Chiudere il circolo: intervista a Jonathan Coe

Ho avuto l'impressione che l'arco della vita di B.S. Johnson avesse stranamente dei tratti in comune con Tony Hancock. Vede un simile andamento tragicomico nel modo in cui entrambi alla fine abbiano voluto mettersi in un angolo?

“Sì, è un buon paragone. Adoro Tony Hancock, e anche Johnson stesso lo ammirava – erano esattamente della stessa epoca e dello stesso background, uomini degli anni Cinquanta con aspirazioni intellettuali e sociali che li posizionavano al di fuori della loro classe. Anche fisicamente si assomigliavano abbastanza. Ed erano entrambi adorabili e odiosi allo stesso tempo (mi riferisco qui all'Hancock scenico). In qualche modo il breve soggiorno parigino di Johnson, la voglia di incontrare Beckett e gli scrittori nouveau ecc. ricordano l'Hancock che è andato a Parigi per reinventarsi come artista nel film The Rebel. C'è qualcosa di tragicomico in ciò – la sensazione che come intellettuale europeo non si possa mai venire presi sul serio se si viene limitati da grette opinioni insulari britanniche. Johnson probabilmente non avrebbe avuto problemi se fosse nato in Francia o in Ungheria, paesi che amava, paesi dov'era il benvenuto, e la sua 'Britishness' (come la mia) veniva vista con affetto e rispetto, ma anche un pochino presa in giro.”

Mi ha sorpreso vedere, scorrendo la sua produzione, le biografie di Humphrey Bogart e James Stewart. Sono state esperienze che l'hanno in qualche modo 'provato' quanto quella di B.S.Johnson?

“No, per niente. Le scrissi nei primi anni Novanta quando ero a corto di soldi. Come accennavo prima, non avevo un editore per La famiglia Winshaw mentre lo stavo scrivendo e quindi mia moglie e io dovevamo vivere del suo stipendio e di qualche mio lavoretto per i giornali. Per quei libri, che scrissi contemporaneamente a La Famiglia Winshaw, mi diedero quello che pareva (a quel tempo) una bella sommetta. Non li riguardo mai oggi perché non contengo
no niente di me, niente di quel coinvolgimento personale di cui parlavo prima e che dà vita alle biografie. Il mio unico rammarico è aver rinunciato ai diritti per l'estero e in America sono stati di gran lunga i miei libri più famosi ma non ne ho mai visto un centesimo. Stanno per essere ripubblicati in Francia e in Italia ora e provo sentimenti ambivalenti, perché non li considero di alta qualità. Mi piacerebbe, però, scrivere un saggio come si deve sul cinema, sui film che amo davvero: Billy Wilder, Lindsay Anderson, Ealing Comedy, Powell e Pressburger, Hitchcock, Jacques Demy… Forse un giorno troverò il tempo per farlo.”

Ora che ha preso le distanze dalla biografia, quali pensa siano state le influenze sulla sua narrativa delle convinzioni di B.S. Johnson sulla 'falsità' di gran parte della letteratura moderna e dello 'story-telling' (“quel che accade poi”)? Ci può dire qualcosa in più sui suoi progetti imminenti?

“A tratti mentre scrivevo la biografia di Johnson mi sentivo sopraffatto dalla sua personalità, e dato che subito dopo mi sono gettato su Circolo chiuso, mi pareva a volte che mi sussurrasse all'orecchio mentre scrivevo. Questa potrebbe essere una delle ragioni per cui ho sentito che è l'ultima volta (per ora) che scrivo in questa vena particolare – questo 'realismo sociale', un misto di tragedia e farsa, molta politica contemporanea, tutte le cose che ho fatto nell'ultimo decennio. Ma comunque ho sempre pensato a La banda dei brocchi e a Circolo chiuso come ad un unico e continuo romanzo di 800 pagine, perciò forse era solamente la sensazione di stare per raggiungere la meta di quel progetto (che mi aveva occupato per sette anni) che mi faceva stare un po' inquieto mentre scrivevo, pronto già a passare a qualcosa, da un punto di vista formale, un po' più… non direi avventuroso, ma per lo meno diverso. Non ho ancora idea di cosa sarà. Al momento ho delle idee per due romanzi, nessuno dei due troppo convenzionale, ma non sono ancora pronto a sceglierne uno, tanto meno a prendere in mano la penna.”

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