Il Saverio Costanzo Show: Private, un'opera prima d'autore.

Senza rivelare la conclusione del film, basterà dire che non finisce a tarallucci e vino: in una scena densa di questa emozionalità di cui parla il regista, il capo-famiglia e il comandante Ofer si ritrovano faccia a faccia seduti al tavolo della cucina e si chiedono a vicenda se non è ora che l'altro se ne vada. Poi se ne tornano ognuno al proprio angolo, al soggiorno-camera da letto il palestinese, e, dopo aver chiuso la porta a chiave, al piano superiore il soldato. Il regista non impone una morale, non dà giudizi, si limita a raccontare. Nell'era dei 'reality show' e del ritorno del documentario sul grande schermo (vedi The Corporation, Supersize me, fino al recentissimo Marcia dei pinguini), forse è questo che il pubblico cerca: vogliamo vedere per capire, per farci un'idea nostra sulle cose. E' duro Mohammed Bakri a questo proposito: “Gli italiani vedono solo quello che la televisione italiana gli fa vedere. Che è falso. Qui [in Private] abbiamo più dettagli […]. Avevo paura che il film potesse essere in qualche modo 'dolce' durante il lavoro, perché gli italiani cercano di essere bilanciati, diplomatici in tutte le occasioni. Ma giorno dopo giorno, lavorando insieme, discutendo, durante e dopo il lavoro ho avuto sempre meno paura”.

Anche Costanzo ammette che “tutti gli attori […] hanno fatto una scelta di grande coraggio, io credo, perché lavorare su un film del genere non era facile, anche dare la fiducia ad un gruppetto di italiani è un grande attestato di coraggio da parte loro, soprattutto in un film in cui era richiesto loro non solo di fare appunto la loro professione ma di mettere a nudo loro stessi, senza vie di fuga”. Ci sono stati, a quanto pare, momenti di tensione fra gli attori durante la lavorazione, proprio a causa della convivenza coatta e dei temi trattati. E forse questo ha contribuito alla veridicità delle scene relative all'occupazione o agli scontri fra la famiglia e i soldati.

Una cosa è la realizzazione del film, complicata magari, ma sicuramente fattibile quando c'è uno script interessante, un gruppo di attori bravi e motivati, una regia sensibile e professionale. Un'altra cosa possono essere la critica, la partecipazione a Festival 'd'autore', gli elogi degli esperti di cinema. Ma quali interrogativi pongono, per un film del genere, il finanziamento e la distribuzione? Mario Gianani, produttore, con la sua OffSide, del film insieme a Istituto Luce (responsabili anche della distribuzione in Italia), Cydonia e Rai Cinema, racconta, non senza un velo di polemica, i retroscena: “Il cinema è uno strumento pazzesco e universale. Avevamo in mano la credibilità delle storie, una storia che in Italia, Francia, Cecoslovacchia [sic], US avrebbe avuto lo stesso significato, se ha un significato. In più avevamo una storia che è la storia del nostro tempo: il conflitto in medioriente. Quindi già questi due elementi ci davano la possibilità di gestire questo progetto. Poi, immediatamente, come sa chi lavora in questo campo in Italia, non appena abbiamo detto che era un progetto non-italiano, abbiamo avuto dei rifiuti, ci prendevano per pazzi, ma noi eravamo molto sicuri che, se fatto bene, un progetto del genere ci avrebbe garantito di rientrare tutto ciò che avevamo investito. Non capivamo perché non ci stessero ad ascoltare, perché non ci dessero dei soldi. Abbiamo fatto un po' come ai vec
chi tempi: siamo andati in banca e abbiamo messo le nostre case a rischio, ci hanno dati i soldi, abbiamo cominciato da soli. Pian piano ci son venuti dietro prima il Luce, poi la RAI; nel momento in cui abbiamo vinto il premio chiaramente siamo diventati popolarissimi! E' stata una bella dimostrazione che si può fare cinema in questo modo, in maniera appunto liberale”.

Il film è stato distribuito in più di trenta Paesi, ed è stato mostrato anche in Israele e Palestina. In particolare, Costanzo racconta di quando hanno partecipato, nel settembre 2004, al Festival di Haifa “un po' impauriti perché era la prima volta che persone che appartenevano a quella guerra vedevano il film, però è stata una grande sorpresa. Eravamo alla proiezione in questo cinema e dopo c'è stato un piccolo dibattito. C'erano gli attori, tutto il cast, […] c'era un anziano signore che era stato militare nell'esercito britannico ai tempi della prima occupazione della Palestina, c'erano generazioni intermedie, un ragazzino che non era ancora stato nell'esercito, insomma molto trasversale. Ed è stato commovente perché loro ritenevano che fosse un film che li rappresentava, molto sensibile. C'era una ragazza che piangeva, non poteva smettere di piangere, io ero terrorizzato perché pensavo ce l'avesse con me e invece lei non riusciva a smettere di piangere per il film”. Ma gli israeliani presenti alle proiezioni di Private non si facevano illusioni in merito alle possibilità di trovare il film nei cinema o in DVD e “qualcuno per esempio veniva da me e mi chiedeva dove poteva trovarlo e io dicevo non lo so e loro, i più giovani, dicevano 'ma insomma dobbiamo cercarcelo su internet?' Cioè loro erano già convinti che il film non potesse avere una speranza di uscire in Israele. E questo è un po' il problema. […] una ragazza israeliana, figlia di e proprietaria di una grande casa di distribuzione israeliana, ha visto il film e subito ha detto 'lo compro'. Poi è tornata in Israele, ha parlato col padre, di una generazione diversa, e il padre ha detto no. Altro episodio, Eytan Fox, che è il regista di Walk on water e Yossi & Jagger, che è un regista molto importante in Israele, molto giovane e internazionale (distribuito anche in Italia), sta aprendo una distribuzione per questo film, perché sia proiettato in Israele”.

Costanzo spera che la presenza nel cast di Lior Miller, icona televisiva e idolo delle ragazzine in Israele, sia un'attrattiva sufficiente perché comunque almeno il pubblico delle nuove generazioni si interessi al film e lo vada a vedere, o comunque se lo procuri. Ma Mohammed Bakri, lo scorso gennaio qui a Bologna, era ancora più pessimista: “Credo che Saverio troverà molte difficoltà a distribuire questo film e forse alla fine non ce la farà a trovare un distributore, e per spiegarvi la ragione vi racconterò una storia: in Israele i mezzi di comunicazione sono in mano al governo, credo lo stesso in Italia. Un anno e mezzo fa ero sul divano a vedere la televisione con la mia splendida moglie, e vedevamo il telegiornale sul canale israeliano Channel 1. Mostravano un reportage su 20-30 mila lavoratori palestinesi che ogni mattina all'1:30 dopo mezzanotte lasciano la striscia di Gaza per trovarsi alle 7 di mattina a Tel Aviv. La distanza si potrebbe coprire in un'ora e loro ce ne mettono cinque, per la difficoltà ad attraversare i check-point fino a delle storie in cui prendono un taxi per andare in città a trovare un lavoro e poi non trovando lavoro, non hanno i soldi per tornare indietro col taxi. Ma l'immagine più commovente che ho visto è quella in cui il reporter si avvicina ad un uomo che sta sdraiato sulla strada con le mani che gli coprono il viso e gli chiede 'perché nascondi il tuo viso?', e l'uomo risponde 'non voglio umiliare i miei figli'. Dopo due settimane, il reporter è stato cacciato dalla televisione. Questo credo spieghi perché Private non sarà distribuito in Israele. Gli Israeliani non sanno veramente cosa accade nei territori, il governo non vuole che loro sappiano, perché se lo sapessero potrebbero fare una rivoluzione, una rivoluzione pacifica”.

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