La Natura selvaggia, tra passato e presente.

Gli scritti di Thoureau e Muir in America hanno preannunciato una nuova crescente consapevolezza per l'ambiente. Iniziarono ad esaltare la maestosità della Natura ma furono seguiti da altri che ne capirono anche la fragilità. Dal tempo di Malthus i profeti della distruzione hanno iniziato a guardare con orrore all'aumento della popolazione mondiale. Secondo Malthus il pericolo stava nella crescita della popolazione che avrebbe portato all'esaurimento delle riserve di cibo, anche se l'innovazione tecnologica sarebbe riuscita a far fronte a tale crescita. Ma il nostro vero problema oggi è causato dall'insaziabile domanda di risorse naturali, non per via di un eccesso di popolazione, ma piuttosto per via dell'aumento dello standard di vita.

Dall'inizio del ventesimo secolo l'umanità ha iniziato a dipendere dal combustibile fossile, primariamente petrolio, per far muovere l'economia. Il motore a combustione e l'elettrificazione ci hanno messo in condizione di convertire le risorse naturali ad ogni tipo di uso. Oggi mediamente ogni essere umano ha a disposizione venti 'energy slaves' [N.d.T. energy slave = energia derivata dalla materia inanimata equivalente al lavoro meccanico compiuto da un uomo in un anno lavorativo (3150mJ/anno)] e nonostante la nostra coscienza ecologica stia crescendo, il divario fra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo è sempre maggiore. In America per esempio una persona ha in media a disposizione settantacinque energy slaves mentre in Bangla Desh solo uno. La globalizzazione ha facilitato questo squilibrio; oggi non ci limitiamo più all'uso delle risorse locali, ora il carburante viene dall'altra parte del mondo. Quando qualcuno accende una luce a Dublino l'impatto ambientale è sentito da qualche parte nel Medio Oriente.

Nell'ultima parte del ventesimo secolo si è sviluppata una forte coscienza ambientale. La visione della terra dallo spazio alla fine degli anni sessanta ci ha mostrato la fragilità del nostro pianeta. Davanti a questa immagine divenne chiaro alla società degli sprechi che non c'era nessun luogo se non la terra stessa dove accumulare i nostri stessi sprechi. Anche la crisi del petrolio degli anni settanta ha costretto la gente a svegliarsi e a capire che c'erano limiti al prelievo di risorse naturali. La preoccupazione legata agli effetti dell'inquinamento portò alla nascita di leggi che vietavano l'uso di piombo nella benzina e la
combustione di carbone. Le piogge acide, il buco nell'ozono e la paura del riscaldamento globale aiutarono la gente ad afferrare il concetto della necessità di accordi globali in termini di ambiente.

Il semplice recintare delle aree di paesaggio ed escludervi l'accesso umano sembra ora inadeguato a valorizzare il 'selvaggio'. Ci sarà sempre il bisogno di preservare zone di particolare bellezza naturale e vulnerabilità, ma il dibattito fra gli ambientalisti si è spostato sulle più complesse nozioni della sostenibilità. I punti di vista variano considerevolmente da conservazionisti agli ecocentristi radicali, ma sembra esserci la tendenza ad accettare il principio di una terra 'veicolo spaziale', ammettendo che le risorse terrestri sono finite. Il nostro sviluppo da cacciatori è stato, in termini di ambiente, in una solo direzione. Abbiamo sviluppato sistemi via via più efficienti di sfruttamento dell'ambiente senza costruire una sostenibilità che invece fu il fondamento della società basata sulla caccia. Ora, sebbene troppo tardi, si è compreso che l'umanità deve orientare un po' delle energie e dell'intelletto impiegato per lo sfruttamentoverso la creazione delle strategie che assicurino la sostenibilità.

La vera sostenibilità potrà esserci solo quando l'umanità e la Natura saranno veramente riunite nella mente di tutti noi. Non possiamo più pensare alla Natura in termini di importanza per noi umani soltanto ma piuttosto in termini di una relazione simbiotica tra noi e l'ambiente. L'umanità continuerà ad esistere solo se si considererà parte di un tessuto interdipendente che lega tutte le forme di vita del pianeta. Questo richiede, prima di tutto, un grande cambiamento nella nostra struttura mentale. Non sarà facile liberarsi del nostro bagaglio culturale che abbiamo costruito nel corso di duemila anni. Ciò richiederà anche un radicale cambiamento nei nostri stili di vita. Alcuni commentatori pessimisti, come Richard Douthwaite, credono che il collasso economico sia inevitabile e che l'umanità sopravviverà solo se ci sarà la conversione a forme di energia non commercializzabili quali il cavallo e il mulino ad acqua. La visione più ottimistica è quella che se adottiamo un approccio ottimistico all'ambientalismo, se introduciamo una gestione razionale delle risorse, un'evoluzione delle tecnologie e, soprattutto, delle restrizioni, si raggiungerà un equilibrio che permetterà all'umanità di vivere sul pianeta amministrandolo senza distruggerlo con il suo stesso sostegno.

Al nostro ingresso nel ventunesimo secolo ci troviamo ad un crocevia. La domanda è se ci possiamo permettere di ignorare i segni di pericolo e continuare con il nostro approccio dissennato all'ambiente oppure se siamo pronti ad attuare azioni correttive tardi piuttosto che mai.

Se c'è qualche probabilità che Richard Douthwaite abbia torto allora, piuttosto che valutare l'importanza del selvaggio, abbiamo bisogno di compiere un grande salto con il pensiero che ci permetterà di invertire il nostro processo culturale e ritornare al primitivo concetto di selvaggio.

Bibliografia:

Douthwaite, Richard. (29 December 2001) When should we have stopped? Irish Times
Glacken, Clarence J., (1973) Traces on a Rhodian shore, University of California Press, Los Angeles.
Sarre, Philip. and Blunden, John. (eds.) (2000) An overcrowded World, Oxford University Press, Oxford.
Vidal, John. (26 January 2002) The great wilderness myth, Irish Times.

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