Milano – Sanremo e la gioia di vivere

Giornata coperta. Nebbiosa. Da giorni mi girano nel capo le scene di Matrix in cui Morpheus offre una capsula blu e una rossa a Neo.

“Scegli tu la rossa o la blu. E' l'ultima tua chance. Ingoia la blu e tutto finirà. Ti sveglierai nel tuo letto e crederai che tutto quello che vedi sia vero. Ingoia la rossa e t'incuneerai nel budello tortuoso della verità e vedrai un'altra realtà.”

Qualche volta sì, ho la sensazione che la vera vita sia in un altro mondo, in un mondo parallelo a questo. Qualche volta penso davvero che questo mondo sia il-non-mondo. Qualche volta mi sembra di non-vivere: e larvatus prodeo (mi aggiro come fantasma fra fantasmi), come diceva Cartesio.

Accendo la tv e un budellone, un serpentone colorato vedo snodarsi lungo il mare. Fascinoso e invitante che si intorciglia veloce lungo un nastro d'asfalto: che corre, corre, corre!

Ci si bracca, ci si caccia…ma per cosa, mi chiedo?

Rimango lì e dimentico la capsula blu o rossa.

M'infilo in un'altra dimensione che corre parallela.
Vedo cinque ragazzi (Casper, Isasi Flores, Righi, Santambrogio, Simeoni) che da chilometri pedalano come matti verso qualcosa che non vedranno mai. Eppure pedalano!
Il serpentone, quasi un avvoltoio, incombe su di loro, e come Alice nel Paese delle meraviglie scivola nelle strettoie tra Capo Mele e Andora, risucchiandoli.
Alla volta di Capo Berta il collo dell'avvoltoio dai tanti colori si assottiglia fine fine verso una nuova vittima sacrificale, il giovane Agnoli. Che emette un bellissimo canto di cigno e poi scompare ingoiato da questo falco-serpente che vola rapido e impietoso alla caccia.

Ma di che? mi chiedo ancora.

Giù si butta a precipizio verso la strettoia di Oneglia lambendo delicatamente con le ali l'infernale rotonda.
Ormai sono preso da un senso altro. Ormai sento una vita pulsare in me che avevo dimenticato.
Sento il sangue, il sudore, i nervi, i muscoli gonfiarsi allo spasmo.
Vedo il sangue. Vedo i lividi di chi cade in mezzo alla strada sbattendo sulle pietre e sull'asfalto e si lacera le carni, abbandonato impietoso dall'avvoltoio che non guarda mai dietro di sé.

Ma dove corrono? di nuovo mi chiedo.
Ma che ci sarà alla fine di questo correre senza senso?

Si attacca la Cipressa ed ecco uno sgraziato, goffo animale in punta di sellino che mostra i suoi lombi all'affamato avvoltoio. Eppure anche lui, Masciarelli, sa che non ha scampo. Ma sa che è suo dovere provarci. Provarci a non avere paura!

Da un altro mondo ricompare Valverde dato per morto, ma risuscita nella testa dell'avvoltoio per partogenesi. E anche lui pedala in avanti, verso un futuro senza gloria.
Bocche aperte aspirano aria, denti digrignanti, smorfie di sofferenza e spasmo, su volti gocciolanti di sudore da cui traspira una vera fatica, e non metafisiche seghe mentali.

Ma questa è la vita! Questa è la dimensione vera della vita! E non i lemuri che ci circondano ovunque in questa valle di ombre, che è il mondo della vita normale!!
Giù come pazzi per 25 curve, rischiando le ossa, senza un attimo di paura alla caccia di Celestino divinato da una lucida follia.

Poi compaiono gli angeli custodi, biancocelesti. Pedalano leggeri, sembrano volare e portare un senso a tutto quel correre.
E loro dicono no ad un Bettini straordinario che insieme a Kashechkin provano a sottrarsi alla legge dell'avvoltoio.
Sul Poggio altri si immolano a velocità supersonica. Ma l'avvoltoio guidato dai suoi angeli custodi non perdona. Uno ad uno si catapultano fuori dal becco ma lui li risucchia chilometro dopo chilometro.

Ma che faccia avrà quest'avvoltoio?
I suoi angeli me lo nascondono. Lo confondono.
Lui non si rivela. Aspetta, solare.
Fine della discesa del Poggio. Si entra nel rettilineo.
Quattrocentocinquantametri.
Il cuore batte forte.
Si corre come in un silenzio irreale. In un vuoto assordante di nervi, muscoli gonfi e di ruote che picchiano sull'asfalto. La tensione è alta. A mille.
Cinquanta metri.
I muscoli stanno per esplodere. I nervi anche.
Eccolo l'avvoltoio!
Esce fuori.
Si guarda intorno. Quasi incredulo di vedere gli altri deboli e impotenti corrergli dietro, lui stende le ali e va là dove va la gioia, la felicità della carne e del corpo, ad abbracciare in un colpo di reni a braccia alzate la gioia dello spirito.
E io salto in aria davanti alla tv, e anch'io alzo le braccia al cielo come Alessandro Petacchi.
Anch'io vivo! fuori finalmente dalla terra di nebbie e ombre che ti risucchia giorno dopo giorno!

Ma questa è la vita! questa è la realtà di uno sport inviso a certe ombre e nebbie di neri lemuri e larve bieche. Annidati in uffici scuri e segreterie umide, tristemente seduti dietro asfittiche scrivanie pronti a fagocitarlo giù: gelosi della vita e della gioia che dalla spensierata fatica trasuda.