Va avanti, ti seguirò… fin dove le strade non hanno nome, fin oltre la vertigine – U2 a Roma

23 luglio, stadio Olimpico, Roma: questo è stato l’ultimo appuntamento dell’Italia con gli U2, almeno per un po’. Qui Bono & co hanno incantato e salutato tutti per l’ultima volta, il Vertigo Tour è già in viaggio verso altri lidi.
All’appuntamento si sono presentati in 70mila, qualcuno accampato con canadesi o camper già dalla sera prima, qualcun altro che il biglietto lo ha trovato all’ultimo momento, strappandolo a un buon prezzo proprio fuori dallo stadio. Tutti uniti in un unico immenso pellegrinaggio, e questa volta la loro Mecca era l’Olimpico.

Nell’attesa che il lungo e torrido pomeriggio dell’estate romana si facesse notte stellata, i 70mila fedeli hanno riempito poco a poco tutto lo stadio, mentre i tecnici brulicavano freneticamente intorno a quel palco immenso, largo 90 metri, a tinte rosse e nere, che occupava tutta la curva sud e che, ovviamente, non era oggetto delle sole attenzioni dello staff, ma di tutto l’Olimpico.
Su quel palco hanno suonato Feeder ed Ash, i gruppi spalla che hanno seguito la band per parte del tour in Europa, ma si trattava di un modo come un altro per lasciar passare le ore: lo sapevano i 70mila che nel frattempo si abbandonavano ad una serie interminabile di ola, lo sapevano i giovani musicisti che erano lì a suonare per la prima volta davanti ad un pubblico così vasto e lo sapeva anche Bono, che probabilmente in quel momento scaldava la voce nel suo camerino o magari scherzava con The Edge e il resto del gruppo.

Tutto questo fino all’ora x, le 20:50 in punto, quando il pubblico viene avvolto dal buio, gli schermi e le luci del palco si illuminano e, accompagnati dal boato della folla in estasi, sgattaiolano fuori da un tunnel accanto al palco quei 4 lì, che l’Olimpico e la luna sopra di lui stavano aspettando già da un bel po’: Paul Hewson, in arte Bono Vox; Dave Howell Evans, al secolo The Edge; Adam Clayton e Larry Mullen jr.Ora che gli ospiti più attesi sono arrivati, lo show può incominciare. Bono è in grande spolvero: gli immancabili occhiali scuri, maglietta e pantaloni neri con sopra un giubbetto che porta i colori dell’ultimo album e dell’annesso tour, il rosso e il nero.

Saluta tutti e da il via all'ormai celeberrimo e, per l'occasione, tutto italiano “Uno! Due!! Tre!!! Catorse!!!!”, con The Edge che al quel punto scarica sulla folla in delirio tutta l'irruenza e i megawatt della sua chitarra fino a far vibrare le fondamenta del povero Olimpico. Le note di Vertigo… il cerchio è aperto.La prima parte del concerto è di matrice puramente rock e riassume in se un po' tutta l'ultraventennale carriera degli U2, il pubblico viene stordito e sballottato qua e là pezzo dopo pezzo: dopo Vertigo, un tuffo nel passato, di ben 25 anni, fino all'album d'esordio Boy con I Will Follow e ancora più indietro con Electric Co, scritta quando Bono e gli altri erano poco più che ragazzini, all'età di 18 anni. Poi ancora rock pompato direttamente nelle vene con Elevation, che non ha neanche il tempo di finire, che i 4 irlandesi già attaccano con New Year's Day, per arrivare poi al momento topico di Beautiful Day.“Grazie per essere qui, per aver comprato il biglietto ed aver fatto la fila per entrare. E grazie per aver reso meravigliose le nostre vite”, così dice Bono ai suoi fedeli e attacca con I Still haven't Found What I'm Looking For, il cui intro è considerato uno dei più belli dell'intera storia del rock e dove il coro dei 70mila sostituisce le originarie voci gospel.

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