America: Da colonia a superpotenza. Parte II: 1876-1929

Roosevelt si considerava predestinato ad agire per il popolo. Rivolse la propria attenzione al mondo degli affari. Non era contrario al capitalismo o allo sviluppo industriale ma riteneva che essi dovessero essere regolati dal governo federale. Nel 1903 convinse il Congresso ad approvare una legge antitrust. Istituì un nuovo Ministero del Commercio e del Lavoro oltre ad un ufficio preposto alla raccolta e a
lla distribuzione di informazioni sull’industria. Roosevelt riteneva che fosse giusto 'trattare lealmente' chiunque. Appoggiò i sindacati ma fu contrario all’interferenza illegale da parte di essi. Questa era una posizione più radicale di quelle dei conservatori del suo partito. Roosevelt si guadagnò la reputazione di uomo giusto, che si adoperava per sostenere i piccoli commercianti e i piccoli agricoltori. Ma fece in modo di non arrivare mai ad essere etichettato come radicale o come socialista.

La popolarità di Roosevelt fu alla base della sua rielezione del 1904. Presentandosi come il campione delle riforme, riuscì a rubare a Bryan la sua base/elettorato. I democratici scelsero invece Alton B. Parker, un candidato conservatore legato all’alta società di New York. Roosevelt trionfò, ottenendo il 57,4% dei voti popolari, contro il 37,6% di Parker. L’alta percentuale di votanti cominciò a calare rispetto alle precedenti elezioni, specialmente nel Sud democratico, dove gli strascichi della Guerra Civile cominciavano a scomparire.

Durante il suo secondo mandato Roosevelt esercitò un maggior controllo sull’industria americana e tentò di mettere in atto riforme sociali e nell’ambito del lavoro. Il suo intento principale era quello di spostare il potere sull’industria dalle mani dei privati a quelle dello stato. Si impegnò nel tentativo di aumentare il potere del presidente sul Congresso e sulla Corte Suprema. Roosevelt era un amante della natura e ottenne grandi risultati nella preservazione dei paesaggi americani. Migliorò la condizione delle foreste dell’Ovest mediante vasti impianti di irrigazione e istituendo riserve naturali.

Roosevelt contribuì all’emergere dell’America quale potenza mondiale. La dottrina del 'destino manifesto' andava affermandosi sempre più. Secondo questa corrente di pensiero gli Stati Uniti avevano il dovere di espandere il loro potere nel mondo in via di sviluppo. Il Congresso approvò una commissione generale preposta alla modernizzazione dell’esercito e della marina. Roosevelt pensava che l’America dovesse usare il proprio potere allo scopo di preservare la pace mondiale, poiché questo equilibrio era responsabile dello sviluppo degli affari e della sicurezza a lungo termine. Fu personalmente responsabile della politica estera. Il controllo americano sui Caraibi era considerato un aspetto essenziale della difesa nazionale. Gli Stati Uniti intervenirono in Venzuela e, in segreto, contribuirono allo scoppio della rivoluzione a Panama che contribuì ad esautorare il potere degli europei sul territorio. Roosevelt fece costruire il canale di Panama, che per la marina americana divenne un punto di passaggio strategico tra l’oceano Atlantico e quello Pacifico. In Africa, gli stati Europei si davano battaglia man mano che la gara per la conquista delle terre si intensificava. Roosevelt era consapevole delle complicate alleanze che avrebbero potuto trasformare una disputa tra due potenze europee in una guerra mondiale e si impegnò quindi a favorire accordi pacifici quando tali dispute si verificavano. Nel 1905 riuscì a convincere tutte le nazioni implicate nella crisi franco-tedesco-marocchina a partecipare ad una conferenza di pace. Per quel che riguardava il fronte asiatico, Roosevelt sapeva che la Cina, indebolita, non giocava un grande ruolo mentre era necessario mantenere un equilibrio tra Russia e Giappone allo scopo di evitare uno scontro. Il suo contributo nel mettere fine alla guerra russo-giapponese nell’estate del 1905 gli fece meritare un premio Nobel.

Il presidente sosteneva la necessità di mantenere il potere dell’esercito e della marina americana. Questo potere sarebbe stato usato solo nel caso in cui la pace mondiale fosse stata minacciata. Ma il solo fatto che esso esistesse permetteva agli Stati Uniti di influenzare la situazione mondiale. Grazie al presidente Roosevelt l’America si era definitivamente affermata come potenza mondiale.

Roosevelt rispettò la tradizione e non si candidò per un terzo mandato, nonostante fosse acclamato a furor di popolo. Sfruttò invece la propria influenza per assicurare la nomina al repubblicano William Howard Taft, che riteneva la persona più adatta a portare avanti le sue politiche. In seguito al ritorno della tendenza al progresso i democratici tornarono a Byan ma Taft poteva contare sull’accoppiata tra la sua considerevole reputazione e la potente raccomandazione del presidente Roosevelt. Taft ottenne il 52% dei voti popolari e il collegio elettorale per 321 a 326. Roosevelt si recò a cacciare in Africa lasciando al presidente Taft il compito di portare avanti le riforme e di mantenere alto il nome dell’America agli occhi del mondo.

Il ritorno del Progressivismo

Taft, ventisettesimo presidente degli Stati Uniti, si era fatto strada grazie alle cariche amministrative, essendo stato il Segretario di Guerra del presidente Roosevelt. Taft era più conservatore di Roosevelt e aveva intenzione di percorrere la via della riforma più lentamente. Le sue politiche sulle tariffe gli guadagnarono le antipatie degli Stati del Midwest che passarono ai democratici. Nelle elezioni del 1910 i democratici riconquistarono la House of Representatives per la prima volta dal 1892. Le tariffe repubblicane venivano identificate con l’alto costo della vita e i democratici sfruttarono questo fatto presentandosi come il partito propugnatore del progresso. Scarsa attenzione venne posta sul successo ottenuto da Taft nell’intraprendere ottanta cause antitrust e sul fatto che il Congresso si sottomise alla volontà dei singoli stati riguardo alla questione dell’imposta federale sul reddito e l’elezione diretta dei senatori.

Un ulteriore problema per i repubblicani era costituito dalla spaccatura all’interno del partito. I rapporti tra Taft e Roosevelt si ruppero e ciò ebbe conseguenze negative sul partito. La vecchia guardia si riunì attorno a Taft e coloro che erano a favore di riforme più celeri rimasero al fianco di Roosevelt. L’idea di Taft che la Corte Suprema dovesse regolare il mondo degli affari contrastava con quella di Roosevelt, il quale riteneva che esso dovesse essere regolato dalle autorità federali. Sul fronte della politica estera Taft intraprese una guerra commerciale con il Giappone in Cina. Roosevelt, che aveva precedentemente dichiarato di volersi ritirare dalla vita pubblica, annunciò la sua intenzione di ricandidarsi per le presidenziali del 1912. Il partito repubblicano fu lacerato quando Roosevelt e Taft portarono avanti la loro battaglia per assicurare la presidenza al partito repubblicano. Benché Roosevelt godesse di un vasto consenso popolare all’interno del partito repubblicano, Taft ne controllava l’apparato e grazie a questo potere riuscì ad ottenere la nomina.

Nonostante la sua ricandidatura, Taft non venne eletto presidente. Dopo la sua sconfitta, insegnò giurisprudenza all’università di Harvard finché il presidente Harding lo nominò a capo della Corte Suprema. Questa nomina costituì, agli occhi di Taft, il suo traguardo più prestigioso. “Non ricordo di essere mai stato presidente”, scrisse in seguito6.

Roosevelt e i suoi seguaci disertarono il partito. Nell’agosto del 1912 si riunirono di nuovo come delegati del nuovo partito Progressista. Intellettuali, femministe, persone impegnate nel sociale e tutti coloro che ammiravano Roosevelt si iscrissero al partito. Il programma politico di Roosevelt appoggiava il suffragio femminile, l’elezione popolare dei senatori, e proponeva un esteso programma di servizi di assistenza sociale. Ma spaccando il partito repubblicano Roosevelt aveva offerto ai democratici un’occasione d’oro per tornare nei corridoi del potere della Casa Bianca. Il candidato democratico era Woodrow Wilson, governatore del New Jersey. Durante il mandato di governatore, Wilson si er
a distinto per il suo atteggiamento progressista e il partito democratico si presentò alle elezioni come il partito riformista.

Le elezioni diventarono una gara tra democratici e repubblicani. Potendo già contare sull’appoggio del Sud, i democratici dovevano guadagnarsi anche la fiducia del Nord, se volevano ottenere i voti dei progressisti. Wilson presentò quindi il suo programma economico New Freedom in risposta al New Nationalism di Roosevelt. Wilson si assicurò l’appoggio del Sud, tradizionalmente fedele ai democratici, delle piccole città e dell’America della classe media. Wilson ottenne una vittoria significativa anche se ebbe solo il 41,9% dei voti popolari. Roosevelt ottenne solo il 27,4% e Taft solo il 23,2%. Nel conteggio/spoglio elettorale Wilson staccava i suoi avversari per 435 a 88 e 8 e i democratici ottennero entrambe le case del Congresso. I democratici, che ottennero i risultati migliori nelle aree in cui erano forti per tradizione, avevano vinto grazie alla spaccatura del partito repubblicano. Il loro ritorno fu un netto trionfo della tendenza al riformismo.

Grazie all’appoggio e alla consulenza dei suoi collaboratori Wilson prese decisioni importanti e diede un’impronta personale alla sua leadership. Subito dopo il suo discorso inaugurale indisse una sessione speciale del Congresso per onorare l’impegno preso dai democratici di revisionare il sistema fiscale. Poiché serviva denaro per finanziare questa politica, Wilson impose una imposta sul reddito graduata, che la ratifica al Sedicesimo Emendamento (che prevedeva un’imposta sul reddito) aveva legalizzato due mesi prima. Wilson riuscì a realizzare gli obiettivi del suo programma economico New Freedom grazie al Senato che aveva una maggioranza democratica di soli tre. Fece approvare il Federal Reserve Act che diede agli Stati Uniti il primo sistema bancario efficiente dai tempi di Andrew Jackson. Wilson riuscì a promuovere abbastanza riforme sociali da potersi vantare del fatto che nel 1916 il partito democratico era “arrivato molto vicino a portare a termine il programma del partito progressista” oltre al loro.

La prima guerra mondiale

Il presidente Wilson credeva che ogni paese, nei gestire i suoi rapporti con gli altri paesi, dovesse obbedire alle leggi internazionali. I suoi principi sarebbero stati messi a dura prova nell’agosto del 1914 dallo scoppio della prima guerra mondiale. Gli Stati Uniti si dichiararono neutrali ma Wilson volle mantenere il diritto al commercio e l’accesso ai mari. Questo causò svariati problemi sia con la Germania che con l’Inghilterra. I sottomarini tedeschi a volte colpivano accidentalmente le navi americani, o nel caso del Lusitania, navi inglesi con cittadini americani a bordo. Ma Wilson non assecondò la sete di guerra di alcuni ambienti, inclusi quelli di Roosevelt. Rinforzò l’esercito e la marina ma non spese miliardi nella difesa nazionale come avrebbero voluto i falchi della guerra.

La guerra fece da sfondo alle elezioni presidenziali del 1916. I repubblicani nominarono Charles Evans Hughes, un governatore riformista di New York. La politica estera divenne il cuore della campagna di Hughes e del presidente Wilson. Hughes promise più durezza nei confronti della Germania per l’incidente del Lusitania, per il quale Wilson aveva richiesto scuse e riparazioni da parte della Germania. L’immagine di Hughes fu danneggiata dagli estremisti tedesco-americani e irlandesi-americani che lo sostenevano apertamente. Wilson, d’altra parte, poteva affermare di aver tenuto l’America fuori dalla guerra e di proporre una politica riformista tale da stupire anche i progressisti. Nonostante l’appoggio del Sud e degli stati ad ovest del Mississippi e dell’Ohio, Wilson vinse le elezioni a stento. Il verdetto definitivo fu quello della California, dove i risultati dei ballottaggi furono così vicini che Hughes si coricò pensando di essere il prossimo presidente per poi svegliarsi e scoprire che Wilson aveva vinto in California. Wilson ottenne il 49,4% dei voti popolari contro il 46,2% di Hughes e vinse il collegio elettorale 277 a 254. Cruciale per la sua vittoria era stata la perpetua frattura nel partito repubblicano, che aveva impedito ad alcuni repubblicani simpatizzanti di Roosevelt di votarlo.

Durante tutta la campagna elettorale per la sua rielezione Wilson fu consapevole del fatto che gli Stati Uniti potevano essere coinvolti nella guerra. La pretesa di neutralità e di libertà di azione nei mari da parte degli Stati Uniti era insostenibile alla luce dell’aggressione navale da parte di Germania e Inghilterra. L’America avrebbe dovuto sacrificare l’onore (interrompendo i rapporti commerciali) o la pace (entrando in guerra). La Germania avrebbe potuto interpretare la rielezione di Wilson come un segno che l’America temeva la guerra e avrebbe tentato di evitarla7. La decisione dei tedeschi di riprendere senza restrizioni la guerra sottomarina, probabilmente per il motivo di cui sopra, e le loro schermaglie con il Messico che li tentava a dichiarare guerra agli Stati Uniti furono la goccia che fece traboccare il vaso. L’America dichiarò guerra alla Germania e si schierò al fianco degli alleati.

Il Congresso approvò l’Army Bill, preparato dal comando generale dell’esercito, che potenziò al massimo l’esercito regolare (223.000 uomini) e la guardia nazionale (425.000) grazie all’arruolamento volontario. Venne introdotta anche la leva obbligatoria. Il comando di tutte le forze americane in Europa fu affidato al generale John J. Pershing, un ufficiale dell’esercito che si era distinto nelle campagne militari precedenti. Le sue divisioni formavano l’American Expeditionary Force. Gli americani arrivarono in Europa appena in tempo, mentre i tedeschi sferravano l’attacco decisivo. La sproporzione numerica permise agli alleati di sconfiggere i tedeschi. Più di 50.000 americani morirono in Francia ma la guerra costò la vita anche a 3 milioni di soldati inglesi, francesi e russi. Il contributo dell’esercito americano fu piccolo ma di importanza decisiva8.

Nel gennaio 1918, mentre la guerra infuriava, Wilson annunciò i suoi famosi Quattordici Punti. Essi sostenevano l’importanza dei rapporti diplomatici tra le nazioni e la riduzione degli armamenti. Il 14° e più importante punto auspicava “una assemblea generale delle nazioni” che permettesse “reciproche garanzie di indipendenza politica e integrità territoriale”. Nel novembre del 1918 i tedeschi si arresero e i Quattordici Punti costituirono la base per il negoziato di pace. Wilson affermò che in futuro non sarebbe più esistito un 'equilibrio di potere', che coinvolgeva varie alleanze, bensì una “comunanza di potere”9. Ciò costituiva per il Presidente Wilson un’occasione per inquadrare in modo chiaro i rapporti internazionali. La Lega delle nazioni suscitò un grosso dibattito che avrebbe coinvolto i paesi di tutto il mondo e stabilito regolamenti e procedure per gestire le dispute territoriali. Gli Stati Uniti erano destinati a diventare la forza trainante di questo ingranaggio.

Il Trattato di Versailles e il ritiro dell’America dalla scena mondiale

Un’associazione generale di nazioni deve essere tutelata da accordi precisi allo scopo di permettere reciproche garanzie di indipendenza politica e di integrità territoriale sia ai paesi più grandi che a quelli più piccoli.

[XIV° punto del Piano dei Quattordici Punti di Woodrow Wilson, che diede l’impulso alla formazione della Lega delle Nazioni, gennaio 1918]10

Questo grande trattato si trova di fronte al patto della Lega delle Nazioni…Se alla base di questo accordo non vi sarà l’unione delle volontà delle potenze mondiali tutto ciò crollerà come un castello di carte.

[Wilson nel 1919, riferendosi alle conseguenze di un eventu
ale rifiuto del Trattato di Versailles e della Lega delle Nazioni da parte degli Stati Uniti]11

Affinché il patto della Lega delle Nazioni fosse accettato era necessario che due terzi del Senato votasse. Per questo motivo senatori democratici e repubblicani dovettero venirsi incontro, ma Wilson si rifiutò di fare altrettanto. Rifiutò qualsiasi compromesso al riguardo. Si rifiutò anche di dare istruzioni ai propri senatori democratici, i quali non seppero mai come trattare con gli altri senatori per ottenere i due terzi necessari. Il leader del Senato era il senatore repubblicano Lodge, un vecchio amico di Theodore Roosevelt (che era appena morto). Lodge, temendo che ne minacciasse la sovranità internazionale, non pensava che fosse nell’interesse degli Stati Uniti entrare nella Lega delle Nazioni. Egli preferiva la teoria di Roosevelt dell’equilibrio di potere secondo la quale gli Stati Uniti potevano usare la loro influenza per mantenere la pace senza dover stringere alleanze formali.

Se Wilson avesse appoggiato i suoi senatori e li avesse adeguatamente istruiti probabilmente il Senato avrebbe accettato sia il Trattato di Versailles che l’entrata dell’America nella Lega delle Nazioni. Invece, con il passare del tempo, l’interesse pubblico svanì e il potere del Senatore Lodge e i suoi sostenitori si accrebbe. Agli americani non interessava essere continuamente coinvolti negli affari europei. Due milioni di soldati erano appena tornati da una guerra provocata dalla follia degli europei. La gente voleva dimenticarsi del “Vecchio Mondo” e andare avanti con la propria vita.

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