Il due agosto è una giornata triste qui a Bologna, almeno per quanti ancora ricordano o si sforzano di continuare a ricordare. Venticinque anni fà la città fu la location di un evento tragico che cambiò per sempre la vita di centinaia di persone, un evento organizzato e poi coperto da entità ambigue, un evento che fu considerato per anni il peggiore episodio di terrorismo in Italia e in Europa, fino a tempi ed episodi più recenti, e crudeli, della nostra storia.
Three Monkeys Online ha deciso di pubblicare quest'articolo in cui si ripercorre l'ultimo quarto di secolo nella rubrica Attualità, non in quello di Storia, per due motivi che reputiamo di fondamentale importanza. In primo luogo, come si diceva, ci sono ancora tanti aspetti oscuri in questa vicenda. Ci sono persone condannate come esecutori materiali del massacro ed altri che hanno ricevuto condanne per i depistaggi che hanno messo in atto. I primi si sono sempre dichiarati innocenti, a dispetto dell'ammissione di altri atroci delitti. Degli altri si voleva provare che fossero i mandanti e gli organizzatori della strage, ma le indagini si sono scontrate contro, per dirla con un'espressione in voga, un muro di gomma. Come dire, il mistero è ancora aperto a tentativi di soluzione, non può essere archiviato fino a quando i veri colpevoli non salteranno fuori.
L'altra ragione per considerare una strage di venticinque anni fà come attuale, è l'inevitabile paragone che in questi mesi si è fatto tra il mondo post Undici di Settembre e l'Italia degli anni di piombo (1969-1994), durante la cosiddetta strategia della tensione. Cosa abbiamo imparato dalle esperienze passate? C'è qualcosa di quelle morti inutili che può aiutare i governi di oggi a non ripetere errori passati, ad evitare nuovi spargimenti di sangue?
La strage: una bomba squassa la stazione di Bologna Centrale il primo sabato di agosto
Fa caldo d'estate a Bologna. E' umido, e neanche sotto i meravigliosi portici della città medievale si può trovare refrigerio. La città diventa un po' un paese fantasma: negozi e bar chiudono le saracinesche, professionisti e impiegati vanno al mare, o in montagna, o nella villa di campagna sui colli, studenti e professori dell'Alma Mater hanno finito gli esami delle sessioni estive e si concedono una pausa prima di riprendere con quelle autunnali; anche il sindaco è in vacanza.
Alle 10:25 del 2 agosto 1980, come è noto e come è giusto ed importante ricordare, una bomba esplode nel punto più nevralgico del capoluogo emiliano, dell'intero nordest, e qualcuno azzarda di tutta la penisola: l'affollatissima stazione ferroviaria di Bologna Centrale, uno snodo – a detta di molti appunto il più importante o quanto meno uno dei più affollati d'Italia – attraverso il quale passano migliaia di persone dirette ai luoghi di villeggiatura, di emigranti che tornano ai luoghi d'origine, gente in arrivo, in partenza, che aspetta la coincidenza. Una grande stazione che dà lavoro a dipendenti delle (allora) Ferrovie dello Stato, nonché facchini, baristi, edicolanti, agenti di Polizia Ferroviaria, taxisti, …
Settansei le vittime e centinaia i feriti, la morte dei più gravi fra i quali porterà il bilancio finale, nell'autunno di quell'anno, a ottacinque morti. Un'intera ala della stazione, compresi il ristorante, gli uffici, il sottopassaggio, e il treno fermo sul primo binario, furono devastati dall'esplosione (la bomba, nascosta in una valigia abbandonata, era stata deposta nella sala d'aspetto di seconda classe).
I soccorsi: immediata la mobilitazione della città.
Bologna la Dotta, Bologna la Grassa, ma anche Bologna l'Operosa e Generosa: lo sgomento, la paura, l'incertezza di quei primi momenti non fermano i bolognesi che prestano i primi soccorsi nel piazzale della stazione devastato dallo scoppio. Dai primi momenti infatti i sopravissuti possono contare sull'aiuto di coraggiosi volontari, seguiti a ruota da Vigili del Fuoco, forze dell'ordine e personale sanitario, che scavano le macerie, organizzano i soccorsi e il trasporto dei morti e dei feriti, offrono solidarietà e assistenza. Notoriamente, medici in ferie tornarono volontariamente in servizio, altri del circondario si precipitarono a coprire i turni dei loro colleghi ancora in villeggiatura o oberati dal lavoro extra, con gli autisti delle ambulanze collaborarono tassisti e conducenti degli autobus, sui cui mezzi trovarono posto le centinaia di feriti sopravissuti all'esplosivo ed ai crolli. Un autobus, il 37, verrà adibito al trasporto dei morti, un obitorio color rosso che farà la spola tra la stazione e le camere mortuarie di Via Irnerio e dei vari ospedali cittadini.
La gente di Bologna e la sua amministrazione reagirono prontamente allo shock, dando persino l'impressione dell'esistenza di un piano di soccorsi già confezionato, piano che, nelle parole del sindaco di Bologna in quel periodo, Renato Zangheri, “…fu unanimamente giudicato molto efficace […]. Un governo del Nord Europa ci richiese questo piano perché lo aveva trovato straordinariamente efficiente, ma, ripeto, non c'era. Ci limitammo a fare un lavoro di coordinamento.” [Bologna, 2 agosto 1980. Il racconto della strage, a cura di Cinzia Venturoli e Massimiliano Boschi, 2005, edito da Yema].