LA MEMORIA DELLA SHOAH: PARLARE O TACERE?

Negli ultimi anni abbiamo assistito ad un moltiplicarsi delle pubblicazioni legate alla memoria dello sterminio ebraico e ad un aprirsi del mercato editoriale a questo tipo di prodotto in conseguenza ad una accoglienza positiva ed interessata da parte dei lettori. Questo non deve indurci a pensare che sia sempre stato così. Il percorso che ha portato la letteratura di testimonianza a conquistarsi un suo posto nel già di per sé difficile mondo dell'interesse collettivo, non è stato né facile né breve.

Ripercorriamone insieme le tappe.Nell'immediato dopo guerra il bisogno quasi fisico di cercare di disintossicarsi dal veleno di Auschwitz e la necessità morale e civile di portare testimonianza spinse molti sopravvissuti ad affidare il loro vissuto a libri di memorie.

Tra il 1946 e il 1947 escono diversi scritti di testimonianze. Il caso di Se questo è un uomo di Primo Levi, oggi opera di riferimento per la memorialistica dei Lager, è emblematico del clima che si respirava in quel determinato momento storico in Italia e non solo. Cominciato già all'interno del filo spinato di Auschwitz III, Se questo è un uomo venne ultimato da Levi al suo ritorno in Italia e presentato alla casa editrice Einaudi, (oltre che ad altri tre “grossi editori”), che decise di non pubblicarlo. E' importante sottolineare che facevano parte del consiglio editoriale della casa editrice Einaudi elementi del calibro di Cesare Pavese. Il libro venne in seguito edito nel 1947 per i tipi di De Silva, piccola casa editrice torinese pressoché sconosciuta che ne stampò 2500 copie, 600 delle quali si trovavano ancora invendute in un magazzino fiorentino quando nel 1966 la città venne sommersa dalla tristemente famosa alluvione.

Passarono sotto altrettanto silenzio anche le memorie di cinque deportate ebree: Frida Misul, Luciana Nissim, Giuliana Tedeschi, Teresa Noce, Liana Millu.

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