Le conseguenze dell'amore

L’affascinante accoppiata Sorrentino-Servillo ricorda quella altrettanto felice (ma in chiave hollywoodiana, e di gran moda in questi giorni) che mette assieme Tim Burton e Johnny Depp.I due artisti italiani hanno loro peculiarità accattivanti e assolutamente precipue. Niente di più lontano dai colleghi USA, ma a loro forse assimilabili in virtù dell'armonia sul set, del fatto che abbiano già lavorato insieme (L'uomo in più, 2001) e che sia palpitante nell'opera una sintonia 'naturale', una sorta di continuità personale, oltre che professionale. Sentendoli parlare (di se stessi e l'uno dell'altro) questa ipotesi sembra prendere ancora più forza, e in questo sodalizio risiede un pezzo della bontà del film.

La pellicola (in una parola: psichedelica) è uscita al cinema nell'autunno del 2004, e chi scrive l'ha dunque vista in DVD, corredato di extra e retroscena. A questo proposito, quando si ha a che fare col menu dei dischi, una delle cose che viene da domandarsi è quanto sia giusta e importante la possibilità di vedere dietro il sipario. Interrogarsi sul rapporto di un prodotto culturale e artistico, il testo filmico, con la scena che lo ha generato o con i postumi che ha innescato.Cioè: un'intervista agli autori, o le scene tagliate, gli inizi alternativi, la ripresa delle riprese fanno bene alla magia del film? E' giusto conoscere i momenti in cui tutto quello che dopo il montaggio vediamo scorrere come coerente, nato dal nulla, realistico, continuum con le nostre poltrone, non è ancora un fatto estetico? Come per quasi ogni cosa, dipende.

L'effetto degli extra può stimolare la curiosità ma demagizzare qualcosa che basa la sua natura sull'astrazione. Tuttavia questo è vero solo per prodotti mediocri, per quelli che se la sono cavata, magari per una trovata felice o per pigra generosità dello spettatore.Dunque nel caso di Le conseguenze dell'amore, che è un film assolutamente trasportante e che regala il magnifico effetto di non voler vedere altro per una buona mezz'ora, di non sottoporsi ad altro stimolo finché quello passato non abbia consumato il suo potenziale, gli extra sono un dappiù gradito, un contorno che viene visto come trasparente e che ci tiene ancora conservati nel barattolo emozionale di Paolo Sorrentino.

La trama intesa come sequenza non è importante, come in tutti i film di questa foggia, se non per dire che è imprevedibile, che si compie nel mistero di se stessa.Abbiamo un professionista imperscrutabile, algido, che si porta dentro una maledizione paziente, e addosso il suo nome, Titta Di Girolamo. Interpretato da un John Malkovich italiano, Toni Servillo, il protagonista è un uomo che si muove tra un albergo e parcheggi sotteranei, tra non-spazi lucidi, moderni, che si porta nella valigia il suo segreto, che guarda dalle vetrate e in silenzio schernisce gli altri e se stesso. Un uomo confinato nel suo mutismo e nella sua profondità, nell'osservazione dell'accadere, della gente, magma indifferenziato nel quale – tuttavia – nonostante il disincanto e la perdizione, cerca un colore, una tinta vivida.

Il rapporto con il topic (qual è in questo caso se non la vita?) è assolutamente originale, capace di passare senza strozzature da una battuta di dialogo in un raffinatissimo napoletano (salernitano, in verità) ad accelerazioni e rallentamenti della scena in chiave chill out, cadenzando il racconto in base ad un ritmo che è mentale, neuronale. E' questa la bella metafora di Sorrentino: un Servillo che è assolutamente fermo o si muove ai ritmi della vita umana, coi suoi cicli, con le sue stanchezze e banalità, con le sue dorate e passionali illusioni. Una fiaba scarna, cattiva, moderna: una fiamma azzurrata da laboratorio di chimica. Dove le armi e il denaro non sono pericolosi. Ma i sentimenti, fatali.

Toni Servillo è una maschera veneziana: i tratti capaci della più lucente fermezza e gli occhi che interpretano l'alterità, il fascino, l'intelligenza: virtù del personaggio quanto dell'attore, che è preparatissimo, serio, accurato (negli spezzoni del set lo vediamo lontanissimo da bizze e gaffe, concentrato sul ruolo, sull'aura). Un attore ragioniere e passionale, forse davvero come il commercialista ambiguo che è Titta Di Girolamo.

Geniali anche alcune trovate della macchina da presa, come il capovolgimento della scena su se stessa durante un'iniezione di eroina. Il momento diviene davvero bianco, liquido, suggellato da una colonna sonora magistrale e altrettanto allucinata, visionaria. Qui la musica sottolinea più che altrove personalità, stati d'animo, contraddizioni. Memorabile, tra gli altri, un viaggio in auto in cui un giovane personaggio, controverso e lucidamente crudele, canticchia sulla voce che esce dallo stereo (quella suadente della Vanoni) una canzone fintamente ingenua, pulita, colonna sonora di un omicidio appena consumato, che si realizza con naturalezza, quasi delicatezza. In modo 'omeopatico', imprescindibile.

L'elegante e placida eroina del film, quella chiamata a incarnare la 'Possibile Salvezza' è la nipote della Magnani, Olivia, ben credibile sulla scena, e un po' meno nello spazio diverso ed estemporaneo di un'intervista, dove tradisce acerbità (e boria) nel rapporto col suo cognome e col suo lavoro d'attrice, un po' imbarazzata davanti alle domande più complesse o a quelle private.Improponibile l'altro figlio d'arte, il giovane Adriano Giannini, che interpreta il fratello minore di Servillo, un misto indeciso tra il blasé e il gitano, tra il romano e il partenopeo (ma trattasi di un personaggio volante con lo scopo di svelare qualche carta dell'arcano biografico del protagonista). Come dire: non basta essere parenti.

Ma il cast tecnico, la genialità di musica e fotografia, e appunto il binomio di un regista brillante e un attore profondissimo (tra l'altro conterranei), sono chiavi di volta più che trionfali. Niente si spiega, diceva il maestro-fotografo Cartier-Bresson, tutto si suggerisce: nella pellicola molto dialogo è affidato ai colori, alla luce, al grigio quasi gelido o al rossastro da moquette.

E il gioco del film è attraente e spietato sin dall'inizio. Quasi perverso, vizioso. Dietro la vita fa capolino il nulla, e dietro di esso, ancora, la speranza di salvezza. Tutto con una leggerezza autunnale, di foglie, in una città d'ovatta innominata. Che sembra silenziosa, ininfluente, ma che invece è liquida e feroce; soprattutto, trasforma le cose. Vano, infatti, che il protagonista appunti, tra i progetti per il futuro, di “non sottovalutare le conseguenze dell'amore”.

CREDITIRegia: Paolo Sorrentino
Sceneggiatura: Paolo Sorrentino
Fotografia: Luca Bigazzi
Musiche: Pasquale Catalano
Montaggio: Giogiò Franchini
Anno: 2004
Nazione: Italia
Distribuzione: Fandango
Durata: 100′
Data uscita in Italia: 24 settembre 2004
Genere: drammatico

CASTCarlo: Raffaele Pisu
Isabella: Angela Goodwin
Sofia: Olivia Magnani
Titta: Toni Servillo
Valerio: Adriano Giannini