Eleanor Rigby, di Douglas Coupland

“Ah, guarda tutti coloro che sono soli. Ah, guarda tutti coloro che sono soli. Eleanor Rigby raccoglie il riso in chiesa, dove è stato celebrato un matrimonio, e vive in un sogno. Aspetta alla finestra, indossando il volto che conserva in una caraffa vicino alla porta: per chi tutto ciò? Tutti coloro che sono soli, da dove vengono? Tutti coloro che sono soli, a chi appartengono?” Suona più meno così, in traduzione, l’attacco di Eleanor Rigby dei Beatles, canzone che colpisce al cuore non solo per i violini ‘rock’ voluti da McCartney, ma anche per il modello di donna (anch'esso sempreverde) tracciato acutamente in poche battute.

Solitudine e sogno, attitudine alla vita immaginaria e autostima da zitella sono anche le caratteristiche della nostra eleanorrigby@artic.ca, all’anagrafe Liz Dunn, trentasei anni portati malissimo e neanche un gatto a farle compagnia… insomma, il contrario della protagonista eponima di un romanzo. Ma solo apparentemente, perché: 1) Liz ha un sense of humour irresistibile, il suo sguardo ironico e la logorrea mentale conquistano immediatamente anche il lettore più distratto; 2) la nostra donna riflette continuamente sui vantaggi e gli svantaggi di essere single, brutta, anonima agli occhi dell’azienda, della famiglia, e in definitiva della società sempre più finta e omologante (e la cosa non può non riguardarci); 3) appena fuori da Vancouver, sua città natale, Liz si trasforma suo malgrado in una specie di Bridget Jones poco telegenica ma molto molto pericolosa. Per esempio, durante una gita scolastica a Roma, all’età di sedici anni, Liz ha fatto la sua prima ed unica esperienza sessuale, ritrovandosi incinta per grazia di un aitante sconosciuto. Il figlio nato da quel fugace e immemorabile rapporto, dato in adozione subito dopo il parto, torna all’improvviso dalla madre naturale e ne colora finalmente la vita (oltre che le pareti di casa).

Tutto questo ci viene raccontato nelle prime trenta pagine del romanzo, rischiando di ridurne la fabula a una brillante ma innocua commedia inglese. Ma con lo svilupparsi dell’azione e il ritrovato interesse del mondo (dei parenti in primis) nei confronti del brutto anatroccolo, la storia prende invece pieghe inaspettate, e Liz dovrà fare i conti con malattie inabilitanti, uso strumentale dell’handicap, ansie e orgoglio materni, e perfino con l’innamoramento. Situazioni banalmente e dolorosamente quotidiane, gestite da Coupland con le stesse armi del suo romanzo d'esordio (Generazione X), e cioè con dosi massicce di cinismo e auto-ironia ai limiti del surreale. Ora quel ragazzo prodigio è un uomo di quarantatré anni, ha affinato l’acume e il sarcasmo, e a partire da una canzonetta di Revolver ha creato una specie di libro-boomerang, tanto spassoso e avvincente in superficie quanto autentico e insidioso nel raccontare le nostre moderne insicurezze, a partire dall'ossessione per lo specchio (fisico o simbolico, ma comunque ‘giudice severo’ dell’immagine privata e pubblica di ognuno di noi).

Eleanor Rigby, di Douglas Coupland – Frassinelli, p. 277, euro 17