri e la visione pessimistica del presidente Hoover, il quale enfatizzò il suo impegno nel pareggiare il bilancio e nei confronti del Gold Standard Act e difese il suo operato attaccando senza scrupoli il suo avversario. L’opinione pubblica, però, non lo appoggiò. Roosevelt ottenne la carica e il radicalismo fu sconfitto (i socialisti ottennero 881,951 voti mentre i comunisti solo 102,785). Roosevelt conquistò oltre il 57% dei voti popolari vincendo il collegio elettorale per 472 a 59. I democratici ottennero anche una larga maggioranza in entrambi i Congressi. La fiducia accordata a Roosevelt, un netto segno di protesta nei confronti dell’amministrazione precedente, era un’evidente richiesta di cambiamento, anche se la natura di questo cambiamento non era chiara né agli elettori né al vincitore. Roosevelt conquistò anche l’ovest rurale e il sud, perdendo solo in sei stati, tutti nel nord est del paese.

Il New Deal

Confidiamo anche nel principio secondo cui molti uomini che possiedono poco costituiscono un mercato assai migliore di quello costituito da un solo uomo che possiede tanto e da tutti gli altri che non hanno niente.[The Blue Eagle from Egg to Earth, di Hugh Johnson, 1935, sul principio alla base del New Deal2]

Roosevelt fu influenzato dal progressismo e dall’operato dei suoi due predecessori, Theodore Roosevelt e Wilson. Era un sostenitore dell’intervento del governo nel migliorare le condizioni sociali generali e, grazie alla sua flessibilità, fu aperto ad alternative diverse. L’Agricultural Adjustment Act (A.A.A.) del 1933 stabilì che il ministero dell’Agricoltura incrementasse le entrate agricole controllandone la produzione. Agli agricoltori furono offerti appositi finanziamenti se avessero accettato di adeguare il loro raccolto al piano nazionale. Mentre la produzione cominciò, di conseguenza, a calare, i prezzi salirono. Il National Recovery Administration (il Ministero per la ripresa nazionale), istituito grazie al National Industrial Recovery Act, aveva lo scopo di abbattere la disoccupazione e rigenerare l’industria. Il 18 aprile del 1933 il presidente abolì ufficialmente il Gold Standard Act. Durante questi Cento Giorni iniziali dell’amministrazione Roosevelt, furono passati al vaglio del Congresso quindici importanti progetti di legge.

Questo flusso di intensa attività fece guadagnare al presidente la fiducia dell’opinione pubblica. Nelle elezioni del 1934 i democratici rafforzarono la loro influenza sul Congresso mentre ai repubblicani rimase il controllo di soli sette stati. Ma non tutto andava a gonfie vele. Nel 1935 l’economia era ancora sofferente e Roosevelt si trovò di fronte un potente avversario politico, ossia la Corte Suprema, che non riconosceva la costituzionalità dell’abolizione del Golden Standard Act e che, in svariate occasioni, si oppose ai piani di gestione del pubblico di Roosevelt. Inoltre la Corte Suprema riteneva incostituzionale il National Industry Recovery Act, in quanto concedeva eccessivo potere all’esecutivo. Benché il New Deal faticasse ad affermarsi, si assistette ad una rivoluzione costituzionale, in seguito alla quale il governo poté regolamentare legalmente l’economia.

Roosevelt cominciò a spostare il proprio interesse dal benessere della nazione alle riforme sociali. Il Congresso istituì il Work Progress Administration, che prevedeva un sussidio per i disoccupati. Il Wagner Labour Relations Act del 1935 regolamentò, tramite l’istituzione del National Labour Relations Board, il diritto del lavoro. Il Resettlement Administration fu invece istituito per riabilitare i piccoli proprietari terrieri, che non avevano beneficiato dell'A.A.A. Nell’agosto del 1935 il Congresso approvò il Social Security Act e, grazie al Social Security Board, istituì un piano nazionale di contributi ad anziani e sopravvissuti e un piano federale di indennizzo per la disoccupazione. Grazie a tutte queste riforme gli Stati Uniti si avviavano a diventare un vero e proprio stato sociale. Il New Deal si stava dimostrando provvidenziale per gli strati più poveri della popolazione e per le organizzazioni sindacali dei lavoratori.

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America: Da colonia a superpotenza. Parte II: 1876-1929 https://www.threemonkeysonline.com/it/america-da-colonia-a-superpotenza-parte-ii-1876-1929/ https://www.threemonkeysonline.com/it/america-da-colonia-a-superpotenza-parte-ii-1876-1929/#respond Wed, 01 Sep 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/america-da-colonia-a-superpotenza-parte-ii-1876-1929/ L’età d’Oro Il prezzo che la società paga per le leggi della competizione, come quello che paga per le comodità e il lusso, è alto ma i vantaggi di queste leggi sono ancora maggiori, perché è ad esse che noi dobbiamo il nostro incredibile sviluppo materiale, il quale porta con se’ una più elevata qualità […]

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L’età d’Oro

Il prezzo che la società paga per le leggi della competizione, come quello che paga per le comodità e il lusso, è alto ma i vantaggi di queste leggi sono ancora maggiori, perché è ad esse che noi dobbiamo il nostro incredibile sviluppo materiale, il quale porta con se’ una più elevata qualità della vita. Ma che queste leggi siano una buona cosa o meno, di esse dobbiamo parlare….Esse esistono, non possiamo ignorarle; non è ancora stato trovato nulla che le sostituisca; e anche se queste leggi sono, a volte, dure per il singolo individuo sono la cosa migliore per la razza umana perché assicurano la sopravvivenza del migliore in qualsiasi situazione.

[Wealth, Andrew Carnegie, 1889]1

L’Età d’Oro è il nome che fu dato da Mark Twain e da Charles Dudley Warner a quell’epoca della storia americana che va dalla Ricostruzione alla vigilia del XX° secolo. La definizione diede una pessima fama a questo periodo che fu caratterizzato da una sfrenata corruzione ma allo stesso segnò una tappa fondamentale nella nascita dell’America moderna. Fu un periodo di enormi cambiamenti in varie aree, inclusa la politica, gli affari, l’organizzazione dei sindacati, le questioni razziali, la cultura, il ruolo della donna, la tecnologia e la politica estera. Le grandi multinazionali cominciarono a dominare la scena economica. Le nuove tecnologie rivoluzionarono il mercato. Gli Stati Uniti crearono un mercato nazionale collegato dalle ferrovie, grazie alle quali furono potenziate la commercializzazione di massa e le linee per la produzione nazionale. Le severe direttive locali che per lungo tempo avevano dominato la cultura e lo stile di vita cominciarono a dare segni di cedimento.

Durante questo periodo, i Presidenti non avevano grande potere e il mondo della finanza strinse un’alleanza, reciproca e clientelare, con il mondo della politica, dando così vita alla cosidetta 'machine politics'. I capi dei partiti politici locali quali Tweed a New York imbrogliavano senza ritegno e compravano le elezioni, riuscendo anche a trarne profitto. In questo periodo la politica americana si giocava tra due partiti quasi alla pari, i repubblicani e i democratici. La percentuale dei votanti alle elezioni era più alta che mai. Il partito repubblicano contava su un’alleanza tra gli stati del Nord Est e quelli del Midwest, alleanza che era stata consolidata nel 1860 e che aveva combattuto e vinto la guerra civile. Il partito democratico era ancora più legato alla realtà locale di quanto lo fosse quello repubblicano. Le sue roccaforti erano il Sud e gli stati del Nord Est. Il presidente repubblicano Rutheford B. Hayes, cercò di aumentare il potere presidenziale di fronte al Congresso, costringendolo ad accettare le sue nomine per il Gabinetto. Licenziò due senatori di New York coinvolti nel sistema di patrocinio del sistema doganale e, nonostante l’opposizione del Congresso, mise al loro posto due suoi protetti. La determinazione di Hyes ad aumentare il potere e il prestigio dell’incarico presidenziale gli aveva procurato molti nemici ed era impossibile che il partito repubblicano lo sostenesse proponendolo per la rielezione nel 1880.

Alla fine i repubblicani decisero di eleggere il senatore dell’Ohio James A. Garfield, affiancandogli come vice Chester A. Arthur. Garfield condusse personalmente la campagna elettorale, sottolineando la necessità di tariffe e protezionismo. Furono spese enormi somme di denaro [per la propaganda elettorale] nei cosiddetti “swing states” [N.d.T.: letteralmente gli stati in bilico o stati indecisi], mentre l’Indiana era in testa con solo 7.000 voti e New York con 20.000. Prima che Garfield riuscisse ad espletare le sue funzioni di presidente, fu ferito da Charles J. Gireau, un fanatico rimasto deluso perché non aveva ottenuto l’incarico desiderato. Garfield morì undici settimane dopo, il 19 settembre 1880. Gli successe il vice presidente Chester A. Arthur.

Lo shock e lo sdegno provocati dall’assassinio del presidente Garfield spianarono la via ad un clima politico maturo per la riforma. Fu varato il Civil Service Act che incaricò una commissione bipartitica composta da tre membri di vigilare sull’assegnazione delle cariche pubbliche, selezionando i candidati in base al merito e ripartendoli tra gli stati in base alla popolazione. In seguito, il controllo centralizzato esercitato dal presidente avrebbe invertito la tendenza alla decentralizzazione tipica dello 'spoil system' [N.d.T.: per spoil system si intende la pratica di favorire i fautori del partito al potere attribuendo loro cariche politiche e uffici) e del Congresso.

Arthur non ebbe mai l’appoggio del partito necessario ad essere nominato candidato presidenziale repubblicano nel 1884 e l’appoggio si indebolì ulteriormente quando egli perse il controllo del proprio stato nel 1882. I repubblicani nominarono allora James G. Blaine del Maine, il che provocò la defezione di una sezione del partito conosciuta col nome di Yankee Mugwumps (un gruppo di riformisti). Essi accettarono di andarsene se i democratici avessero nominato Grover Cleveland, governatore di New York, cosa che fecero. Cleveland vinse per un pelo e la lunga supremazia repubblicana sulla presidenza ebbe fine. Per la prima volta da ventiquattro anni i democratici erano di nuovo al potere.

L’atteggiamento del presidente Cleveland nei confronti di parecchie questioni spiazzò i suoi elettori, nonostante questi ultimi sapessero che era un conservatore. Nel suo discorso augurale Cleveland aveva promesso di aderire ai “business principles“. Era convinto che il ruolo di presidente dovesse essere sostanzialmente limitato all’applicazione della legge. Ma Cleveland portò avanti la politica di Hayes di rafforzare l’integrità del presidente e di limitare il potere del Congresso su di esso. Ma, nella sua lotta per la riforma tariffaria, Cleveland assunse una posizione ancora più estrema che avrebbe contribuito alla sua mancata rielezione.

La campagna elettorale del 1888 per la rielezione di Cleveland fu boicottata da una leadership inefficace e senza alcuna convinzione. Al contrario, la campagna dei repubblicani poté contare su un leader entusiasta, il senatore Matt Quay, capo di una spietata machine in Pennsylvania [N.d.T.: la machine era un'organizzazione locale, spesso capeggiata da un boss, che suppliva alle carenze dell’amministrazione locale, soddisfacendo le esigenze della comunità la quale, in cambio, garantiva fedeltà e voti]. Quay raccolse e investì enormi fondi nella campagna elettorale. Il candidato presidenziale repubblicano era Benjamin Harrison dell’Indiana, il nipote dell’ex presidente William Henry Harrison. Gli strateghi repubblicani fecero un uso efficace di quei fondi, che utilizzarono per comprare voti e truccare le elezioni in Indiana e a New York. Il partito vincente dimostrò di poter contare su una campagna più valida. Dopo uno scontro serrato, Cleveland ottenne una maggioranza relativa di quasi 100.000 voti popolari, ma Harrison si aggiudicò il voto elettorale 233 a 168.

Nel 1892 i democratici scelsero ancora una volta Cleveland e lo candidarono alla presidenza, contro il repubblicano presidente Harrison. Un terzo partito, i populisti (il cui scopo era unire gli agricoltori e i lavoratori per assicurarsi le riforme), nominarono il Generale James B. Weaver dell’Iowa. Cleveland vinse con 277 voti elettorali contro 145, e con oltre 400.000 voti popolari. Pur non avendo alcuna probabilità di successo, Weaver ottenne ugualmente oltre un milione di voti. Cleveland non ottenne certo una valanga di voti ma la sua fu la vittoria più signifiativa che entrambi i partiti avessero mai ottenuto in v
enti anni. Due mesi dopo l’elezione di Cleveland il mercato crollò, causando la peggior depressione che la nazione avesse mai attraversato. Le cause della depressione erano complesse ma Cleveland si ostinò a dare tutta la colpa allo Sherman Silver Purchase Act (legge che obbligava il governo ad acquistare quasi l’intera produzione mensile delle miniere secondo i tassi imposti dal mercato e non secondo il rapporto predeterminato preferito da agricoltori e minatori), la quale venne revocata. Il rimedio, a parere di Cleveland, era quello di mantenere alti i tassi dell’oro. Questa politica divise il paese come mai era accaduto dai tempi della schiavitù e causò una rivoluzione all’interno del partito democratico che sovvertì il controllo dei conservatori.

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Che queste Colonie Unite siano, e di diritto, debbano essere libere e Stati Indipendenti, che siano dispensate dall’obbedienza alla Corona Britannica, e che tutti i legami politici tra esse e lo Stato della Gran Bretagna siano e debbano essere completamente sciolti.

[Dalla Dichiarazione di Indipendenza, 1776]1

Nel 1775 le tredici colonie britanniche del Nord America avevano una popolazione di 2,5 milioni di persone. Tra il 1776 e il 1783, grazie alla guerra di Indipendenza, avevano ottenuto l’indipendenza dall’impero britannico. I coloni cercarono di fondare un nuovo paese, gli Stati Uniti d’America. Avevano rifiutato la monarchia britannica, firmato una Dichiarazione di Indipendenza che garantiva i diritti fondamentali dei cittadini, e ora dovevano decidere come meglio governare il loro nuovo paese.

Il sistema di governo britannico riuniva in sé monarchia, aristocrazia e democrazia. Gli americani credevano nel repubblicanesimo in cui il popolo, e non il parlamento, era sovrano. Gli intellettuali del 18° secolo sostenevano che una repubblica, richiedendo il consenso delle persone, poteva esistere solo in un piccolo territorio, e più la popolazione era vasta, più le opinioni sarebbero state eterogenee. Ma gli americani che avevano firmato la Dichiarazione di Indipendenza e avevano combattuto in guerra erano decisi a fondare una repubblica efficiente. Ora il problema maggiore riguardava il governo centrale e quanto forte esso dovesse essere. La Costituzione fu ratificata nel 1778. Prevedeva la separazione del potere tra i sistemi esecutivi, legislativi e giudiziari del governo nazionale, oltre alla separazione tra il potere dei singoli stati e quello della nazione. Il suo sistema bilanciato rendeva impossibile che il governo si trasformasse in tirannide. La relazione tra stato e poteri nazionali, definita in modo alquanto vago, avrebbe in futuro perseguitato il paese. Ma per il momento gli Stati uniti avevano una nuova Costituzione, un nuovo governo e un territorio sterminato da gestire a loro piacimento.

Il primo sistema bipartitico: Federalisti contro Repubblicani, 1789-1801

Cittadini per diritto o per scelta, di un paese comune, questo paese ha il diritto di concentrare i vostri affetti. Il nome di Americano, che vi appartiene, nella vostra capacità nazionale, deve sempre esaltare il giusto orgoglio patriottico.

[Discorso di Addio del Presidente George Washington, 1796]2

Nel 1789 George Washington divenne il primo presidente americano. Dopo la sua rielezione nel 1793, una parte della popolazione americana cominciò a ricercare un cambiamento attraverso le politiche elettorali. La teoria politica tradizionale considerava illegittima l’opposizione in una repubblica, ma questo punto di vista sarebbe cambiato nel corso del tempo. I leader dell’opposizione, Thomas Jefferson e James Madison, ritenevano che il governo favorisse gli interessi dei ricchi commercianti a spese degli agricoltori e che gli Stati Uniti corressero il rischio di essere dominati da un’aristocrazia corrotta. Jefferson, Madison e i loro seguaci del Congresso cominciarono a definirsi repubblicani. Washington si ritirò dalla vita politica nel 1797 e nel suo discorso d’addio definì due principi che avrebbero accompagnato la politica degli Stati Uniti fino al 20° secolo: intrattenere rapporti commerciali ma non politici con le altre nazioni e non stringere alleanze permanenti.

L’elezione presidenziale del 1796 fu la prima elezione ad essere seriamente contestata. I membri del Congresso votavano sempre di più in gruppo piuttosto che individualmente. Benché non fossero ancora partiti politici nel senso moderno del termine, Federalisti (che avevano steso la prima copia della Costituzione) e Repubblicani erano i due gruppi dominanti del Congresso. Poiché la Costituzione non prevedeva che si esprimesse la propria preferenza a una persona per la carica di Presidente e ad un’altra per quella di Vice Presidente, gli elettori votavano due persone. Quella che otteneva il maggior numero di voti diventava Presidente, quella che ne otteneva un numero appena inferiore diventava Vice Presidente. Il federalista John Adams fu eletto Presidente mentre il suo Vice era un repubblicano. A quell’epoca Stati Uniti e Francia erano sul piede di guerra, guerra che veniva combattuta tra la Marina degli Stati Uniti e navi francesi che cercavano di catturare i mercantili americani. Nel tentativo di censurare la critica repubblicana alla sua politica estera, il governo varò l’Alien e Sedition Act che, tra le altre cose, limitava la libertà di espressione. In risposta a ciò, i repubblicani in Virginia e in Kentucky approvarono delibere grazie alle quali chi parlava a nome del proprio stato aveva il legittimo diritto di giudicare la costituzionalità degli atti del governo federale. Il che poneva la seguente domanda: in che misura i singoli stati si potevano opporre al governo centrale? Con il trascorrere del tempo, questa spinosa questione sarebbe divenuta di grande attualità per gli Stati Uniti.

Da Jefferson al Compromesso del Missouri

Credo questo…il governo più forte della terra. Credo che sia l’unico in cui ogni uomo, al richiamo della legge, si atterrebbe ai suoi standard e affronterebbe l’invasione dell’ordine pubblico come se fosse un suo interesse personale.

[Primo discorso inaugurale del presidente Thomas Jefferson, 1801]3

Nel 1800 si raggiunse un accordo con la Francia. Il repubblicano Thomas Jefferson fu eletto presidente l’anno seguente. Egli non condivideva le teorie mercantiliste di Hamilton ed era a favore di una politica federale più passiva. In novembre la sede del governo si trasferì da Philadelphia a Washington, nel distretto della Columbia, formato da Maryland e Virginia. La sede del governo non era quindi situata in un singolo stato. L’Alien e Sediction Act non aveva più ragione di esistere. Nel caso 'Marbury contro Madison', la Corte Suprema si aggiudicò il grande potere di giudicare la costituzionalità delle leggi approvate dal Congresso. Lo stesso anno, grazie all’annessione della Louisiana, l’America acquistò 827.000 miglia di terreno dalla Francia per 15 milioni di dollari, raddoppiando così l’estensione degli Stati Uniti e aprendo il territorio ad ovest del Missisipi alla colonizzazione americana. Jefferson si candidò alla rielezione nel 1804, vincendo in quindici dei diciassette stati. I Repubblicani avevano cominciato a fare campagne espressamente dirette all’elettorato e si erano creati un nutrito gruppo di sostenitori, lasciando indietro i Federalisti. Jefferson seguì l’esempio di Washington e rinunciò al terzo mandato. Per la prima volta nella storia la nomina repubblicana venne contestata e James Madison vinse entrambe le elezioni presidenziali del 1808.

Ma le guerre napoleoniche continuavano ad avere un impatto sugli Stati Uniti. La guerra commerciale tra Francia e Gran Bretagna colpì duramente il commercio americano. Le navi inglesi fermavano continuamente i mercantili americani e catturavano presunti fuggitivi inglesi a bordo. Allo stesso tempo, all’ovest, gli inglesi incoraggiavano i nativi americani a rimanere sulle terre reclamate dal governo americano. Nel 1812 America e Gran Bretagna erano in guerra. La terra interessata era situata al confine tra Canada e America, poiché il Canada faceva parte dell’impero britannico, la Chesapeake Bay in Virginia, e i territori di Louisiana e Missisipi. Dopo aver sconfitto Napoleone nell’aprile del 1814, gli inglesi intensificarono la loro campagna per la conquista delle terre in America. Washington D.C. fu occupata e messa al rogo. Lo scontro tra le due forze raggiunse una fase di stasi. La resistenza degli indiani al sud fu sconfitta da Andrew Jackson, il quale difese in seguito con successo New Orleans dagli attacchi inglesi. Entrambe le parti stipul
arono il trattato di pace di Ghent.

La guerra del 1812 aveva visto quasi 300.000 americani combattere per l’indipendenza. Ciò ribadì nella mente di molti che gli Stati Uniti non avrebbero dovuto immischiarsi nelle questioni europee. Per i nativi americani i risultati furono disastrosi. Il loro maggior alleato, la Gran Bretagna, si era tirato indietro lasciandoli alla mercé degli americani assetati di terra. La guerra nocque anche ai Federalisti, la cui roccaforte era da sempre il New England. Ora vedevano questo bastione indebolirsi mentre l’Ovest e il Sud crescevano in numero e in forze. Queste aree erano il cuore della forza dell’elettorato repubblicano. Il successo dei Repubblicani nella guerra del 1812 accelerò ulteriormente il declino dei Federalisti. Dopo due mandati, il presidente Madison si ritirò. Il suo successore fu il repubblicano James Monroe, il terzo cittadino della Virginia a diventare Presidente tra il 1801 e il 1825. Monroe sconfisse facilmente l’ultimo candidato federalista, Rufus King, nelle elezioni presidenziali del 1816.

Con il partito federalista in declino, il candidato repubblicano Monroe non ebbe rivali e nelle elezioni del 1820 fu rieletto. Il segretario di Stato di Monroe, John Quincy Adams, era un convinto sostenitore dell’espansionismo americano ma mirava a raggiungere lo scopo non attraverso la guerra, bensì attraverso la negoziazione. Pensava inoltre che i territori recentemente acquisiti dovessero proibire la schiavitù. Nel 1817 Gran Bretagna e Stati Uniti, di comune accordo, smilitarizzarono i confini tra Canada e America. Nel 1819 la Spagna cedette la Florida agli Stati Uniti. La pretese territoriali dell’America si estendevano ora dall’Atlantico al Pacifico mentre il paese era in costante crescita. Nel 1823 il presidente Monroe presentò la Dottrina Monroe, escogitata da Adams. Essa prevedeva la non intrusione delle nazioni europee nei territori americani, a meno che non vi possedessero delle colonie. In cambio, Monroe garantiva la non interferenza degli Stati Uniti nelle questioni europee, incluse le colonie europee nel Nuovo Mondo. L’Europa obbedì alla dottrina solo perché era appoggiata dalla Gran Bretagna, la quale era determinata a tenere le altre nazioni europee fuori dall’emisfero per garantirsi il monopolio sul commercio nell’Atlantico.

Nel 1819 cominciò ad emergere il problema della schiavitù. Il Missouri fece una petizione al Congresso per essere ammesso all’Unione come stato schiavista. All’epoca l’Unione consisteva di undici stati schiavisti e undici stati non schiavisti. Se il Missouri fosse stato accettato avrebbe compromesso questo equilibrio. Alla fine si giunse ad un accordo e il Missouri e lo stato non schiavista del Maine entrarono a far parte dell’Unione. Ma il dibattito aveva suscitato più ampie questioni riguardo alla moralità della schiavitù e al potere che la schiavitù dava agli stati del Sud. Gli stati non schiavisti del Nord e gli stati schiavisti del Sud cominciarono ad avere opinioni sempre più divergenti a proposito della schiavitù. Questo problema avrebbe minato e infine diviso l’unità del partito repubblicano.

Il periodo tra il primo e il secondo sistema bipartitico. L’era del presidente Jackson, la nascita del partito democratico e il reinsediamento forzato dei nativi americani.

Quale uomo preferirebbe un paese coperto di foreste e dominato da un branco di selvaggi alla nostra Repubblica, popolata di città, paesi e floride fattorie..?

[Secondo messaggio annuale del presidente Andrew Jackson al Congresso, 6 Dicembre 1830]4

Diventare stranieri e vagare nella terra dei loro padri, costretti a tornare alla vita selvaggia e a cercare una nuova dimora nel selvaggio e lontano Ovest, e tutto questo senza il loro consenso. Uno strumento che si propone di trasformare in un trattato con i Cherokee è stato di recente reso pubblico dal Presidente degli Stati Uniti e, una volta entrato in vigore, avrà queste conseguenze.

[Da Memoria e Protesta della Nazione Cherokee, 22 Giugno 1836]5

Durante il 1820 la fine dei Federalisti e la conseguente frammentazione dei Repubblicani mise fine alla prima esperienza dell’America con i partiti politici. Ma a partire dal 1824 si assistette alla nascita di un nuovo tipo di partito in cui il conflitto politico tra le parti era visto, a differenza di ciò che accadeva prima, come inevitabile e costruttivo. In questo periodo ebbero luogo altri due importanti cambiamenti. A partire da Jackson i partiti nominavano i loro candidati in comizi elettorali segreti. Questo sistema fu usato per l’ultima volta nel 1824; nel 1832 esso fu sostituito dalla convention nazionale di nomina, che in teoria dava al partito la possibilità di esprimere la propria opinione nelle nomine. Il secondo cambiamento riguardava le elezioni presidenziali. Nel 1832 tutti gli Stati, a parte la Carolina del Sud, avevano trasferito le elezioni degli elettori presidenziali dal sistema legislativo ai votanti.

Nell’elezione del 1824 Andrew Jackson, benché in vantaggio per voti elettorali e popolari, non raggiunse la maggioranza nel collegio elettorale dei votanti e il Congresso elesse John Quincy Adams come sesto Presidente. Questo provocò la divisione del partito repubblicano in Repubblicani Nazionali (sostenitori di Adams) e Repubblicani-Democratici (sostenitori di Jackson). Adams e Jackson si trovarono di nuovo uno di fronte all’altro nell’elezione del 1828, conflitto acerrimo e intensamente personale. I suoi seguaci sostenevano che nel 1824 a Jackson fosse stata rubata la presidenza. Le due fazioni si accusarono a vicenda di ruffianaggio, adulterio e omicidio, oltre ad altre accuse infamanti. Adams vinse negli stessi Stati in cui aveva vinto nel 1824 (soprattutto gli Stati del New England) ma questa volta l’opposizione fece fronte comune e vinse Jackson. Il team della campagna elettorale di Jackson aveva prodotto in massa medaglie, distintivi e altri oggetti che i sostenitori potevano indossare. Nella campagna e nella creazione di una vasta base di supporto furono spese enormi somme di denaro. Il partito dei Repubblciani-Democratici (abbreviato in Democratici) divenne il primo partito nazionale organizzato degli Stati Uniti. I loro metodi sarebbero divenuti il prototipo di quelli dei partiti politici del 19° secolo.

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