Va avanti, ti seguirò… fin dove le strade non hanno nome, fin oltre la vertigine – U2 a Roma

Con City Of Blinding Lights il concerto vira verso una dimensione ancora più frenetica e gigantesca: l'immensa parete di luci sullo sfondo del palco si accende ricreando l'atmosfera urbana e notturna di New York, la “città dalle luci accecanti”, cui gli irlandesi hanno dedicato la canzone. Bono parla molto tra un pezzo e l'altro: dedica Miracle Drug ai dottori, alle infermiere “e a tutte le persone che ci curano, permettendoci di vedere il futuro”.

Subito dopo, la dedica diventa più speciale, personale, rivolta ad una sola persona… il padre Bob che è scomparso qualche anno fa, “un tipo tosto, un operaio”: Bono si toglie per la prima volta gli occhiali scuri, le luci si fanno più tenui, tutto lo stadio è lì a cantare insieme a lui, che ogni tanto da uno sguardo all'insù, verso il cielo.

Arriva il momento di Love And Peace Or Else, che introduce l’ampia parentesi politica dello show: sulla fronte ha legata una benda, che poi scivolerà sugli occhi, dove c’è scritto “CoeXisT”, la stessa parola che appare su tutti i megaschermi del palco. I simbolismi sono inconfondibili: la lettera “C” è disegnata come una mezzaluna musulmana, la “X” simboleggia la stella di David, la “T” una croce cristiana. Bono si scatena, i 70mila si scatenano: è il momento di Sunday Bloody Sunday, probabilmente il pezzo più politico mai scritto nella loro carriera. La batteria di Larry è travolgente, la chitarra di The Edge potente e ipnotica, tutto l’Olimpico è in piedi e canta a squarciagola, batte le mani e alza le braccia al cielo, fino a seguire il suo Messia, in un botta e risposta concitato e sempre più frenetico, che urla “No more!!”.A Milano aveva dedicato Miss Sarajevo alle vittime degli attacchi di Londra, questa sera è “per tutte le vite spezzate e tutte le famiglie distrutte” dall’attentato in Egitto.
Conclude, prima di iniziare a cantare mentre The Edge già lo accompagna al pianoforte, con una preghiera: “Non diventiamo mostri per difenderci dai mostri”.

Poi il palco si fa nero: Bono scompare avvolto nel buio, sugli schermi scorrono i primi sei articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell'Uomo, dagli amplificatori si diffondono le parole del premio Nobel birmano per la pace Aung Suu Kyi: “Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione”.

Le ultime parole della donna introducono Pride, In The Name Of Love, altro pezzo che manda in visibilio la folla, commossa, dopo il lungo applauso alle parole lette su quegli schermi. Bono, oramai calato perfettamente nel suo ruolo di predicatore, comincia: “Noi tutti abbiamo un sogno, un sogno dove ognun
o è libero e uguale all’altro sotto gli occhi di Dio. Questo è un sogno europeo, un sogno americano, un sogno asiatico e oggi, più che mai, un sogno africano”. Coglie anche l’occasione per ringraziare il sindaco Veltroni “per il suo impegno per l’Africa” e chiede al pubblico: “Con i vostri cellulari illuminate il mondo. Questo è il momento di dire stop alla povertà”, l’Olimpico diventa un presepe di natale illuminato da 70mila piccoli bagliori, poi continua e non ci risparmia una piccola stilettata: “Siete un popolo generoso, non capisco perché l’Italia sia nella lista nera della guerra e fra gli ultimi paesi negli aiuti all’Africa”. E’ il momento di One ma, prima di cominciare, mostra ai suoi fedeli un rosario, lo appende all’asta del microfono: glielo ha regalato Giovanni Paolo II, in cambio dei suoi occhiali da sole. Poi imbraccia la chitarra e comincia a cantare.

Alla fine della canzone i quattro irlandesi abbandonano i loro strumenti e si fanno avanti sul palco uno di fianco all’altro: si prendono gli applausi e le ovazioni del pubblico completamente rapito dall’estasi del momento, salutano tutti e se ne vanno, sul palco si spegne ogni luce. Ma, anche in questo caso, sia loro stessi che i 70mila dell’Olimpico, sanno benissimo che torneranno a suonare qualche altro pezzo e che è solo questione di tempo.

Passa qualche minuto infatti ed ecco che, improvvisamente, il megaschermo dietro al palco si illumina, compare una slot machine, che si mette in moto: tra i vari simboli che si susseguono rapidamente uno dietro l’altro, si intravedono chiaramente i volti di Blair, Putin e Schroder; fino a quando su tutti e tre i simboli compare la faccia del “bambino astronauta” che primeggiava sulla copertina del loro album Zooropa del ’93. Un minuto di silenzio totale e il palco prende di nuovo vita: Bono riesce fuori indossando cappello e giacca simil-militari: è l’impennata rock di Zoo Station e The Fly che ai più affezionati ricordano bene tutta la megalomania mediatica dei concerti dell’incredibile Zoo Tv Tour, portato in giro per il mondo all’inizio degli anni ’90 dalla loro band preferita.

Giusto il tempo per qualche altro pezzo fino, nuovamente, al punto di partenza: per l’ultima volta in Italia con questo tour, gli U2 suonano Vertigo e il povero Olimpico vibra ancora fino alle fondamenta. Dopo l’ultima schitarrata di The Edge, Bono & co salutano tutti (questa volta per davvero): sul megaschermo del palco una sola grande scritta tutta rossa: “The End”. Il cerchio si è chiuso… almeno per questo giro.

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