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Francesca Cellauro – Three Monkeys Online Italiano https://www.threemonkeysonline.com/it La Rivista Gratuita di Attualità & Cultura Thu, 08 Dec 2016 08:16:06 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.0.21 110413507 Negrita – Il Rock come attitudine – TMO intervista Pau dei Negrita https://www.threemonkeysonline.com/it/negrita-il-rock-come-attitudine-tmo-intervista-pau-dei-negrita/ https://www.threemonkeysonline.com/it/negrita-il-rock-come-attitudine-tmo-intervista-pau-dei-negrita/#respond Mon, 01 Aug 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/negrita-il-rock-come-attitudine-tmo-intervista-pau-dei-negrita/ Fra un mese esatto inizierà il loro tour estivo che li porterà, come sempre, su e giù per la penisola. Ma il 2006 per i Negrita è anche l'anno del debutto all'estero di L'uomo sogna di volare; l'ultimo album, che in Italia ha già venduto sulle centomila copie, è infatti in procinto di uscire in […]

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Fra un mese esatto inizierà il loro tour estivo che li porterà, come sempre, su e giù per la penisola. Ma il 2006 per i Negrita è anche l'anno del debutto all'estero di L'uomo sogna di volare; l'ultimo album, che in Italia ha già venduto sulle centomila copie, è infatti in procinto di uscire in Spagna, Francia e Sudamerica. Sono sulla scena dal 1992 e la loro carriera vanta record di presenze live, un'apparizione a San Remo, un paio di colonne sonore e altrettante nominations come miglior artista italiano in competizioni estere, due dischi d'oro e uno di platino, e infine un tour in Sudamerica che ha ispirato la maggiorparte del materiale e della musicalità de L'uomo sogna di volare. TMO ha avuto il piacere di intervistare, via email, Pau, il cantante e front man dei Negrita.In passato i Negrita si potevano considerare una band con un lato alternative-rock ed un lato più pop, quasi commerciale (senza accezioni negative): se sì, come siete riusciti a crearvi questa doppia identità? E come l'avete superata?

Mah… i Negrita hanno sempre avuto un background estremamente vario… Negli ascolti abbiamo sempre spaziato tra la grande musica che smuove le masse e fenomeni musicali più di nicchia… è un fatto fisiologico… è la nostra cultura. Non credo sia una doppia identità, è quel che siamo… e non penso nemmeno sia una cosa da superare…

Quale (se c'è stata) è stata l'influenza della 'non rock music' sul vostro sviluppo come band e sull'ultimo disco in particolare?

Da sempre penso che il rock non si identifichi esclusivamente con chitarre più o meno distorte o con la potenza di suono 'vomitata' dalla casse. Il rock è anche altro, è un'attitudine che si insinua nelle pieghe di un'espressione. Per me sono rock i Clash ma anche Bob Marley, sono rock i Mano Negra ma anche Caetano Veloso…

Negrita e Roy Paci con i suoi Aretuska hanno condiviso lo stesso palco in più di una occasione e con successo: quanto vi siete influenzati a vicenda e che tipo di collaborazione c'è fra voi?

Abbiamo molte zone di contatto, cose che abbiamo scoperto una notte preparando il primo maggio del 2005 davanti ad un tot di birra, parlando di musica. Questo ci ha fatto venire voglia di sperimentare altre cose assieme e di sognare progetti che dovranno ancora arrivare. Ma la 'benzina' fondamentale che ha appianato le differenze è diventata sicuramente l'amicizia.

Avete sempre preso ispirazione dalla scena musicale straniera. Un ragazzo che cresce musicalmente in italia è 'obbligato' a prendere spunti dall'estero? E' questa una sorta di mancanza di fiducia nella cultura musicale italiana? Per esempio, come vi ponete nei confronti del Festival di Sanremo e nei confronti di ciò che questa manifestazione rappresenta per la musica italiana?

La nostra cultura musicale soffre, da sempre, di esterofilia. E' una cosa con la quale dobbiamo fare i conti. Il mondo anglosassone, dagli anni '50-'60, ha fatto della musica un'industria forte che ha prodotto ed esportato 'colonizzando' una bella fetta di mondo, noi compresi.
In Italia la discografia non è così potente per tanti motivi, di conseguenza si fa poco di quel che si dovrebbe per valorizzare le cose. A puro titolo di esempio non esaustivo: le major sono sempre state quasi tutte a Milano, tranne rare eccezioni romane. Va da sé che tutto un patrimonio legato al Mediterraneo e al sud in genere vada a perdere potenzialità di sviluppo per mancanza di contatto vero, di vicinanza, di complicità… Le Indie, le indipendenti, hanno sempre avuto una potenza di fuoco limitata e spesso hanno perso il treno europeo, cosa che non è successa alla Francia, alla Spagna e alle nazioni del Nord… Quante band italiane conosciamo che frequentano abitualmente festival europei? Pochissime! Inoltre lo Stato non tutela di certo, come meriterebbero, le espressioni artistico-musicali dello stivale… e anche questo è un fatto!

Sanremo è un'altra cosa ancora. La Canzone Italiana, in passato, era fatta da straordinari interpreti spalleggiati da altrettanti straordinari autori che adesso, purtroppo, non esistono più… Avete presente quante fetecchie appaiono in video durante la settimana del festival? Se Sanremo rappresentasse veramente quello che si suona e canta in Italia ci sarebbe da mettersi le mani nei capelli… che non ho! E il nostro fantomatico pop esportato nel mondo? Senza nulla togliere a qualcuno, lo trovo spesso di una qualità… diciamo…. bassa, va'…
Potremmo stare qua a parlare per ore della situazione italiana… ma mi fermo qui.Quindi per tornare alla domanda: un ragazzo italiano non è certamente 'obbligato' a fare riferimento alla musica estera, ma di sicuro è fortemente 'incentivato'!

Riguardo la stesura delle canzoni: che cosa rende una canzone bella? E cosa una brutta? Quando componete una canzone, c'è un momento preciso in cui diventa chiaro che non funzionerà e sarebbe meglio cestinarla?

Si, c'è un momento in cui il cestino diventa la collocazione ideale per un pezzo. Credo invece che un brano diventi bello quando risponde a necessità espressive proprie di ogni singolo artista. Quando in primis stupisce positivamente chi lo ha composto… è già una gran cosa.

Quanto pesa il contenuto, il messaggio di una canzone? Per esempio Sale ha un messaggio molto forte, ma trasmesso in lingue diverse dall'italiano o ancora L'uomo sogna di volare viene lanciato fuori dall'Italia: è ovvio supporre che le persone che ascoltano le vostre canzoni non necessariamente parlano tutti questi linguaggi differenti. Quanto rilevanti devono essere allora i testi?

Io da anni ascolto musica con testi che stento a capire perchè non parlo bene inglese… ma non credo sia un problema insormontabile questo. I Negrita vengono da una cultura dove per fortuna anche il sound ha il suo fantastico ruolo… poi, chi vuole approfondire in genere si dà da fare. La musica ha anche questo stupendo potere… parlare oltre gli idiomi!

C'è un filo conduttore nel disco che lega tutti i pezzi? Se così è, di cosa si tratta? E' voluto o è venuto per caso? Oppure il disco tratta di temi imprescindibili tra loro e in un certo senso 'inevitabili' nel mondo di oggi?

Se esiste un filo conduttore credo sia da ricercare nello spirito con cui tutta l'avventura in Sudamerica e poi in Spagna è stata vissuta.
Le tematiche fanno parte del vissuto… quotidianità, temi internazionali, affetti etc. Scriviamo quello che vediamo. Mi sembra un buon modo per sentirsi autentici.

Rotoliamo verso sud: l'ascolto dell'album L'uomo sogna di volare evoca immagini di viaggi sia in senso fisico che mentale. A livello mentale, che tipo di destinazione è il sud?

Domandona da un milione di euro!
Il Sud è l'alternativa… il Sud è il panorama da osservare per controbilanciare lo strapotere dei vari Nord. Il Sud è sopravvivenza, sfruttamento, abbandono, ingiustizia, culla di cultura, passione, arretratezza e calore. Bada bene… vado oltre il sud italiano. In America il sud è la pattumiera del nord, avete presente cosa è successo in Argentina una manciata di anni fa? Oppure vogliamo parlare di Africa? Il Sud è una parte fondamentale di questa zolla di terra chiamata Mondo… urge un'idea di cerniera… il Sud merita il suo 50%!
Per il bene di tutti!

La distanz
a e lo spazio sono concetti ricorrenti nell'album (a noi pare che ci sia molto più spazio a livello del suono qui che in altre vostre produzioni). C'è un'immagine bellissima in Destinati a perdersi: “Destinati a perdersi in spazi troppo piccoli”. Che è l'opposto della visione tradizionale in cui uno si perde in spazi troppo grandi…

Vero! Ma il 'perdersi' non è solo una questione di spazi purtroppo…

Jim Crace, in un'intervista con TMO, ha detto: “Considera alcuni di quei libri meravigliosi che sono saltati fuori dalla Russia sovietica, un posto in cui ci si doveva rivolgere necessariamente alla letteratura per la verità, perché la Pravda, che significa verità, non la forniva. Considera la letteratura odierna in Inghilterra. Non credo che le democrazie borghesi e liberali tipo la nostra siano un ambiente molto adatto alla produzione di capolavori della letteratura, perché siamo troppo a nostro agio”. Voi avete suonato Sale, una canzone molto forte ed esplicita dal punto di vista politico, nel programma di Celentano, in cui uno dei temi dominanti era la censura televisiva. Secondo voi in Italia esiste la censura, e, se sì, quanto pesa? Nel panorama culturale italiano, stiamo assistendo ad un proliferare di energie e idee, dal punto di vista musicale, artistico e creativo in genere. La censura dell'informazione può essere uno stimolo alla creatività? Quando l'informazione è costretta in confini imposti dall'alto, questo diventa una spinta in più per cantautori, comici, registi, ecc?

Domanda complessa e vastissima…. bastardi!
Si, esiste una censura… ma sicuramente non di stampo fascista per come normalmente viene intesa. E' una censura più molliccia, visciduccia… moderna. Più determinata dalla paura che non dal rischio effettivo.
Non si permette alla base espressiva, agli artisti o ai giornalisti, di manifestare liberamente le proprie idee per non 'dispiacere' troppo ai quadri di potere alti, quelli superiori… la politica, la Chiesa etc. Quando invece qualcosa filtra, scatta un perbenismo classico italiano che sfiora addirittura una ridicola caccia alle streghe. Vedi per l'appunto RockPolitik o quello che sta succedendo in questi giorni per Il Codice da Vinci… tutti aspetti di una democrazia evidentemente molto, ma molto fragile. Celentano come Che Guevara? … o Dan Brown come Martin Lutero? Ah Ah Ah!C'è poi chi, per 'comodità' o per il quieto vivere, si applica un'autocensura… volontaria… cosa altrettanto poco edificante.
L'ormai famoso 'editto bulgaro' di Berlusconi invece, va considerato a parte: aberrazioni di potere da parte di un personaggio incontrollabile persino a se stesso.
La censura dell'informazione può essere stimolo alla creatività? Sì, ma solo per chi non ha paura di affrontarla.

Un momento cruciale per lo sviluppo come band dei Whipping boy, un gruppo irlandese, è stato dopo aver inciso la canzone Buffalo. A colloquio con TMO, ci hanno raccontato che un amico avrebbe detto loro: “ma voi non avete mai visto un bufalo, dovete scrivere di cose che conoscete” e per loro si è aperto un altro mondo: da quel momento hanno iniziato a scrivere di cose reali. Cosa ne pensate? Per voi funziona/funzionerebbe?

Mai mettere freni alla fantasia e all'espressività. Può andare bene tutto, tanto in musica decidono il cuore e lo stomaco, non la testa.

Il vostro sito web è molto ben fatto e dà l'impressione di un gruppo che tiene molto alle nuove tecnologie e alle loro potenzialità. Cosa pensate del web, dei ragazzi che scaricano musica da programmi tipo p2p, dei blog e dell'informazione su Internet in generale?

Non credo di essere il Negrita più adatto a risponderti… me la prendo con le molle la tecnologia… voglio che la mia vita sia distribuita tra cultura 'analogica' e 'digitale' e che nessuna delle due prenda il sopravvento. Sono nato troppi giorni fa, di conseguenza fanno parte di me anche cose che non appartengono a questi anni e alle nuove generazioni. Ed è giusto che sia così. Questo non vuol dire che non segua, che non sia attento… credo di essere uomo del mio tempo e in quanto tale capisco che le potenzialità del presente sono tantissime… ma so anche che non è tutto oro quel che luccica.

L'uomo sogna di volare sta per uscire in Spagna, Francia e Sudamerica. Cosa vi aspettate da questo lancio?

Potrei dirti che mi aspetto tante cose, ma non mi illudo… non dipenderà tutto da noi, le variabili sono tante. Dobbiamo ancora conoscere bene la cultura dei luoghi che andremo ad esplorare, le persone che lavoreranno al progetto fuori dall'Italia e quanto tempo investiranno, … i canali di distribuzione e promozione che conosciamo solo parzialmente… etc. etc. I Negrita e il loro staff si stanno già impegnando di brutto, questo è certo!
Alla fine mi aspetto solamente quello che meritiamo…. niente di più.

In ogni viaggio si raggiunge un bivio e si deve decidere se continuare o tornare a casa. Qual è il prossimo passo nel vostro viaggio musicale: continuare la sperimentazione, anche con il rischio di allontanarvi troppo da casa, o tornare al vecchio ma sempre valido rock?

Di solito mi considero un viaggiatore piuttosto che un turista e quando parto per un viaggio cerco, per quanto mi è possibile, di non decidere le meccaniche del rientro… Qualcuno ha detto che è più importante il viaggio in sé, piuttosto che la meta da raggiungere… la salita con la sua fatica e i suoi particolari da osservare e da capire piuttosto che la vetta…. e questa cosa mi ha sempre affascinato…

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Al limite del surreale: L'amore ai tempi della Bossi-Fini, un – ahimè – realissimo spaccato di vita nella 'nuova' Italia. Intervista all'autrice, Cristina Artoni. https://www.threemonkeysonline.com/it/al-limite-del-surreale-lamore-ai-tempi-della-bossi-fini-un-ahim-realissimo-spaccato-di-vita-nella-nuova-italia-intervista-allautrice-cristina-artoni/ https://www.threemonkeysonline.com/it/al-limite-del-surreale-lamore-ai-tempi-della-bossi-fini-un-ahim-realissimo-spaccato-di-vita-nella-nuova-italia-intervista-allautrice-cristina-artoni/#respond Fri, 01 Jul 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/al-limite-del-surreale-lamore-ai-tempi-della-bossi-fini-un-ahim-realissimo-spaccato-di-vita-nella-nuova-italia-intervista-allautrice-cristina-artoni/ L'amore ai tempi della Bossi-Fini della brava Cristina Artoni, attraverso sette storie di immigrati, racconta le esperienze in Italia di altrettanti 'irregolari', persone che, volenti o nolenti, si sono trovate imbrigliate nelle maglie della complessa macchina (dis)organizzativa della burocrazia italiana. Il titolo del libello-inchiesta edito da Bruno Mondadori è abbastanza ovvio, ma Cristina ci tiene […]

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L'amore ai tempi della Bossi-Fini della brava Cristina Artoni, attraverso sette storie di immigrati, racconta le esperienze in Italia di altrettanti 'irregolari', persone che, volenti o nolenti, si sono trovate imbrigliate nelle maglie della complessa macchina (dis)organizzativa della burocrazia italiana. Il titolo del libello-inchiesta edito da Bruno Mondadori è abbastanza ovvio, ma Cristina ci tiene a spiegarmelo: “[è] ripreso da un libro di Garcia Marques [L'amore ai tempi del colera], perché lui è un maestro nel raccontare il surreale e qui ci troviamo in questa condizione molto spesso per chi, diciamo, è un 'non italiano' – mi dà fastidio anche usare il termine straniero a volte…”.

I personaggi che si raccontano a Cristina vengono dal Togo, dal Brasile, Cuba, Ucraina, Canada, e si sono ritrovati in Italia non solo per amore: alcuni per lavoro, altri sì a raggiungere un amante, qualcuno è addirittura nato qui. Le domando su che base ha scelto la casistica illustrata nel libro e lei mi spiega che “dovevano essere dei casi esemplificativi di quello che è il panorama, il risultato di questa legge Bossi-Fini. Quindi, insieme ad un avvocato, abbiamo scelto i casi che potessero essere indicativi di quanto è assurda questa legge che costringe veramente le persone a finire in storie al limite del surreale”.

Mi soffermo volutamente sulla vicenda di Amor, il promesso sposo marocchino di una donna italiana originaria del bresciano, che ha trovato la morte nel baule della Golf della ragazza nell'agosto del 2004, mentre lei cercava di introdurlo clandestinamente nel nostro paese. In questo caso particolare non è forse eccessivo addossare la colpa della tragedia sulle regole di entrata in Italia? I due stavano seguendo le procedure e avevano avviato le pratiche per sposarsi (il che garantisce facilitazioni dal punto di vista legale e burocratico), quindi il ragazzo sarebbe eventualmente entrato in Italia in qualche modo. Non si è trattato, quindi, di una morte che, con tutta la compassione del caso e il rispetto per le scelte altrui, era facilmente evitabile? Cristina non è d'accordo: “Sì, poteva essere evitata, però da un certo punto di vista i due ragazzi avevano aspettato già un anno! Per chi si sia trovato in una situazione di questo tipo – ma forse nessuno di noi si è mai trovato in questa condizione – è difficile capirlo, però credo che l'urgenza dell'amore, per me è anche abbastanza imbarazzante spiegarlo, però l'urgenza c'è … Quando si è innamorati, si ha voglia comunque di percorrere percorsi comuni insieme, quindi credo che, visto che le prerogative per una vita tranquilla e non da 'clandestini in Italia', non illegale, era possibile, è strano tutto questo tempo perso. Credo che anche questo sia uno dei punti tragici della legge Bossi-Fini: dare così tanta discrezionalità alle ambasciate di scegliere sulla vita delle persone. Questa è una delle storie che mi ha commosso di più perché credo che morire in questa maniera, morire in assoluto in una situazione così, quando c'erano tutte le possibilità per essere felici, deve essere ancora più tragico”, mi dice con il tono emozionato di chi ha conosciuto una grande passione.

In Italia si stima ci siano, tra regolari e irregolari, ben più di centomila cinesi (104'952 permessi di soggiorno rilasciati, secondo i dati Istat aggiornati al 1° gennaio 2004, il che corrisponde al quinto gruppo nazionale), eppure neanche uno dei casi esaminati dall'Artoni riguarda questa folta rappresentanza. “Avevo pensato di coprire un po' tutte le aree geografiche, poi però è stato difficile e non riuscivo ad avere dei contatti sicuri con la comunità cinese, che comunque, come tutti sanno, è una delle comunità più chiuse in tutto il mondo e quindi ho preferito – avevo anche l'urgenza di chiudere il libro – lasciare perdere e andare su delle storie esemplificative, ma sicure” è la risposta della giornalista, che dimostra come l'autrice, evidentemente, abbia voluto fare un lavoro approfondito e circonstanziato. Rivela anche di essere ancora in contatto con alcuni dei protagonisti e di continuare a seguire le loro vicissitudini. Mi racconta per esempio che, dopo diversi anni, un numero imprecisato di tentativi di ricongiungimento familiare falliti, una cifra consistente spesa in mazzette e una buona dose di sfortuna, la moglie di Korima, togolese arrivato nel nostro paese nel 2002, è finalmente riuscita ad entrare in Italia regolarmente e i due hanno recentemente avuto una bella bambina. “Con tutti quanti mantengo un rapporto ormai proprio di amicizia, anche con l'avvocato che mi ha raccontato la storia più tragica, l'ultima, quella del caso di Amor. […] Le situazioni più difficili, quelle legate all'illegalità sono ancora queste, nel senso che sia per Luna [una ragazza cubana che ha seguito l'innamorato italiano conosciuto a Cuba e che è diventata, suo malgrado, apolide, non essendo riuscita ad ottenere al cittadinanza italiana e avendo perso nel frattempo quella cubana] che per il ragazzo brasiliano, Beto [che si è fatto 'assumere' come colf dal padre del fidanzato pur di garantirsi l'agognato permesso di soggiorno], la situazione è rimasta uguale. Luna è clandestina, Helena, la ragazza egiziana è rimasta clandestina”.

Mi domando quante delle difficoltà che gli immigrati devono affrontare siano legate a xenofobia, razzismo e quant'altro, e quanto invece al nostro sistema organizzativo, così burocratico e clientelare anche per noi cittadini italiani. Anche a me è successo qualche anno fa di dover accompagnare un amico (tra l'altro comunitario, per il quale, si presume, le procedure di entrata e registrazione debbano essere pressoché immediate) alla Questura di Bologna per richiedere informazioni sulla modulistica da presentare per la richiesta del tristemente famoso 'permesso di soggiorno'. Ai tempi c'era un ufficio appostito per le informazioni, oggi neanche più quello: per il semplice ritiro del modulo di domanda di rinnovo del permesso di soggiorni si è tutti soggetti, comunitari ed extra-comunitari, alla fila disumana per prendere un numerino che ti darà, dopo ore di attesa sotto i portici, il diritto di accesso allo sportello dove prelevare il sudato formulario.

Tornando al mio amico e al suo arrivo a Bologna, pur se consapevole che questo potrebbe essere un caso isolato e senza alcuna intenzione di generalizzare, non dimenticherò mai la maleducazione e l'arroganza dell'impiegata che ci spiegava come fare questa benedetta domanda di soggiorno. Ad un certo punto, alla mia richiesta di delucidazioni su quante e quali fotocopie era necessario allegare al formulario, mi ha trafitto con un “ma lei è italiana, no? Dovrebbe capire la nostra lingua”. Mi sono immaginata quanto possa essere difficile e terrificante per qualcuno appena arrivato qui avere a che fare con tale trattamento. Le risposi che saremmo tornati in un altro momento, possibilmente quando le fosse passata la sindrome pre-mestruale e lei divenne improvvisamente molto più socievole e disponibile. Ma chi non parla la nostra lingua, chi si sente un estraneo braccato, chi magari è arrivato clandestinamente, pagando qualche scafista senza scrupoli e senza alcuna conoscenza delle nostre leggi o delle nostre idiosincrasie, quelle persone che tutele hanno di essere trattati 'umanamente'? Cristina non ha dubbi e alla domanda “siamo razzisti noi italiani?”, risponde con un secco
“sì, siamo molto razzisti. Siamo razzisti e chiusi, direi. Non siamo abituati ad accogliere nuove culture e questo è un processo molto lungo. Io ho vissuto un periodo in Francia ed era uno degli aspetti che mi piacevano di più, anche se anche lì, come avete visto con l'esplosione delle banlieues le contraddizioni ci sono, però l'aspetto multiculturale è comunque presente ad esempio in una grande città come Parigi. Noi siamo razzisti e tendiamo a vedere, ancora una volta, nello straniero un nemico”.

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Mentre tutto scorre, i negramaro diventano famosi https://www.threemonkeysonline.com/it/mentre-tutto-scorre-i-negramaro-diventano-famosi/ https://www.threemonkeysonline.com/it/mentre-tutto-scorre-i-negramaro-diventano-famosi/#respond Sat, 01 Jan 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/mentre-tutto-scorre-i-negramaro-diventano-famosi/ Three Monkeys Online ha avuto il piacere di incontrare i negramaro un incandescente pomeriggio di luglio, ad Arezzo dove il sestetto salentino si apprestava a suonare sul Main Stage dell'Arezzo Wave Love Festival. I ragazzi sono stanchi e accaldati quanto noi, reduci come sono dal sound-check e da un paio di interviste per la televisione, […]

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Three Monkeys Online ha avuto il piacere di incontrare i negramaro un incandescente pomeriggio di luglio, ad Arezzo dove il sestetto salentino si apprestava a suonare sul Main Stage dell'Arezzo Wave Love Festival. I ragazzi sono stanchi e accaldati quanto noi, reduci come sono dal sound-check e da un paio di interviste per la televisione, ma ci accolgono in formazione completa sui divanetti della sala VIP, un tendone infuocato dove non tira un filo d'aria. Ermanno Carlà, il bassista del gruppo, introduce la band e la loro poetica. Dopo un paio di battute sulle loro origini (“in verità noi eravamo una ditta, lui [indica Giuliano Sangiorgi, il cantante] faceva l'idraulico”), mi rivela che si sono conosciuti “a scuola, all'università alcuni, alcuni invece in campagna e Giuliano, che è il cantante, già dai primi giorni, dai primi momenti aveva qualcosa da dire, e ci propose queste … [esita] poesie. E insieme abbiamo cominciato a mettere su una band, come tutte le band del mondo. Per coincidenza anche noi siamo nati sotto una cantina, e quindi abbiamo questo sound e questa concezione abbastanza 'ermetica', inizialmente, col primo disco [000577]”. I sei quindi si sono portati ognuno il proprio bagaglio, accomunati però da una passione per la “musica emozionale”, come la definisce Ermanno, e da un background “variegato ma comunque simile, a parte i classici, quindi i Doors, i Pink Floyd, ancor prima Jimy Hendrix, poi dopo negli anni '90, non so, i Nirvana e tutti i fautori del punk; adesso, quelle persone che hanno fatto serbo di queste grandi emozioni come i Radiohead, e adesso comunque realtà più giovani dai Coldplay in poi con cui ci sentiamo quasi fratelli, con tutta l'umiltà che si può mettere…”, finisce non proprio modestamente, con un sorriso accattivante.

Come si diceva i negramaro sono tutti salentini e del Salento hanno fatto inizialmente un manifesto a partire dal nome “che prende spunto da una qualità di uva del nostro posto che si chiama Negro Amaro” [N.d.R.: vitigno autoctono della Puglia, in particolare nelle province di Lecce, Taranto e Brindisi, il cui nome dovrebbe derivare dal colore molto scuro degli acini e dal sapore amaro del vino che se ne ottiene], poi il “clima, un modo di pensare, un aspetto culturale e artistico variegato e abbastanza complesso. E' una terra che sin dai tempi più remoti è stata culla pulsante di civiltà che hanno fatto la storia del mondo più che altro… [Ermanno ridacchia compiaciuto]… sempre mettendo in serbo quell'umiltà di cui ti parlavo…”

Con lo stesso entusiasmo di una prima intervista, il bassista prosegue e passa a descriverci al poetica dei negramaro, una “poetica dei contrasti o meglio degli ossìmori ('ossìmori', ho detto bene, no?) [sì, se lo dici alla greca, altrimenti in italiano, secondo il dizionario Garzanti, 'ossimòro', ovvero, la figura logica che consiste nell’accostare, nella medesima espressione, parole di senso opposto, per esempio un morto vivente, quale sembrano gli altri componenti della band, in questa specie di sauna naturale che è la 'sala vip' dietro al Main Stage dello stadio comunale di Arezzo], questi contenitori di emozioni che come un'asse si controbilanciano”.

OK, passiamo un attimo al futuro per poi tornare nel presente. Quali sono i piani, sono esportabili i negramaro, come sono esportabili? Andrea De Rocco, definito da Ermanno 'l'uomo del futuro' si risveglia da suo torpore e ci racconta il suo punto di vista in termini di esportabilità delle canzoni: “non c'è qualche cosa che sia vera, che venga dall'uomo che non possa essere fatta sentire fuori dall'Italia, dall'Europa, addirittura oltreoceano, quindi sicuramente noi speriamo che questo progetto vada fuori dall'Italia, in più posti possibili, e pensiamo che comunque abbia le carte giuste per farlo. Speriamo che l'energia che ci mettiamo dentro sia talmente tanto forte da poter coinvolgere anche chi non capisce l'italiano, chi non capisce la nostra lingua. Poi la musica è un linguaggio universale e quindi non crediamo che ci siano barriere a quello che esprimiamo con la musica”.

E qui si apre una piccola polemica quando suggeriamo cosa può capitare ad un cantautore straniero che mette tanta ispirazione, tanto lavoro nei testi delle canzoni, poi viene a suonare in Italia, e magari il pubblico non capisce le sfumature dei testi, non segue … Giuliano ci interrompe, sentendosi forse chiamato in causa, in quanto autore principale dei testi: “Penso che l'Italia sia invece l'esempio più grande di questa cosa, di quanto gli italiani capiscano la musica che viene dagli altri posti. Noi siamo più aperti, anzi a volte siamo più aperti verso l'estero che non verso noi stessi. La musica in inglese spopola in Italia, tutte le musiche spopolano in Italia, la musica etnica… Siamo attentissimi alla musica che viene da altri posti. Vorremmo che fosse anche il contrario per gli altri e non è facile”.

Ermanno si inserisce per dirsi convinto “che a livello storico anche la musica italiana, la musica operistica abbia insegnato a tutto il mondo come si fa, e come si possa arrivare [al successo] senza capire un testo”. Per rafforzare la sua teoria, Giuliano ci racconta come “da piccolo sentivo un brano, in inglese, e adesso mi sono accorto che, non avendo compreso allora, che quello che immaginavo era tale e quale a quello che sto capendo adesso. Perché? Perché i grandi lasciano il segno attraverso la loro musica, non soltando per il sound, per il testo, ma proprio per uno stretto legame fra i due. Allora il testo, la musicalità dello stesso testo diventano un tutt'uno. L'immaginario è facilitato all'opinione pubblica, la magia incredibile per cui tu riesci a immaginare quello che sta dicendo anche un arabo, se uno lo riesce a dire con le note giuste, al momento giusto, con l'anima giusta. E questo mi è successo da piccolo e me ne accorgo adesso, per cui spero, e penso, che sia lo stesso. Un successo come Andrea Bocelli adesso è questo: non penso che sia il successo degli italo-americani. Non è così? Spopola perché la musica operistica è storia…” Questa volta è Three Monkeys ad interropere per insinuare che con la musica rock però … “… non è mai successo, ma può succedere!”, risponde convinto Giuliano, ribadendo che “questa è una magia incredibile che si ripete nei grandi, secondo me, e non in quelli che fanno del confine territoriale la propria bandiera. A noi non interessa”.

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Bisogni e piaceri primordiali – Ciò che a me è proibito, potrebbe essere il tuo piatto preferito! https://www.threemonkeysonline.com/it/bisogni-e-piaceri-primordiali-ci-che-a-me-proibito-potrebbe-essere-il-tuo-piatto-preferito/ https://www.threemonkeysonline.com/it/bisogni-e-piaceri-primordiali-ci-che-a-me-proibito-potrebbe-essere-il-tuo-piatto-preferito/#respond Fri, 01 Oct 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/bisogni-e-piaceri-primordiali-ci-che-a-me-proibito-potrebbe-essere-il-tuo-piatto-preferito/ Devo ammettere di considerare me stessa una persona fortunata ad abitare in una città come Bologna, soprannominata la 'Grassa'. La varietà di pietanze in Italia è difficile a credersi da parte dei profani, e Bologna è indubbiamente considerata una delle capitali internazionali della buona cucina. Effettivamente, sono doppiamente fortunata, originaria come sono di una cittadina […]

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Devo ammettere di considerare me stessa una persona fortunata ad abitare in una città come Bologna, soprannominata la 'Grassa'. La varietà di pietanze in Italia è difficile a credersi da parte dei profani, e Bologna è indubbiamente considerata una delle capitali internazionali della buona cucina. Effettivamente, sono doppiamente fortunata, originaria come sono di una cittadina poco distante da qua, quella che per me rimane la capitale della gastronomia: Rimini, l'ombelico del mondo della cucina genuina, saporita e nutriente. Il fatto è che non sono religiosa, non seguo alcuna dieta particolare, né soffro di allergie alimentari o di disturbi cronici dell'apparato digerente. Altrimenti, supponiamo fossi vegetariana o mussulmana o celiaca, per esempio, non potrei certo disporre dello stesso assortimento di cibi, in un Paese dove carne, insaccati di maiale e pasta/pizza/pane sono al centro della pressoché totalità dei menu.

Il cibo, come e forse, per molti aspetti, più di altre esigenze o aspettative dell'uomo, è stato sballottato in qua e in là dalla maggiorparte delle religioni e dei sistemi politici. Il nutrimento non è solamente un bisogno fisiologico; le nostre scelte in termini di mangiare sono anche influenzate dalla cultura, dalle tradizioni e dalle convenzioni sociali. Il mio scopo qui è quello di esplorare questa diversità di opzioni e preferenze, per stimolare la vostra curiosità più che esprimere guidizi di merito o fornire una lista esaustiva di cibi proibiti.

Proviamo ad iniziare da qualche stereotipata limitazione dettata dalla religione. E' piuttosto riduttivo affermare che a mussulmani ed ebrei è vietata la carne di maiale. Nella Bibbia, per portare un esempio, ci sono liste interminabili di cosa è kasher o taref, o in altri termini quali cibi sono permessi e quali proibiti al 'popolo eletto':

“Questi sono gli animali che potrete mangiare fra tutte le bestie che sono sulla terra. [3]Potrete mangiare d’ogni quadrupede che ha l’unghia bipartita, divisa da una fessura, e che rumina. […] Potrete mangiare quanti hanno pinne e squame, sia nei mari, sia nei fiumi. [10]Ma di tutti gli animali, che si muovono o vivono nelle acque, nei mari e nei fiumi, quanti non hanno né pinne né squame, li terrete in abominio. […] [13]Fra i volatili terrete in abominio questi, che non dovrete mangiare, perché ripugnanti: l’aquila, l’ossìfraga e l’aquila di mare, [14]il nibbio e ogni specie di falco, [15]ogni specie di corvo, [16]lo struzzo, la civetta, il gabbiano e ogni specie di sparviere, [17]il gufo, l’alcione, l’ibis, [18]il cigno, il pellicano, la fòlaga, [19]la cicogna, ogni specie di airone, l’ùpupa e il pipistrello. [20]Sarà per voi in abominio anche ogni insetto alato, che cammina su quattro piedi.” [Levitico 11]

oppure:

“Questi sono gli animali che potrete mangiare: il bue, la pecora e la capra; [5]il cervo, la gazzella, il daino, lo stambecco, l’antilope, il bufalo e il camoscio. [6]Potrete mangiare di ogni quadrupede che ha l’unghia bipartita, divisa in due da una fessura, e che rumina. [7]Ma non mangerete quelli che rùminano soltanto o che hanno soltanto l’unghia bipartita, divisa da una fessura e cioè il cammello, la lepre, l’ìrace, che rùminano ma non hanno l’unghia bipartita; considerateli immondi; [8]anche il porco, che ha l’unghia bipartita ma non rumina, lo considererete immondo. Non mangerete la loro carne e non toccherete i loro cadaveri. [9]Fra tutti gli animali che vivono nelle acque potrete mangiare quelli che hanno pinne e squame; [10]ma non mangerete nessuno di quelli che non hanno pinne e squame; considerateli immondi. [11]Potrete mangiare qualunque uccello mondo; [12]ecco quelli che non dovete mangiare: [13]l’aquila, l’ossìfraga e l’aquila di mare, il nibbio e ogni specie di falco, [14]ogni specie di corvo, [15]lo struzzo, la civetta, il gabbiano e ogni specie di sparviero, [16]il gufo, l’ibis, il cigno, [17]il pellicano, la fòlaga, l’alcione, [18]la cicogna, ogni specie di airone, l’ùpupa e il pipistrello. [19]Considererete come immondo ogni insetto alato; non ne mangiate. [20]Potrete mangiare ogni uccello mondo.” [Deuteronomio 14].

E non è soltanto la lista della spesa ad essere tenuta sotto attento controllo, anche le tecniche di macellazione degli animali o le regole di cottura sono estremamente regolate. In campo di proteine animali ad esempio, la carne kasher sembrerebbe detenere il primato della salubrità, in quanto gli animali sono attentamente selezionati, attraverso i processi di shechita (macellazione) e b'dikath (controllo sanitario), e trattati in modo tale da offrirti la certezza di non ritrovarti mai una bestia non sana nel piatto. Un'altra regola 'classica' è quella per cui gli ebrei non possono consumare latte (e latticini) e carne nello stesso pasto. Una delle ricette preferite di mia madre, l'arista di maiale al latte, sarebbe quindi considerata doppiamente scandalosa in una cucina di ebrei praticanti! I prodotti ittici devono essere limitati ai pesci che abbiano pinne e scaglie, e persino l'assunzione di frutta e verdura viene sottoposta a strette regolamentazioni: è infatti vietato mangiare i frutti di una pianta per i primi tre anni di vita della pianta stessa.

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Dal Chiapas a Mexico D.F. https://www.threemonkeysonline.com/it/dal-chiapas-a-mexico-d-f/ https://www.threemonkeysonline.com/it/dal-chiapas-a-mexico-d-f/#respond Sat, 01 May 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/dal-chiapas-a-mexico-d-f/ Il nostro, ahimè breve, intermezzo guatemalteco si è concluso degnamente con un viaggio di ritorno verso il Messico a dir poco audace: prima un bus da Xela, con cambio forzato a Huehuetenengo, per La Mesilla (il vero paese di frontiera: infatti la frontiera è più grande del paese!), 4-5 km di terra di nessuno in […]

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Il nostro, ahimè breve, intermezzo guatemalteco si è concluso degnamente con un viaggio di ritorno verso il Messico a dir poco audace: prima un bus da Xela, con cambio forzato a Huehuetenengo, per La Mesilla (il vero paese di frontiera: infatti la frontiera è più grande del paese!), 4-5 km di terra di nessuno in taxi, collectivo a Comitán e poi un altro fino a San Cristóbal, Chiapas, passando attraverso 3-4 posti di blocco. Ad uno di questi ci fanno pure scendere e l'ufficialetto di turno si diverte, come il gatto col topo, a stuzzicare i tre gringos (uno autenticamente proveniente dagli States, e noi due europei): Entonces, que van a hacer en Chiapas, tienen sellos en el paseporte, trahen drogas, …???Quando finalmente siamo in dirittura d'arrivo la via di accesso alla città è bloccata da una protesta popolare. Poco male, noi non abbiamo fretta!

Ma eccoci finalmente a San Cristóbal de las Casas, una città bellissima che prende in parte nome da un frate spagnolo, Fray Bertolomé de Las Casas, uno dei primi (e, all'epoca, dei pochi) a difendere i diritti della popolazione indigena delle Americhe contro i Conquistadores. Bartolomé prese parte al tristemente famoso dibattito di moda in Spagna ai tempi: ma gli Indios hanno un'anima o no?San Cristóbal è la capitale culturale e morale dello stato del Chiapas, e centro della rivoluzione zapatista. Per chi vive fuori dal mondo, l’esercito di liberazione nazionale zapatista (EZLN) è un movimento nato alcuni anni fa’ sulle montagne del Chiapas, con lo scopo di combattere il latifondismo ancora presente in Messico, di ridistribuire le terre ai campesinos, e quindi di migliorare le loro condizioni di vita. L'EZLN può contare sul supporto della popolazione locale, soprattutto nei villaggi sparsi sulle montagne, ma anche a San Cristóbal (la protesta di cui sopra era infatti a sostegno della liberazione di alcuni prigionieri politici, arrestati nell'ambito della lotta governativa contro gli zapatistas.

Il capo carismatico di questo esercito rivoluzionario è il sub-comandante insurgente Marcos, che di campesino non ha nulla, si rumoreggia infatti che sia un filosofo dell’Università di Ciudad de México. Fuma la pipa, indossa un passamontagna, e cavalca un mulo. Beh, con tutta questa preparazione alle spalle, eravamo quasi speranzosi di incontrare uno o due di questi combattenti girando per le strade in salita di San Cristóbal, ma il sub-comandante e i suoi rivoluzionari se ne sono rimasti nascosti nella giungla, a ponderare i loro prossimi interventi contro il governo del Presidente Vincente Fox, che da parte sua in quei giorni era oltremodo occupato con il suo (controverso) matrimonio, nonchè a rinsaldare la sua amicizia con George W. Bush. Purtroppo gli unici Zapatistas che abbiamo visto sono bamboline di pezza con tanto di passamontagna e fucile di legno, alcune a cavallo, altre più tristemente appese ad un anello portachiavi…!!!

Da San Cristóbal si raggiunge il villaggio di San Juan Chamula, la cui chiesa è famosa per la mancanza di panche o paramenti e per le migliaia di candele e aghi di pino che ricoprono il pavimento. Sfortunatamente, il giorno in cui l´abbiamo visitata noi, stavano facendo le grandi pulizie: una squadra di uomini in ginocchio raschiava il pavimento dalle incrostazioni di cera, mentre gli aghi di pino li avevano giá spazzati via. Devo dire che dopo le chiese indios in Guatemala, questa non è stata una grande sorpresa. Ai due lati della navata ci sono le classiche statue di santi, questa volta ingabbiati in cabinotti di vetro tipo le vecchie cabine telefoniche della SIP, con indosso camicioni colorati, stile parrucchiera anni '70, e uno specchio al collo. Quando ho chiesto al guardiano il motivo dello specchio, mi ha risposto che i santi sanno di essere graziosi e vogliono ammirarsi – anche secondo me mi prendeva per i fondelli, ma poichè la nostra guida riferiva di turisti impertinenti picchiati a bastonate dal servizio d'ordine, non ci siamo azzardati a fare ulteriori commenti!

Lasciamo San Cristóbal e i suoi 2100m slm per passare qualche giorno di relax a Puerto Angel, nello stato di Oaxaca. Mare, sole, pesce fresco, e qualche turista: un paradiso! Le onde del Pacifico fanno apparire i nostri cavalloni mediterranei come piccole increspature, e c'è un'atmosfera rilassata, da paese di pescatori. Puerto Angel non è così famoso, per lo meno in Italia, quanto il suo cugino maggiore, Puerto Escondido, di riminescenza Salvatoresca, o il fratellino hippy, ovvero la spiaggia di Zipolite, dove un paio di scoppiatoni prendono il sole nudi su una fetta di sabbia sporca e infestata da siringhe.

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Viaggi in terra Maya: Messico e Guatemala in autobus https://www.threemonkeysonline.com/it/viaggi-in-terra-maya-messico-e-guatemala-in-autobus/ https://www.threemonkeysonline.com/it/viaggi-in-terra-maya-messico-e-guatemala-in-autobus/#respond Thu, 01 Apr 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/viaggi-in-terra-maya-messico-e-guatemala-in-autobus/ [Il racconto che segue è tratto dai diari di un viaggio assolutamente e rigorosamente indipendente che ci ha portati dallo Yucatan a Ciudad de Mèxico, passando da Guatemala, Chiapas, Oaxaca e un paio di città minerarie dell'Altopiano della Sierra Madre.] Stiamo aspettando la colazione in un cafè con tre tavoli, di cui due coperti da […]

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[Il racconto che segue è tratto dai diari di un viaggio assolutamente e rigorosamente indipendente che ci ha portati dallo Yucatan a Ciudad de Mèxico, passando da Guatemala, Chiapas, Oaxaca e un paio di città minerarie dell'Altopiano della Sierra Madre.]

Stiamo aspettando la colazione in un cafè con tre tavoli, di cui due coperti da tovaglione di lana colorata. Le pareti intorno a noi sono dipinte per darti l'impressione di esserti perso in una jungla alquanto surreale: un grosso orango tiene in mano uno smoothie e sorride di soddisfazione, e poi alberi, pappagalli, ragni giganti, giraffe, tucani ed una leonessa, oltre a ranocchiette colorate ed altri animali a dir poco psicadelici sparsi qua e là. Uno degli spigoli è occupato da una cascatella azzurra, e dietro di noi c'è un enorme elefante che sembra venire alla carica. Due palme (finte? secche?) sono tenute su dallo scotch da pacchi e la televisione è (ovviamente) accesa ed a tutto volume. Forse la señora dalla cucina segue il talk show mattutino mentre ci prepara tacos, salbutes, panuchos, y frijoles refritos. Il gusto delle tortillas appena cotte mi ha fatto quasi commuovere…

Ma andiamo con ordine! Prima tappa è stata Isla Mujeres, al largo diCancun: qualche giorno per acclimatarsi con il caldo, le zanzare, el’idea di essere in Messico. Poi Tulum, rovine Maya a picco sul Caribe blu, spiaggia bianca e fine (un po’ sporchetta in qualche tratto), palme da cocco, palapas, ambiente hippy. La prima settimana messicana è trascorsa pigramente tra una nuotata e un pollo asado (arrosto). Dalla costa ci siamo poi diretti a Merida, città coloniale capitale dello stato dello Yucatan. Nel percorso abbiamo visitato Coba' e Chichén Itza, rovine di città che appartengono allo splendido passato della civiltà Maya.
A Coba' ci siamo fermati una notte alla stazione del bus che funziona anche da hotel e ristorante. Ricardo ci ha servito cerveza y comida del dia. 22 anni, un'intelligenza vivace, il rispetto e l'amore per le tradizioni perdute, quelle Maya, a partire dal linguaggio che lui conosce a dispetto del fatto che, oramai, non è più insegnato nelle scuole. I bambini lo imparano dai genitori, però purtroppo la lingua si sta mescolando allo spagnolo, per cui prima o poi è destinata a scomparire. Per esempio: 'grazie' si dice 'yuntzil boutik', che letteralmente significa 'dio ti ripagherà'. Oggigiorno però si dice 'dios boutik', del resto è cambiato anche il dio….. Ricardo sembrava molto triste quando ci ha parlato della versione maya dell'inno nazionale e ha confessato di non ricordare oltre la prima strofa (che peraltro ci ha cantato in un bisbiglio!)
Le rovine, a Coba', sono mezzo sepolte nella jungla ed è un po’ un'avventura trovare i vari monumenti. Un patetico tentativo di scalare la piramide maggiore è finito in totale fallimento: scalini ripidissimi e mezzo rotti e paura delle altezze sono un cocktail micidiale, perfetto per un attacco di panico ad un terzo della scalinata!!! Ci siamo però rifatti a Chichén Itza, dove siamo arrivati in cima a El Castillo, la piramidona di Kukulcán, quella con le teste di serpente. Ahhhhh, che soddisfazione! E che panorama: sei più in alto delle cime degli alberi! Col binocolo abbiamo osservato Chac mool, col suo sorrisino sardonico mentre aspetta cuori umani in cima al Templo de los Guerreros.Scendere: una mezza tragedia (mi chiedo capiterà che qualcuno si rifiuta di venire giù e allora che si fa?!). Me la sono fatta, elegantemente, tutta di sedere, uno scalino alla volta! Non si sa tanto dei Maya e di come utilizzassero questi sontuosi edifici. Certo ci sono molte teorie, e studi, e musei, ed esperti. Ma io mi chiedo: se lo Yucatan e il Chiapas sono tuttora abitati da popolazioni Maya che si tramandano la lingua e il calendario di generazione in generazione, com'è che si sono scordati di come i loro avi usavano le piramidi e i palazzi? O sarà forse che non ce lo vogliono dire?!

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