L'economia del terrorismo, ovvero quel che non vi insegnano alla Harvard Business School. Intervista a Loretta Napoleoni.

Una delle differenze chiave tra un'organizzazione come l'IRA e Al-Qaeda sta nel fatto che la prima nasceva da una cultura finanziaria che era fondamentalmente la stessa di quelli che attaccava, mentre Al-Qaeda, che sa parlare la lingua del capitalismo internazionale, ha anche il vantaggio aggiunto di un background in un sistema finanziario islamico con regole e pratiche molto diverse dal nostro e che l'Occidente nel complesso fatica a capire. “Sì, penso che il vantaggio in più che hanno è che loro conoscono il nostro sistema, mentre noi non conosciamo il loro”. Napoleoni specifica: “Nel caso dell'Ira, si muovevano all'interno dello stesso sistema. Detto ciò, è anche vero che l'IRA era in grado di sfruttare il sistema monetario internazionale istituzionale a proprio vantaggio, e non è mai stata fermata. Il problema è che i gov
erni non seguono mai il flusso di denaro. Penso che sia così perché il controterrorismo è gestito in primo luogo da persone che provengono o dal settore militare/poliziesco o da un ambito criminologico/sociologico. Non si ritrovano degli economisti a quel livello. Questo è un limite enorme”.

I terribili fatti dell'11 Settembre non hanno cambiato questa situazione. “Guardiamo, per esempio, alla composizione del Comitato contro il terrorismo del Consiglio di Sicurezza dell'ONU. Questo organismo sta cercando di rintracciare il denaro, ma non usa economisti, o banchieri. Perché no? Credo che la ragione sia una paura tremenda. Come affermo nel libro, esiste un'interdipendenza incredibilmente sofisticata tra i due sistemi [capitalismo e terrorismo]”.

Le interdipendenze e il costo del terrore.

Una delle dolorose verità svelate dalla lettura del libro della Napoleoni è che l'economia del terrore, valutata dall'autrice in millecinquecento miliardi (1.5 trilioni) di dollari l'anno, è integrata a tal punto nella nostra economia tradizionale che attaccarla avrebbe conseguenze economiche per la nostra stessa società. E offre un punto di vista interessante su alcuni degli atteggiamenti antiamericani diffusi in Europa, se si pensa che gran parte del denaro che è partito dall'America dopo l'introduzione del Patriot Act è approdato nelle banche dell'euro. “Nell'ultimo capitolo del libro,” continua Napoleoni, “analizzo le conseguenze economiche dell'Undici settembre; si vede che il dollaro ha sofferto enormemente. Il tentativo da parte degli Stati Uniti di frenare il flusso di denaro verso il paese è stato in realtà controproducente, perché è per questo motivo che è iniziata la discesa del dollaro. Se si interpellano i banchieri, questi diranno che il Patriot Act a loro non piace. I membri del sistema bancario non amano essere investigati, nè avere i propri clienti sotto inchiesta, e soprattutto non amano l'imposizione di responsabilità, che non è in effetti loro, cioè quella di rintracciare denaro sporco. Il lato veramente negativo del Patriot Act per i banchieri è che ora non riportare attività sospette è un reato penale”. Napoleoni non è estranea alle istituzioni finanziarie, avendo lavorato sia per il Fondo monetario internazionale che alla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Prosegue: “Parlavo con una manager di banca proprio la scorsa settimana, la direttrice di una piccola banca statunitense, e mi raccontava che le è capitata una situazione in cui c'era un conto sospetto e non sapeva proprio cosa stava succedendo. Quindi ha chiamato l'IRS (Internal Revenue Service) chiedendo se doveva comunicarlo. Le hanno detto: 'Non ti conviene avventurarti per quella strada – è troppo complicato. Basta che tu chiuda il conto'. Interessante, no? Perfino negli Stati Uniti questo controllo non è ben visto, perché nessuno vuole andare a infilarsi in questa catena di eventi”.

Prosegue: “Una conseguenza di ciò è che il denaro non lo stiamo rintracciando, poiché non entra più negli Stati Uniti. Non c'è stata nessuna scoperta grazie al Patriot Act di importanti conti dal terrorismo. Questi soldi ora stanno entrando in Europa, perché l'Europa è relativamente aperta. L'impatto di ciò è la diminuzione del dollaro e l'aumento dell'euro”. Una cosa che è stata discussa raramente, se mai, nei media. “Questo è un altro esempio di quanto potente sia quest'economia terroristica, tanto più perché è un'economia di liquidi. Cosa succederebbe se da un giorno all'altro, o in breve tempo, riuscissimo a sconfiggerla? Chiaramente entreremmo in recessione, perché, come nel caso degli Stati Uniti, avremmo un deprezzamento della nostra valuta. La verità è che in un mondo globalizzato è impossibile bloccare questi soldi. Se non riescono a infilarsi dentro col dollaro, useranno l'euro, se non possono usare l'euro, useranno il rublo o la valuta cinese. In un modo o nell'altro entreranno. Il vero problema è come fermarli, in un'economia globale. Penso che il modo per fermarli sia non tanto guardare il denaro quanto i 'flussi' di denaro, guardare in che direzione il denaro va. Bisogna cercare di bloccare le interdipendenze a livello commerciale e finanziario.

C'è un paradosso terribile, e cioè che mentre l'economia del terrore sta effettivamente crescendo, alimentata dalle molte aree di instabilità del mondo, questi cosiddetti stati-guscio, allo stesso tempo i costi operativi di Al-Qaeda si stanno riducendo. Come una efficiente corporation capitalista, beneficia del nome, cede le attività a terzi in zone a buon mercato, e diventa uno sponsor più che un 'produttore'. E' importante capire questo fatto, come puntualizza Napoleoni: “Non c'è una vera mappa della provenienza e della direzione in cui va in questa economia illegale. La maggior parte di questo denaro non è denaro del terrorismo, è denaro criminale. Il denaro per il terrorismo costituisce solo un terzo di questa economia illegale, e oggi Al-Qaeda ha bisogno solo di un terzo di quel che le serviva una volta, perché, prima di tutto, non deve pagare i 20 milioni di dollari che era solita sborsare al governo talebano. Si è riconvertita quindi non ha bisogno di condurre i campi di addestramento perché oggi li svolgono virtuali, per cui appare qualche pubblicazione per un paio d'ore in internet, viene scaricata dai suoi seguaci e poi scompare, un manuale self-help per il futuro mujahedin. Per completare il tutto, Al-Qaeda non ha nemmeno più bisogno di compiere o finanziare gli attacchi. Ci sono vari gruppi che o stanno cercando di emulare Al-Qaeda o si sono attivati col successo dell'11 settembre. Spesso questi gruppi sono autofinanziati: gli attacchi dell'11 marzo a Madrid per esempio sono stati completamente autofinanziati. L'ultimo attacco programmato, finanziato e condotto in prima persona da Al-Qaeda è stato l'Undici settembre”.

Un altra questione spiacevole ma vitale è che, mentre parliamo di somme di denaro e infrastrutture finanziarie enormi, in realtà le operazioni condotte da organizzazioni come Al-Qaeda o Hamas, dagli effetti devastanti, sono però operazioni a basso budget. Anche se nessuno può escludere la possibilità che le organizzazioni terroristiche cerchino armi biologiche, chimiche e persino nucleari, e abbiano i soldi per acquistarle, la cruda realtà è diversa. Da un punto di vista economico e di propaganda, la tattica degli attacchi suicidi funziona tremendamente bene. Uno degli approcci innovativi di Napoleoni all'analisi delle organizzazioni terroristiche è quello di esaminare le loro bilance dei pagamenti: ha cioè analizzato le varie possibili entrate, attraverso fonti tanto diverse quanto istituzioni benefiche, imprese legali, rapimenti, droghe e commercio estero, fino alle uscite, che includono i costi delle operazioni. In una cruda sezione del libro dal titolo “Un analisi dei costi-benefici degli attentati suicidi” ci viene mostrato che il costo dell'11 settembre non supera i 500mila dollari, ma l'impatto in termini finanziari eccede i 135 miliardi di dollari. Uno dei punti di forza del libro è che non rinuncia a presentare queste cifre scomode. I momenti di conforto sono pochi e lontani fra loro, e si possono capire, in parte, le titubanze editoriali a gestire questo materiale.

L'Arabia Saudita e lo &ap
os;scontro di civiltà'

Al momento di scrivere [Settembre 2004] pare che il tono della campagna presidenziale statunitense debba cambiare, dalla discussione di chi sia il capo del personale più qualificato all'aspetto economico, ma non nel senso raccomandato così caldamente da Loretta Napoleoni, quanto piuttosto in termini di esame dell'economia interna statunitense, con nessun riferimento al terrorismo. L'autrice dubita anche che un cambio alla Casa Bianca possa portare un cambiamento politico significativo riguardo la 'guerra' o proprio un giro di vite sui finanziamenti provenienti da nazioni come l'Arabia Saudita. “Probabilmente John Kerry non ha rapporti economici diretti con loro [i sauditi], ma neppure Bill Clinton ne aveva e, nonostante ciò, condusse, per quel che riguarda loro, una politica di protezione. Non dimentichiamo che l'Undici settembre è stato preparato e pianificato durante l'amministrazione Clinton e, come faccio presente nel libro, l'amministrazione Clinton bloccò molte inchieste, per esempio quella sul WAMY (World Assembly of Muslim Youth), che esiste ancora negli Stati Uniti, e che aveva chiari legami con i ribelli islamici, finanziandoli, in varie parti del mondo, e poi l'amministrazione Bush semplicemente mise fine alle inchieste. Non c'è quella gran differenza. Penso che John Kerry farà esattamente lo stesso, perché non ci sono alternative. Io penso però che delle alternative ci siano. Penso che quel che avrebbero dovuto fare, e più indugiamo più remota si fa questa possibilità, è di dialogare per davvero o instaurare un dialogo con le vere forze economiche che appoggiano Bin Laden. Parlare con quei mercanti, quei banchieri, parlare con le persone che effettivamente lo stanno finanziando, e cercare di negoziare nuovi accordi per i quali continuare a ricevere i benefici delle loro risorse. Più lo rimandiamo, più difficile diventa questo approccio. Alla fine però diventerà impossibile perché i sentimenti antiamericani saranno troppo forti”.

Pages: 1 2 3