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to "sidebar-1" to silence this notice and keep existing sidebar content. Please see Debugging in WordPress for more information. (This message was added in version 4.2.0.) in /home/threemon/public_html/it/bwp/wp-includes/functions.php on line 4239The post <i><b>Perché tu mi hai sorriso</b></i>, di Paola Calvetti appeared first on Three Monkeys Online Italiano.
]]>In questa condizione (che si è autoimposta) di isolamento fisico e psicologico, Nora cerca ansiosamente le risposte a questi angoscianti interrogativi e contemporaneamente mette progressivamente a fuoco il proprio disagio esistenziale di donna che, giunta nella sua quinta decade di vita, è insieme figlia, moglie e madre.
Gli altri personaggi del romanzo rimangono costantemente nell'ombra, appaiono psicologicamente lontani dal disagio esistenziale di Nora, sfuggenti, e ambigui: la madre forse nasconde un segreto terribile ma, oramai anziana e resa muta dalla malattia, non può confermarlo o smentirlo; il marito, freddo e cinico avvocato, conduce probabilmente da tempo una doppia vita; la figlia, adolescente scontrosa, sta trascorrendo un periodo di studio all'estero e tiene contatti con la madre sostanzialmente solo tramite sms. L'atmosfera risulta piuttosto 'torbida' e permeata di un pessimismo strisciante: subito nelle prime pagine leggiamo una tra le più fredde e squallide dichiarazioni di matrimonio e una tra le più ciniche definizioni di 'verità legale'. Tutto il romanzo viene inframezzato con ripetuti flash back sul primo amore della protagonista (ovviamente finito male!), alternato con delle brevi digressioni riguardanti tragiche storie d'amore di artisti famosi (Modigliani, Chopin, Cechov, Shelley) che Nora ha il vezzo di collezionare.
Come negli altri romanzi dell'autrice, la musica rappresenta lo scheletro portante del romanzo, tuttavia si tratta di musica più parlata che ascoltata, più 'vissuta' che suonata: i titoli dei capitoli sono titoli di canzoni e il restauro di un vetusto strumento musicale (il fortepiano) a cui Nora si dedica con religiosa dedizione, accompagna la protagonista nel suo viaggio interiore alla riscoperta di se stessa. Alla resa dei conti ovviamente la realtà risulta molto diversa da come ci era apparsa: tutto il romanzo è scritto in prima persona (è Nora che parla, ed è lei che descrive la sua versione della realtà), tranne l'ultimo capitolo (l'unico senza un esplicito titolo musicale), scritto come un'arringa legale, che svela ciò che è veramente accaduto e sottrae i personaggi all'ombra restituendoceli sotto una luce nuova.
Il romanzo è apprezzabile per l'atmosfera avvolgente che trasporta il lettore all'interno dell'animo di Nora, permettendogli di vivere e soffrire con lei le vicende presenti e passate della sua vita. E' scritto con il consueto stile dell'autrice, ricercato nelle parole ma piano e lineare nella sintassi, particolarmente adatto a mantenere il lettore accanto alla protagonista in questo viaggio dentro se stessa.
Perché tu mi hai sorriso, di Paola Calvetti – Bompiani – pp. 224.
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]]>Il regista all'esordio è Paul Haggins (già sceneggiatore canadese candidato all’Oscar per Million Dollar Baby) che si dimostra fine osservatore, attento e non banale. Non è facile descrivere il film senza entrare nel merito dei singoli episodi (rovinando in tal modo la visione): non possiede una vera trama, né veri protagonisti. Matt Dillon (tenero angelo in privato e viscido demone in pubblico, che tuttavia saprà riscattarsi) e Sandra Bullock (ricca moglie wasp, razzista e xenofoba … ma si ricrederà) non hanno un ruolo più importante degli altri attori sconosciuti. Il film descrive una serie di persone che incrociano i propri destini quotidiani in una schizofrenica Los Angeles che mescola ciò che rimane del sogno americano con gli inferni delle periferie senza speranza, rivelando tra le righe le ipocrisie e le insensatezze dell'american way of life.
E' un film contro i luoghi comuni, contro gli stereotipi, contro l'idea che nella vita quotidiana esistano, ben distinguibili, i buoni e i cattivi. Bastano 36 ore per farci capire quanto sia sottile la linea che separa il bene dal male. Impariamo che il giovane poliziotto 'buono' può diventare, suo malgrado, un freddo killer e quello 'cattivo' (che in realtà tanto cattivo fin dall'inizio non è) un angelo salvifico; vediamo come è possibile arrivare al bene facendo il male e commettere il male perseguendo il bene.
E' un film soprattutto sulle minoranze etniche: ci ricorda che non basta un aspetto da ispanico tenebroso per fare un criminale, né una divisa da poliziotto per fare una brava persona; ci insegna che l'atteggiamento razzista del bianco nei confronti del nero per quanto disgustoso non lo è mai quanto quello del nero 'arrivato' nei confronti del 'fratello' meno fortunato. Ci insegna che El Salvador, Portorico e Messico non sono la stessa cosa e che non bastano delle fattezze medio-orientali per fare un arabo (ma per rappresentare il personaggio femminile più bello del film, sì!). E in mezzo alla rabbia, alla violenza e alle assurdità di questo microcosmo impazzito, rimane spazio anche per la favola, delicata e struggente, che permette a una stupenda bambina ispanica, di mantenere gli occhi aperti su un mondo fiabesco senza spalancarglieli alla cruda vita reale.
Insomma è un film tragico ma non completamente pessimista (perché dimostra come la possibilità di redenzione seppure remota e difficile può realizzarsi nei modi più impensati), che lascia lo spettatore con un senso di tristezza ma non gli nega la speranza di un mondo migliore.
Un film che non si può definire realista (perché le singole vicende che si susseguono di per sé assolutamente realistiche non sono, nel loro fitto intrecciarsi) bensì 'veritiero' nel senso che la vita è veramente un susseguirsi di chiaro-scuri, un infinito succedersi di infinite tonalità di grigio in cui non c'è posto per tutto ciò che pretende di essere solo bianco o solo nero.
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]]>Cominciamo subito col dire che la pasta da colazione (anzi da cappuccino) è solo e soltanto la brioche, o cornetto, o croissant, o come la volete chiamare. Chiaramente esistono paste molto più buone ed elaborate, ma inadatte per la colazione. Si fa presto a dire brioche (come si fa presto anche a dire cappuccino!); partiamo quindi con una sommaria descrizione di come deve essere la brioche 'doc' e come fare a riconoscerla.
Consistenza
La consistenza della pasta deve essere croccante, quasi sfogliata; mangiandola deve scrocchiare in bocca (soprattutto i 2 angoli), liberando nell’aere leggere scaglie che si sfogliano dal pezzo principale e planano dolcemente sul tavolino o sul piattino. Se qualcuno cerca di mangiarla 'alla fighetta', cioè senza morderla direttamente, bensì spezzandola in pezzetti con le mani, tali pezzi devono staccarsi in modo abbastanza netto dal corpo centrale, rilasciando le scaglie di cui sopra. Se schiacciata con le mani la brioche tende a frammentarsi un poco e a rimanere schiacciata: diffidare di quelle a consistenza gommosa che una volta sciacciate ritornano subito dopo alle dimensioni e alla forma originali!! Ricordarsi sempre che la brioche dentro deve essere vuota (torneremo dopo sul concetto di vuoto!), per cui diffidare anche delle brioche pastose, piene di pasta mal cotta all’interno; per i perversi amanti del genere tanto vale prendere un maritozzo o una focaccia !!
Colore
La cialda deve essere di color marroncino, più chiaro che scuro, striato: occhio agli angoli e alla base che se troppo scuri sono indicativi di un’esagerata cottura, il che ne aumenta il grado di croccantezza, ma ne inficia la qualità del sapore.
Superficie
Sopra alla brioche deve starci lo zucchero vanigliato, che mentre addenti il pezzo si stacca assieme alle scaglie e ti sporca (fastidiosamente, ma è giusto così!) il cappotto o la giacca. Se lo zucchero non si stacca è un brutto segno poiché significa che la consistenza della pasta è molliccia e quindi tende ad assorbire lo zucchero stesso. Tollerabile l’assenza di zucchero sulla brioche, così come la presenza della granella di cioccolato (questa sì, al contrario dello zucchero, deve essere strettamente adesa alla superficie della cialda e staccarsi solo assieme ad essa e non da sola). Intollerabile la presenza di cacao in polvere (anche se la brioche è al cioccolato!), o la glassa (dio ce ne scampi!!!)
Ripieno
Torniamo un attimo al concetto di 'vuoto': se la brioche dentro non è piena di pasta ma vuota, il motivo è … che va riempita con qualcos’altro! Anche la brioche più buona del mondo, con la pasta perfettamente fragrante, vuota è incompleta, un pò come la pizza margherita o l’insalata di riso senza maionese! Per quanto riguarda il ripieno, per comodità parleremo di nutella, ma quanto segue è applicabile anche alla crema.
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]]>Alcune premesse:
1. Bebo non ama il caffè come tale per cui non si dilungherà sulle caratteristiche del caffè stesso, anche perché non se ne intende per niente. Mi piace solo quell’aroma di caffè che smorza il dolce del latte.
2. Fino ai 31 anni, Bebo aveva bevuto non più di 5-6 cappuccini in tutta la sua vita, per cui l’enorme esperienza accumulata in tal senso è incredibilmente maturata in soli 4 anni!
3. Il cappuccio va rigorosamente accompagnato dal cornetto (o pasta affine) ma non ci sarà tempo oggi di parlare anche di questo.Bebo di solito chiede al barista la seguente bevanda: “un cappuccino molto cremoso col caffè ristretto”. Sembra facile, ma in realtà non lo è!! Prima di tutto 'cremoso' non vuol dire 'con molta schiuma' per il semplice fatto che la crema non è la schiuma!! Devo ammettere che, poiché in alcuni bar il barista alla parola cremoso casca dalle nuvole, talvolta uso anch’io la parola schiuma, ma è improprio!!
Circa due anni fa sono capitato casualmente per la prima volta nel mio attuale bar di fiducia e la barista (tale Elena) alla mia richiesta (impropria) di un cappuccino con la schiuma , mi rispose: “…ma lo vuoi con la schiuma o cremoso, perché, sai,… non è la stessa cosa…!” Ecco, in quel momento ho capito che quello sarebbe diventato il mio bar di fiducia. Adesso Elena non c’è più ma l’ho vista con i miei occhi – offuscati dallo zucchero velo dei cornetti che mi andava sugli occhiali – insegnare alle nuove leve come si fà un cappuccio cremoso!!
La 'crema' di latte è caratterizzata da un’altissima coesione molecolare che si estrinseca nei seguenti modi:
1– anche se supera il bordo della tazza non cade fuori;
2– la 'crema', stando lì, non deve abbassarsi di livello nella tazza (come fa la squallida schiuma; in realtà ci sono anche vari tipi di schiuma, a piccole, medie, o grosse bolle. Per non dilungarci troppo sottolineo solo che la schiuma che più si avvicina alla crema è quella a piccole bolle);
3– quando ci metti i 'canonici' 2 cucchiaini di zucchero (e su questo punto qualcuno non mi venga a tirare fuori la questione delle bustine che sono più igieniche della zuccheriera… magari parleremo di questa stronzata un’altra volta!!), dicevo, quando ci metti lo zucchero sopra, esso rimane sospeso o, in caso di 2 cucchiaini un pò abbondanti, sprofonda molto, molto lentamente e solo dopo che è stato versato anche il secondo cucchiaino: il primo, da solo, non deve scendere mai!!
4– quando immergi il cucchiaino per girare devi avere la sensazione che il cucchiaino faccia un tutt’uno con la crema, un blocco unico, per cui quando giri il cucchiaio, la massa di crema deve girare sostanzialmente insieme ad esso (rendendo un pò più lunga l’opera di mescolamento, il che tra l’altro, secondo la teoria per cui la tecnica del mescolamento rispecchia quella dell'amplesso, non guasta);
5– una volta mescolato, il (poco!) caffè che c’è sul fondo non deve fare assumere alla crema un colore marroncino diffuso, bensì deve formare delle striature scure sul latte bianco, senza mai mescolarsi completamente al latte stesso;
6– dopo che lo hai portato alle labbra, deve rimanere un 'baffo' di crema di latte sulle labbra stesse;
7– quando hai finito di berlo deve rimanere una patina di crema all’interno della tazza, (non solo sul fondo ma anche sulle pareti!) che abbisogna, per essere tirata su tutta col cucchiaino, di almeno 3 passaggi.The post Dissertazione semi-seria sul 'cappuccio'. appeared first on Three Monkeys Online Italiano.
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