Dieguito e lo sguardo di Dio

Io avevo gli occhi fissi alla televisione. Il sole, nell'altro emisfero terrestre, bruciava il campo. Fuori dalla mia finestra Roma tratteneva il respiro, sospesa. Spalancai un poco la bocca quando vidi l'uomo, lanciato, saltare un primo avversario, e un secondo, uno internamente e uno esternamente, come potrebbe fare uno slalomista con le assicelle piantate sulla pista. La mia bocca si spalancava e gli occhi mi brillavano e speravo che non finisse mai di correre, quell'uomo con la palla attaccata al piede, speravo non smettesse mai e lo facesse, più lui correva con la lingua di fuori e più la mia bocca si spalancava, e lui saltò un altro avversario, e un'altro ancora, e un ultimo, e si presentò davanti al portiere, i miei occhi spalancati e la mente che ripeteva 'lo sta facendo, lo sta facendo, lo sta facendo', lui che rientra verso destra, mette seduto anche il portiere, sta per cadere, s-t-a p-e-r c-a-d-e-r-e, un ultimo difensore si getta con un tackle disperato fra le sue gambe – lui sta per cadere – accarezza con una mano il terreno – non cade, ha il corpo paurosamente sbilanciato in avanti – e con lo stesso piede con cui ha fatto tutto, il sinistro, deposita la palla dentro.
Dentro.
E quindi cade.
E quindi si rialza.
Sessanta metri, sette cadaveri alle sue spalle, una guerra vissuta da sconfitti, i campi polverosi di Buenos Aires dove con le Cebollitas, anno 1972, aveva fatto un gol simile – quello stesso giorno del '72, alla fine della partita, un suo compagno abbracciato a lui che dichiara: “Noi giochiamo solo per divertirci, non giocheremo mai per soldi” –, un pallone da tenere stretto anche la notte per scappare dalla miseria – quattro fratelli prima di lui –, il padre col suo stesso nome, una telecamera che quando aveva dieci anni lo riprendeva mentre gli chiedevano: qual è il tuo sogno più grande, qual è? E lui che rispondeva: “Sono due: giocare la coppa del mondo e vincerla.”

Bisogna immaginare una proiezione a partire da quel 1960, ore sette del mattino, dal quartiere di Villa Florito fino a quel campo in Messico, dove un uomo assunse le sembianze di Dio, realizzando, in unica partita, la più grande scorrettezza della storia del calcio e il più grande gol che mai occhio umano avesse visto. I ciechi invidiarono i vedenti, implorando di raccontargli quel gol. I giocatori inglesi con le mani sui fianchi. Lo stadio che veniva giù, i coriandoli, la carta igienica lanciata, la folla come un mare immenso esploso. L'uomo aveva le braccia spalancate al cielo e mandava baci, e si faceva il segno della croce, e si copriva con le mani il volto. Io cercavo qualcuno intorno a me – mio fratello – per poter dire: guarda, ho visto un miracolo! Ma intorno a me non c'era nessuno, e a mia madre non gliene fregava niente, e io continuavo ad avere la bocca spalancata e a muovere la testa a destra e a sinistra guardando quel gol al replay, con i giocatori che sembravano di cera e quell'uomo che aveva realizzato in un solo giorno un miracolo, una rivincita, e un sogno – e l'aveva fatto davanti all'occhio del mondo: la televisione.

Io avevo dodici anni e quel giorno capii cosa stava dietro a un simbolo, cosa si cela dietr
o a una metafora. Io avevo dodici anni e quello che vidi quel giorno resterà per sempre, per geometrica perfezione, la più grande opera d'arte alla quale abbia mai assistito. Forse è per quello che quando prendo la palla e ce l'ho in mezzo ai piedi non la passo a nessuno, nel calcio come nella vita.
L'uomo fatto Dio si chiamava Diego Armando Maradona. E lo vinse, quel Mondiale, e fu per vent'anni il migliore giocatore del mondo nonostante la droga, e non grazie ad essa. Ora, forse, paga la sua grandezza, il suo attimo di immortalità.

Anno 1986: Reagan veniva travolto dall'Irangate, Borges, purtroppo, era morto sul serio, Chernobyl, purtroppo, aveva mostrato solo una piuma della sua ala di morte, mentre Diego Armando Maradona tracciava un disegno divino comprensibile solo anni dopo, come le immagini immense che si trovano in Peru e non hanno spiegazione e possono essere viste solo dall'alto.

Mentre fissi un uomo che muore, mentre un foglio di giornale danza nel vento, mentre la testa di un bambino spunta dal ventre della madre, se guardi bene, puoi vedere per un secondo lo sguardo di Dio. E quel giorno Diego lo fissò.
E Dio – a me piace vederla così – gli fece l'occhiolino.Credits:- Galeano E., Splendori e miserie del gioco del calcio, Sperling & Kupfer, 1997.- www.diegomaradona.com, sito ufficiale.

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