Maria full of grace

Per la serie 'metti un DVD a cena', per recuperare random quello che si è perso al cinema in una qualche stagione precedente, segnalerei il bel film di Joshua Marston, Maria full of grace, che ho varie volte bypassato tra gli scaffali di Blockbuster, perché convinta si trattasse di una faccenda di Chiesa, ignara che il titolo fosse metaforico. Tutt’al più immaginavo una biografia moderna della Madonna o qualche convento in cui si praticavano riti non ortodossi.

Ma se guardavo meglio in copertina, avrei scoperto che quello che viene pòrto a Maria, in atto di comunione, non è l’eucarestia, ma un ovulo di cocaina. Solo che il cervello rispetta la buona forma, e perciò il dettaglio mi è sfuggito fino ad adesso.

La Maria del film è piena di grazia perché è incinta, e perché porta con sé la nuova grazia dell’Occidente: chili di cocaina ripartita in ovuli più grandi di chicchi d’uva, depositati nel suo stomaco di ‘mula’.
Le due faccende sono ovviamente collegate ma non è giusto svelare il perché.

La trama è semplice ed efficace: è il resoconto di un cambiamento che parte da una storia claustrofobica di povertà, percorrendo temi come le scelte consce e quelle del caso, le conseguenze di atti quotidiani e banali, la ribellione di ogni giovinezza, al di là della cultura e del contesto. Il film affronta il percorso di una ragazza intelligente segregata nelle strettoie di contingenze economiche, familiari, sociali. E che passa attraverso lo sbaglio, la colpa, per cavarne espiazione vitale.

Una giovane donna che acquisisce padronanza di sé fuggendo dalla cruna di un ago. Attraversando l’errore, il peccato sociale, e la svalutazione di se stessa, riuscirà – apparentemente senza volerlo – a ritagliarsi la sua possibilità nuova, la sua agognata diversità e volontà di vita degna.

Il racconto nasce in una squallida Colombia e confluisce in un’America di impalcature e isolati qualunque, con una sceneggiatura che demagizza qualsiasi tentativo di rendere grazie alla latina fertilità dell’una o al promettente sfavillio dell’altra. La storia, si diceva, è metaforica, ripercorre laicamente quello che forse è il messaggio bipolare delle religioni occidentali (e non solo): colpa/purificazione, sacrificio/ricompensa. Con la differenza che nel film (e nell’esistenza) la tentazione non pare evitabile, non va aggirata: anzi, occorre caderci e insanguinarsi per riuscire a vedersi di nuovo. E la via di Damasco, assolutamente imprevedibile, non è un incontro luminoso e salvifico, bensì una maledizione pericolosa.

L’attrice protagonista è la graziosa Catalina Sandino Moreno (classe 1981) che ha vinto l’Orso d’Argento a Berlino 2004, e che è la stella di un cast assolutamente neorealista: attori ingegnosi e sconosciuti, credibili al punto che la faccenda sembra quasi un documentario. O meglio un documento, che la poesia della sceneggiatura e gli intenti consapevoli della regia rendono una pellicola da tenere presente.

CREDITI
Regia: Joshua Marston
Sceneggiatura: Joshua Marston
Fotografia: Jim Denault
Musiche: Jacobo Lieberman, Leonardo Heiblum
Montaggio: Anne McCabe, Lee Percy
Anno: 2004
Nazione: Stati Uniti / Colombia

CAST
Blanca: Yenni Paola Vega
Carla: Patricia Rae
Diana: Johanna Andrea Mora
Don Fernando: Orlando Tobon
Franklin: John Àlex Toro
Juan: Wilson Guerrero
Juana: Virginia Ariza
Lucy: Guilied Lopez
Maria: Catalina Sandino Moreno