Dal racconto di una Vita a quello di Un giorno perfetto: intervista a Melania G. Mazzucco.

Si può dire che nei tuoi romanzi le donne sono sempre più forti degli uomini, nonostante questi ultimi sfoderino muscoli e successo?

Non credo di aver raccontato donne forti e uomini deboli. Sono semplicemente diversi: gli uni hanno forze che le altre non conoscono – e viceversa. E crollano in modi diversi. Le donne spesso implodono, gli uomini esplodono. Il personaggio di Diamante, per esempio, al contrario di Vita, in apparenza è un perdente. Nel senso che non raggiunge il successo terreno, non fa soldi, fa per tutta la vita un lavoro umile. Ma io non credo che il successo esteriore sia un segno di forza – e Diamante ha il mio più profondo rispetto: è un uomo libero. In Un giorno perfetto, donne e uomini cercano la stessa sfuggente felicità. Mi piace, negli uomini e nelle donne, la stessa vulnerabilità di fronte alla vita, al dolore, al disamore. Norma e il conte, Medusa e Peru, Enrico e Alma, Annemarie Schwarzenbach e Klaus Mann, Emma e Antonio: nessuno di loro vince o perde soltanto, come nessuno di noi vince o perde soltanto nella vita.

Tra tutti i personaggi di Un giorno perfetto, ce n'è uno a cui sei particolarmente affezionata, e perché (il mio, per simile destino – lavoratrice precaria – e forza di carattere è quello di Emma)?

Questa è una domanda alla quale un narratore non potrà mai dare una risposta univoca. Ci sbricioliamo in milioni di frammenti, come uno specchio rotto. Siamo dappertutto – nella torre di periferia e nel vagone del metrò, nella palestra durante la partita e nella stanza del delitto, coi poliziotti. Non siamo da nessuna parte – nessuno dei personaggi ci rappresenta o ci esaurisce. Una volta dicevo che gli scrittori fanno come i pittori del Rinascimento: si rappresentano in un personaggio marginale, non nei protagonisti (sono il pastore nel presepio, mai i Re Magi – e così via). L'autoritratto di un pittore spesso lo trovi in uno spettatore messo a lato della scena principale, che la guarda per noi. Ed è lì proprio per questo.
Amo Emma, perché volevo scrivere di questo personaggio da anni, e finalmente sono riuscita ad afferrarla. Ma anche Camilla che parla con le zanzare, o il professore giovane che sogna di lasciare la scuola e scrivere un romanzo. E tutti gli altri. Però alla fine, se devo dire dov'è che sto realmente, credo con il giovane agente scelto che insegue Valentina sull'ambulanza. Lui è lo spettatore e il narratore di questa storia, è il testimone – colui che vede per tutti noi.

Dopo Un giorno perfetto ho letto con grande passione Vita, che prima avevo scansato a causa di una copertina non troppo invitante e di un titolo altrettanto 'impegnativo'. Naturalmente mi è piaciuto moltissimo, anche perché ho ritrovato tra i nomi e gli elenchi di immigrati il luogo in cui sono nata, Gioiosa Jonica. Strano a dirsi, ma è stato un bello choc! Vorrei chiederti fin dove quel romanzo è ricostruzione storica e dove invece è intervenuta la tua immaginazione, e se nel processo di invenzione ti ha mai condizionato il fatto che stavi parlando della tua famiglia e non di personaggi letterari.

Pensa che qualcuno in quegli elenchi ci ha trovato il nome di suo nonno, o di suo padre! Ho lasciato i documenti crudi – grezzi – all'interno del romanzo, perché Vita è un'epopea collettiva, e mi sembrava doveroso ricordare – anche solo con un nome – quelle vite marginali e perdute. Per la stessa ragione, ho voluto raccontare di mio nonno e della donna che ha amato. Loro due rappresentavano tanti milioni di italiani. E la storia della mia famiglia non era solo la mia, era la nostra. Il romanzo unifica e dà lo stesso valore alla realtà dei fatti (ritrovata attraverso la ricerca, l'intervista dei testimoni eccetera) e la leggenda (i racconti che di quei fatti sono stati tramandati per generazioni e che io a mia volta ho ricreato). Vita è un romanzo sulla memoria, nato dalla memoria – mia, della mia famiglia, di un intero villaggio. La memoria inventa, distorce, crea, è follemente libera, e anch'io lo sono stata. Talvolta ho accettato la leggenda, perché mi sembrava che ciò che uno vuol far credere di aver vissuto è più importante di quello che davvero ha vissuto. Talvolta ho caparbiamente inseguito la verità, perché la bugia celava una trasgressione rifiutata, denunciava una censura, una violenza sociale etc. Ho cambiato – a volte
– nomi e date, spostando su un personaggio fatti accaduti a un altro. Però le linee generali della storia – la pensione, lo zio, gli amici, il gangster, New York e l'Ohio, le ferrovie, il tradimento etc – tutto questo è accaduto. Anche se, come mio padre mi ha insegnato, solo ciò che viene raccontato è vero.

Vita sta per diventare un film per la regia di Paolo Virzì. Che aspettative hai rispetto alla tua 'creatura'? Hai voluto partecipare alla sceneggiatura del film o ti fidi ciecamente della trasposizione che ne farà il regista?

Non ho partecipato alla sceneggiatura di Vita. Ho stima degli sceneggiatori che ci hanno lavorato a lungo (fra di loro c'è il maestro del cinema italiano Furio Scarpelli). Mi piacerebbe che Vita diventasse un film come quelli che ha scritto e che sono stati amati in tutto il mondo: film che riuscivano a farci ridere per non piangere, raccontando di argomenti anche seri e tragici in modo scanzonato, raccontando di italiani come noi. Penso a film come La grande guerra, Tutti a casa, C'eravamo tanto amati e tanti altri. Ho molta stima anche di Paolo Virzì, che ha cercato di rinnovare la lezione di Monicelli, Scola, Comencini. Credo che il film debba diventare una sua creatura. Si deve appropriare completamente di Vita, deve adottarla, crescerla, farla diventare altra cosa, e ri-scriverla sullo schermo – perché questo è il cinema.

Uno dei difetti che generalmente vengono rimproverati agli scrittori della tua generazione è il loro 'guardarsi l'ombelico', il limitarsi a scrivere quello che conoscono senza osare in territori nuovi. In questo senso sei fortemente atipica rispetto ai tuoi coetanei. Come mai? In che ambiente sei cresciuta, con quali modelli di riferimento?

Sono cresciuta in una famiglia insieme tradizionale e singolare. Mio padre – Roberto Mazzucco – era un commediografo; negli anni Settanta fu socio di un piccolo cabaret alternativo a Trastevere, nel quale facevano satira – anche politica. Scriveva anche per la radio e la televisione (il suo sceneggiato più famoso si chiamava Lo scandalo della Banca Romana, e ricostruiva uno scandalo dell'Ottocento che anticipa le vicende di Tangentopoli, o gli scandali bancari di oggi). Nella nostra casa c'erano solo libri, chiodi arrugginiti e sassi. La biblioteca era piena di saggi storici sull'anarchia e la rivoluzione russa, biografie di scrittori e testi teatrali dell'Ottocento, fumetti degli anni Trenta e volumi di poesie. I miei avevano amici attori e psichiatri, registi e pittori: le loro conversazioni mi affascinavano, li trovavo più interessanti dei miei coetanei, fra i quali, fino ai miei vent'anni, mi sono sempre sentita straniera. Ho avuto il privilegio di poter curiosare fra gli scaffali fin da bambina, di arraffare i libri proibiti di Sade o oscuri pornografi del Settecento nell'Inferno privato della nostra biblioteca, di scegliere Dostoevskij o Belli, Freud o Rostovzev – di muovermi liberamente nella biblioteca universale. Il teatro ha fatto parte della mia infanzia: ma non ho mai pensato di stare sul palcoscenico dalla parte dell'attore. Ho fatto invece il suggeritore, nascosta nella buca: ho imparato come nasce uno spettacolo, qual è il lavoro di costruzione di un testo, come suonano le parole. Credo che tutto questo mi abbia influenzato più dei miei studi successivi di letteratura e cinema. Ho viaggiato molto, ho conosciuto e frequentato persone di ogni tipo. Non mi sono mai guardata l'ombelico – forse perché sapevo che non c'era un diamante. Raccontare storie era quello che volevo fare. Sognavo di indossare l'anello di Gige e diventare invisibile, per poter vedere tutto e raccontare meglio ogni cosa.

Pensi che esista una scrittura 'femminile' o credi invece che la letteratura non abbia genere?

Mi scuserai se non posso rispondere a questa 'enorme' domanda in poche righe. Posso dire solo che le lettrici di oggi hanno un privilegio immenso rispetto alle donne di ieri. La maggior parte dei classici sono stati scritti da uomini: è attraverso il loro sguardo sul mondo che le lettrici dell'Ottocento e del primo Novecento si sono formate. Oggi invece una ragazza può leggere classici scritti da donne (penso a Woolf, a Yourcenar, Morante, etc), e conoscere il mondo anche con gli occhi di una donna. Questo è un enorme cambiamento, anche se molti critici letterari e molte storie della letteratura non se ne sono accorti.

Negli Stati Uniti le scuole di scrittura sono ormai un'istituzione, molti scrittori dicono di riuscire a produrre solo se lavorano dalle nove alle cinque di ogni giorno, sembra insomma che la letteratura sia un mestiere come un altro, basta avere solo metodo e costanza… Lo credi anche tu oppure è ancora giustificabile l'idea romantica dello scrittore che scrive se e quando ha l'ispirazione e il fuoco dentro?

La scrittura non è un mestiere come un altro, altrimenti basterebbe seguire un corso per 'diplomarsi' scrittori. Io non ho mai creduto nelle scuole, e mi sono sempre annoiata molto frequentandole. Mi considero, in tutto, un'autodidatta. Tuttavia bisogna chiarire che la scrittura è un lavoro – e richiede impegno, e fatica. Nessuno scrittore si siede al computer e butta giù il suo romanzo, o i suoi versi, improvvisando. La scrittura è lavoro di un giorno per trovare una sola parola, un mese per capire come raccontare una scena. E' buttar via un romanzo perché non viene, cestinare centinaia di pagine perché il tono è sbagliato, tagliare un personaggio magnifico che però non c'entra niente con la storia che stai raccontando. In questo senso, è una professione artigianale e il passatempo di un pazzo: costruiamo palazzi di sillabe, mettiamo lettere su lettere, mattoni su mattoni, per realizzare architetture vertiginose tenute insieme solo dalle parole. E questo, alla fine, richiede anche un po' di 'follia' – un forte sentimento dell'impossibile, dell'irrealtà, uno scollamento, un tradimento della logica del principio di realtà.
E' utile conoscere i meccanismi della narrazione, ma applicarli scolasticamente rende i romanzi fastidiosi e fasulli – dei prodotti, appunto. Alla fine non ci sono regole, né leggi, e ogni narrazione devi trovarla da te. Anzi, devi dimenticare quello che sai. L'unica cosa che serve veramente a chi scrive – come ha scritto benissimo Margaret Atwood – è trovare il tuo Tu. Il lettore ideale, colui per il quale scrivi. Con cui ti confronti, che vorresti conquistare, che spesso è anche chi ti mette in discussione, ti contesta, ti smonta. Si scrive sempre per qualcuno: è questo Tu la nostra scuola. Ma nemmeno il Tu può suggerirti le idee – l'invenzione, la Voce. Queste emergono da una zona più profonda del nostro Io. Né il metodo né la costanza possono condurle a te. Tutto ciò che possiamo fare è lasciare lo spiraglio perché possano affiorare.

Stai già lavorando a un nuovo romanzo? Resterai sul contemporaneo o pensi di tornare al romanzo storico, tutto sommato più rassicurante?

Non sono sicura di aver scritto romanzi storici. Il romanzo ambientato in un'altra epoca è per me un viaggio sull'unico pianeta nel quale non andremo mai – nel passato, e ciò significa spesso un viaggio nella morte. Il che automaticamente esclude che possa essere consolatorio o rassicurante. Scrivere di persone che sono scomparse cent'anni fa, o più, ti costringe a confrontarti con il senso dell'esistenza individuale. E' questo che mi ha spinto a scriver
e storie del Quattrocento, del Novecento e così via: ritrovare vite minime perdute, raccontare lo scontro fra la grande Storia e la piccola storia di Ognuno, il destino collettivo e la tragedia personale, e così via. Scriverò sicuramente altre storie di ieri – di uomini e donne che hanno vissuto, esattamente come noi, in altri tempi e luoghi. Però voglio continuare anche a scrivere del tempo inafferrabile della contemporaneità. In fondo questa è l'ambizione di ogni scrittore. Non c'è nient'altro che mi interessa tranne la vita.


www.UnGiornoPerfetto.it

Pages: 1 2