Mi presenti i tuoi?

Il sequel di Ti presento i miei è uno di quei fenomeni che smuovono province e città in direzione del secondo spettacolo serale del venerdì. Quelli che chiudono le folle negli orrendi multisala postindustriali almeno un paio d'ore prima dell'inizio, data la necessità di un parcheggio, di un posto non in prima fila, di una cena da migliaia di calorie, del popcorn, di un bagno.

Non è dato di sapere perché la gente abbia tanto bisogno di ridere, non si sa perché sia disposta a meritarseli, cento minuti di divertissement, perché sia disposto a penitenze preventive, ad attuare un meccanismo non necessario di sacrificio-ricompensa, a crearsi sofferenza per poi regalarsi un premio. Conosco un po' di militari che non vanno al cinema perché ricorda loro la fila per il rancio. Gente che non mangiava e perdeva chili pur di non suppliziarsi nell'attesa.

L'attesa non ha nessun fascino, abbiamo tempi da microonde, quello della bollitura dell'acqua ci pare prossimo ad infinito. Eppure per una promessa di abbondante e stolto riso, sudiamo, occupiamo tavoli con borse e cappotti, paghiamo più del pagabile, tratteniamo le urine, ci facciamo spingere da quelli dietro per continuare la ola e riversare la pressione su quelli davanti. Per una poltrona non più comoda delle nostre normali rateizzate poltrone. La crisi del cinema pare non esistere in questi casi. Non c'è desiderio di pantofole che tenga. L'io c'ero è la spinta più forte di tutte. Anche nel caso di Mi presenti i tuoi?, se è una cosa abbastanza pubblicizzata e preannunciata, se è roba da evento, se se ne parla al bar, se lo conoscono tutti. Se ilregista e la pellicola che lo ha preceduto sono entrati nel “cerchio della fiducia”.

Sarà l'idea di ridere ai tempi di trecento persone pur non vedendosi né assolutamente conoscendosi, l'idea tutta contemporanea della fruizione collettiva dell'emozione, il pensiero stupido di uscire dal cinema e di avere negli occhi la stessa sequenza di cui un'altra folla sta parlando in Francia, in Galles, a Manhattan, all'uscita da un cinema. L'idea della simultaneità delle faccende mediatiche.

Mi presenti i tuoi? è quel genere di lavori a cui concedi il diritto di prenderti sottilmente in giro, che sembrano fare un patto chiaro di collaborazione e consapevolezza con lo spettatore, un tipo d'opera che ha dietro di sé quel talento e quell'ingegno palesi che non fa nulla se è un'operazione commerciale quella di girare il seguito di una storia da incassi record. E' giusto, che passi. Che passino forse anche i sette euro, se c'è la balbuzie di Dustin Hoffman e la sua straordinaria capacità di assorbire l'aura di qualsiasi personaggio pur conservando i suoi vezzi, se ci sono la vecchiaia meravigliosa di Robert De Niro, il lifting adorabile di Barbra Streisand, la furbizia giovane di Ben Stiller.

Le basi del primo capitolo ci sono tutte: permane il congegno di identificazione con un amore paterno contadinotto che pur ha per protagonista un ex-agente CIA, come pure il continuo equivoco scespiriano che domina le vicende e ad altro non serve che a creare il presupposto per districarle con la complicità attentiva dello spettatore.

La comicità della pellicola è estremamente trasparente (se trasparente è un termine accettabile), come quasi non si riesce più a fare. Pare non esserci più il riso slegato dalla banalità o dall'imbarazzo, dall'osceno, cioè dal senza scena, dal fuori posto. Non so se ci sia mai stato. Se sì non credo appartenga alla televisione, ad esempio, trannein eccezioni che per loro natura confermano la regola.

Il flusso ininterrotto di punti comici del film ci pare naturale, ma chi pensa in termini ironici, chi vede le cose nella cornice della buffoneria pensa come il poeta, pensa aporisticamente, cioè facendo convivere le contraddizioni. Sono quelle, che fanno cortocircuitare il pensiero e creano l'emozionabilità. L'emozione è falsificabile, è un processo neuronale come un altro, e chi sa mettere mano al cervello senza aprirlo hadel genio.

Jay Roach e la sua compagnia di realizzatori sono di questi, e lo hanno dimostrato, soprattutto a quelli che sostengono che i grandi numeri non contano solo perché sono grandi. Anche gli appassionati di polpettoni hanno taciuto, pure gli amanti del filmsociale, del film cosiddetto d'autore o di nicchia. Non c'è niente da capire, niente da sapere, ed è innegabile che anche questo a volte sia delizioso, oltre che necessario.E poi chi vuole proprio osservare, studiare, spiegare, può sempre analizzare “il metodo Fotter”.