Mentre tutto scorre, i negramaro diventano famosi

Three Monkeys Online ha avuto il piacere di incontrare i negramaro un incandescente pomeriggio di luglio, ad Arezzo dove il sestetto salentino si apprestava a suonare sul Main Stage dell'Arezzo Wave Love Festival. I ragazzi sono stanchi e accaldati quanto noi, reduci come sono dal sound-check e da un paio di interviste per la televisione, ma ci accolgono in formazione completa sui divanetti della sala VIP, un tendone infuocato dove non tira un filo d'aria. Ermanno Carlà, il bassista del gruppo, introduce la band e la loro poetica. Dopo un paio di battute sulle loro origini (“in verità noi eravamo una ditta, lui [indica Giuliano Sangiorgi, il cantante] faceva l'idraulico”), mi rivela che si sono conosciuti “a scuola, all'università alcuni, alcuni invece in campagna e Giuliano, che è il cantante, già dai primi giorni, dai primi momenti aveva qualcosa da dire, e ci propose queste … [esita] poesie. E insieme abbiamo cominciato a mettere su una band, come tutte le band del mondo. Per coincidenza anche noi siamo nati sotto una cantina, e quindi abbiamo questo sound e questa concezione abbastanza 'ermetica', inizialmente, col primo disco [000577]”. I sei quindi si sono portati ognuno il proprio bagaglio, accomunati però da una passione per la “musica emozionale”, come la definisce Ermanno, e da un background “variegato ma comunque simile, a parte i classici, quindi i Doors, i Pink Floyd, ancor prima Jimy Hendrix, poi dopo negli anni '90, non so, i Nirvana e tutti i fautori del punk; adesso, quelle persone che hanno fatto serbo di queste grandi emozioni come i Radiohead, e adesso comunque realtà più giovani dai Coldplay in poi con cui ci sentiamo quasi fratelli, con tutta l'umiltà che si può mettere…”, finisce non proprio modestamente, con un sorriso accattivante.

Come si diceva i negramaro sono tutti salentini e del Salento hanno fatto inizialmente un manifesto a partire dal nome “che prende spunto da una qualità di uva del nostro posto che si chiama Negro Amaro” [N.d.R.: vitigno autoctono della Puglia, in particolare nelle province di Lecce, Taranto e Brindisi, il cui nome dovrebbe derivare dal colore molto scuro degli acini e dal sapore amaro del vino che se ne ottiene], poi il “clima, un modo di pensare, un aspetto culturale e artistico variegato e abbastanza complesso. E' una terra che sin dai tempi più remoti è stata culla pulsante di civiltà che hanno fatto la storia del mondo più che altro… [Ermanno ridacchia compiaciuto]… sempre mettendo in serbo quell'umiltà di cui ti parlavo…”

Con lo stesso entusiasmo di una prima intervista, il bassista prosegue e passa a descriverci al poetica dei negramaro, una “poetica dei contrasti o meglio degli ossìmori ('ossìmori', ho detto bene, no?) [sì, se lo dici alla greca, altrimenti in italiano, secondo il dizionario Garzanti, 'ossimòro', ovvero, la figura logica che consiste nell’accostare, nella medesima espressione, parole di senso opposto, per esempio un morto vivente, quale sembrano gli altri componenti della band, in questa specie di sauna naturale che è la 'sala vip' dietro al Main Stage dello stadio comunale di Arezzo], questi contenitori di emozioni che come un'asse si controbilanciano”.

OK, passiamo un attimo al futuro per poi tornare nel presente. Quali sono i piani, sono esportabili i negramaro, come sono esportabili? Andrea De Rocco, definito da Ermanno 'l'uomo del futuro' si risveglia da suo torpore e ci racconta il suo punto di vista in termini di esportabilità delle canzoni: “non c'è qualche cosa che sia vera, che venga dall'uomo che non possa essere fatta sentire fuori dall'Italia, dall'Europa, addirittura oltreoceano, quindi sicuramente noi speriamo che questo progetto vada fuori dall'Italia, in più posti possibili, e pensiamo che comunque abbia le carte giuste per farlo. Speriamo che l'energia che ci mettiamo dentro sia talmente tanto forte da poter coinvolgere anche chi non capisce l'italiano, chi non capisce la nostra lingua. Poi la musica è un linguaggio universale e quindi non crediamo che ci siano barriere a quello che esprimiamo con la musica”.

E qui si apre una piccola polemica quando suggeriamo cosa può capitare ad un cantautore straniero che mette tanta ispirazione, tanto lavoro nei testi delle canzoni, poi viene a suonare in Italia, e magari il pubblico non capisce le sfumature dei testi, non segue … Giuliano ci interrompe, sentendosi forse chiamato in causa, in quanto autore principale dei testi: “Penso che l'Italia sia invece l'esempio più grande di questa cosa, di quanto gli italiani capiscano la musica che viene dagli altri posti. Noi siamo più aperti, anzi a volte siamo più aperti verso l'estero che non verso noi stessi. La musica in inglese spopola in Italia, tutte le musiche spopolano in Italia, la musica etnica… Siamo attentissimi alla musica che viene da altri posti. Vorremmo che fosse anche il contrario per gli altri e non è facile”.

Ermanno si inserisce per dirsi convinto “che a livello storico anche la musica italiana, la musica operistica abbia insegnato a tutto il mondo come si fa, e come si possa arrivare [al successo] senza capire un testo”. Per rafforzare la sua teoria, Giuliano ci racconta come “da piccolo sentivo un brano, in inglese, e adesso mi sono accorto che, non avendo compreso allora, che quello che immaginavo era tale e quale a quello che sto capendo adesso. Perché? Perché i grandi lasciano il segno attraverso la loro musica, non soltando per il sound, per il testo, ma proprio per uno stretto legame fra i due. Allora il testo, la musicalità dello stesso testo diventano un tutt'uno. L'immaginario è facilitato all'opinione pubblica, la magia incredibile per cui tu riesci a immaginare quello che sta dicendo anche un arabo, se uno lo riesce a dire con le note giuste, al momento giusto, con l'anima giusta. E questo mi è successo da piccolo e me ne accorgo adesso, per cui spero, e penso, che sia lo stesso. Un successo come Andrea Bocelli adesso è questo: non penso che sia il successo degli italo-americani. Non è così? Spopola perché la musica operistica è storia…” Questa volta è Three Monkeys ad interropere per insinuare che con la musica rock però … “… non è mai successo, ma può succedere!”, risponde convinto Giuliano, ribadendo che “questa è una magia incredibile che si ripete nei grandi, secondo me, e non in quelli che fanno del confine territoriale la propria bandiera. A noi non interessa”.

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