Ogni cosa è illuminata? Intervista a Jonathan Safran Foer

Jonathan Safran Foer dice di non essere mai stato particolarmente interessato alla storia di famiglia e non aver mai dato peso alle sue origini ebree. Poi andò in Ucraina con un vecchio fotografo e si ritrovò a scrivere un libro sprofondato nella cultura ebrea.

“Uno dei maggiori vantaggi della scrittura è che ti da la possibilità di vedere chi sei. Ho scritto di molte cose in cui non sapevo di essere interessato prima di scrivere il libro, come l’essere ebreo, come la storia di famiglia; quindi vedi l’evidenza ed è come se io non fossi quello che pensavo di essere. Penso che spesso ci sbagliamo circa quel che siamo. Una delle cose belle della scrittura è che sei spinto a dare uno sguardo al tuo io indifeso.”

Ogni cosa è illuminata (2002 Ugo Guanda editore) è la prima opera di Safran Foer. E’ un debutto spettacolare, esilarante, linguisticamente brillante, ambiziosamenete costruito e commovente.

Diviso nettamente in due storie che si intersecano, il libro racconta la storia fittizia del villaggio di Trachimbrod, dove il nonno di Foer è cresciuto e che fu più tardi distrutto dai nazisti. Il tutto è raccontato nello stile del realismo magico. Parallelamente si svolge la versione fittizia del viaggio di Foer in Ucraina durante il college. L’ultima parte è raccontata non da Foer ma da Alex, un personaggio (fittizio) ucraino il cui inglese ingarbugliato apporta gran effetto al racconto.

Il libro prende spunto dalla storia di famiglia dell’autore. I nonni di Foer scamparono dall'Olocausto in Ucraina. Rimane una vecchia fotografia, che secondo la tradizione di famiglia ritrae suo nonno e la donna che l’ha salvato dai nazisti. Foer, all’età di 22 anni si recò in Ucraina con la fotografia. Egli dice che non vi è similitudine alcuna tra il proprio viaggio in Ucraina e la storia descritta nel libro, tranne che lo spunto iniziale. Ma allora che cosa lo ha spinto a scrivere questa particolare storia?

“Avrei potuto scrivere qualsiasi tipo di storia, la storia in se stessa non è così importante come il modo di raccontarla. Ho scritto questo perché aveva a che fare con quello che succedeva nella mia vita; avevo 22 anni, alle soglie della maturità e indipendenza. Pensavo molto a chi stavo per diventare, il che sempre, immagino, richiede la domanda: ‘Da dove sono venuto?'”

Il modo in cui Foer ha scelto di raccontare la storia è inusitato e complesso. Il libro è attentamente costruito e di proposito confonde il lettore dall’inizio. Sono rimasta sorpresa di scoprire che quando gli ho domandato qualcosa di più a proposito del contrasto tra contenuto e forma, Safran Foer ha insistito sull’importanza del modo in cui raccontare una storia e sulla scrittura come processo istintivo:”Ho scritto nel modo più semplice che potevo. Il modo in cui il libro è scritto serve a facilitare il racconto. Una delle cose importanti per me nello scrivere è il creare esperienze di vita il più complete possibile. Allo scopo di creare una esperienza completa, volevo voci differenti, voci dal passato, voci dal presente, qualcosa di carino e qualcosa di orribile”.

Nonostante questa apparente ricerca dell’equilibrio, dice di non aver avuto alcuna struttura particolare in mente: “Io non so, in verità, cosa andrò a fare quando inizio. Seguo solo quello che mi pare adatto, cerco di scrivere cosa pare adatto. E’ un processo alquanto intuitivo in realtà.”

E’ difficile riconciliare questa insistenza sulla semplicità e intuizione con la risposta iniziale e con l’uso combinato di realismo magico ed inglese distorto. Perchè scegliere il realismo magico? Lo scrittore Tim Parks descrisse i realisti magici come socialisti delusi che si muovono all'interno di “un mondo dove si celebra il potere della creatività e dell’ immaginazione della gente … e dove la tua trama funziona meglio perchè non obbedisci più alle regole del realismo ed il realismo stesso è presentato come una specie di mostro che impedisce al mondo di essere quel che dovrebbe essere”. Ho presentato la citazione a Foer: pensa che Parks abbia ragione?”Non saprei; penso che forse per la maggior parte degli scrittori l’idea di scrivere sia nata proprio così. Io personalmente non ho coscienza di nulla di simile quando scrivo; il processo di scrittura è proprio intuitivo. E’ stupefacente di quande cose non sono stato cosciente e quandoriguardi indietro ti poni delle domande. In tutta onestà, perseguivo quello che ritenevo giusto fare.”

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