Sulle tracce del passato – Il dilemma dello Storico.

I cambiamenti della società nel corso del tempo si riflettevano in ciò che veniva selezionato e scritto sul passato. Anche le finalità e le motivazioni dello storico erano cambiate. La Storia così come il ruolo degli storici non erano ben definiti, per cui si riteneva che questi non fossero altro che scrittori dediti a scrivere del passato. I loro scritti potevano intrattenere, informare o persuadere. Il criterio di selezione degli argomenti dipendeva dal pubblico che intendevano raggiungere poichè a detta di Jenkins “la Storia non è mai fine a sé stessa; è sempre [scritta] per qualcuno”. La natura del pubblico come pure la formazione personale dello storico erano riflesse nelle fonti che questi evocava a supporto dei propri postulati. Quelle sulla parzialità e sull'oggettività sono tematiche che hanno assunto importanza solo in tempi relativamente recenti. È pur vero che alcuni storici anche di epoca remota come Tucidide si sforzarono di utilizzare fonti attendibili e comprovabili, ma quello di rivendicare che le proprie fonti fossero inattaccabili era un modo come un altro per conferire credibilità all'argomentazione proposta.

Il diciannovesimo secolo è stato testimone dell'insorgere del nazionalismo storico romantico che setacciava il passato alla ricerca di materiale, per quanto spurio esso fosse, che servisse a glorificare la grandezza della Nazione. Lo stesso secolo tuttavia ha visto il primo vero tentativo di rifuggere da una storia ad impronta moralistica. L'esortazione di Leopold Von Ranke di raccontare i fatti come sono realmente accaduti: 'wie es eigentlich gewesen' fu una una reazione al Romanticismo e un tentativo di definire la Storia come disciplina scientifica. Von Ranke mise in rilievo la necessità di adottare una valutazione critica delle fonti e soprattutto
che la figura di uno storico che sia distaccato. Lord Acton disse di lui che “decise in effetti di reprimere il poeta, il patriota, il religioso o il partigiano politico, per farsi sostenitore di causa alcuna'. Con Ranke, la storiografia ha intrapreso un cammino che conduce alla storia obiettiva dei fatti. Quanta strada abbia fatto o se possa mai raggiungere la vagheggiata meta è una argomento che è stato oggetto di un infuocato dibattito.

Il nodo della questione è costituito dal fatto che la Storia non è il passato, bensì la sua mediazione attraverso la mente dello storico. Questi non riproduce il passato, bensì ne traccia le linee a nostro beneficio. Nello stesso modo in cui il cartografo crea un'immagine grafica del luogo, lo storico evoca un'immagine scritta dell'evento. La mappa non è il luogo di per sé quanto l'indicazione che ci guida ad esso. Il cartografo sceglie le informazioni che ritiene adatte a fornire l'immagine più chiara del luogo e le presenta nel proprio stile. Lo stesso luogo può essere tracciato e ritracciato più volte alla luce di informazioni aggiornate; ogni mappa è diversa, qualcuna è più accurata, altre più decorative, diversi cartografi pongono in rilievo varie caratteristiche, alcuni si concentrano sulle infrastutture dei trasporti ed altri sugli aspetti topografici dell'area. La compilazione della Storia e la cartografia sono invero due cose differenti, eppure storici diversi descrivono lo stesso evento in maniera dissimile, danno più importanza a certe caratteristiche nell'ambito del paesaggio temporale rispetto ad altre, fornendoci ciò che ritengono sia la ricostruzione più nitida dell'evento del passato in sintonia con il loro stile personale. Geoffrey Elton ritiene di poter affermare che le migliorie apportate dalla tecnologia alla precisione della scienza cartografica sono paragonabili a quelle apportate dall'applicazione del giusto metodo storico nei confronti della Storia. Egli è fermamente convinto che lo storico tramite l'utilizzo dei metodi appropriati possa interrogare le fonti ed innalzarsi al di sopra dei propri pregiudizi per identificare la verità storica che è lì “pronta ad essere scoperta se soltanto riuscissimo a scovarla”. La sua insistenza sulla acquisibilità della conoscenza obiettiva del passato giunge in risposta ad una serie di conferenze di E. H. Carr pubblicate con il titolo What is History? [Che cos'è la Storia?]. Carr accetta che l'individuazione di certe verità da parte degli storici avvenga sulla base di mutuo consenso, tuttavia tiene a precisare che ognuna di queste verità è stata in primo luogo prescelta tra altre a loro volta disponibili prima che venisse elevata ad evento storico inconfutabile. In tal senso, Carr sottolinea che l'attenzione degli storici si sofferma su un evento del passato piuttosto che su un altro e suggerisce pertanto di studiare lo storico prima di studiare la Storia. Ad ogni modo, Carr sostiene che è possibile che la Storia sia obiettiva. Egli ripone la sua fiducia su quegli storici obiettivi, che, in quanto latori di ciò che definisce “la lungimiranza sul passato e sul futuro”, possiedono la capacità di scegliere i ”giusti fatti”. Con questo atteggiamento prende le distanze dalla posizione relativista che si trovò così vicino a dibattere.

Da Carr in poi, altri sono stati meno reticenti ed hanno applicato il pensiero post-modernista al dibattito storico. Sfidando l'opinione che la ragione umana possa giungere alla verità, il pensiero postmoderno sostiene che la selezione ed interpretazione degli aspetti del passato da parte dello storico rende la Storia intera una questione di opinione personale. Portato ai suoi estremi, il relativismo post-moderno tende al nichilismo ed inizia a porre in questione la vera essenza della Storia. Hayden White arriva al punto di insinuare che “la Storia può perdere il proprio ruolo quale modalità di pensiero autonoma e autovalidante”. Keith Jenkins esprime un giudizio più positivo (se non positivista) indicando che la posizione relativista per cui tutte le versioni della storia sono parimenti valide è superata dal fatto che “le basi di potere che esistono in ogni dato momento…. conformano e distribuiscono i significati insiti nella Storia lungo uno spettro marginale-dominante”. Pur non affermando apertamente che la Storia è scritta dai vincitori, Jenkins sembra lasciar intendere in maniera inequivocabile che è il vincitore a decidere quale Storia debba essere insegnata nelle scuole.

Sin dai tempi più remoti l'uomo è stato consapevole dalla forza esercitata dal passato. Così come è stato rilevato da Orwell nella sua opera 1984, ”coloro che controllano il presente controllano il passato e coloro che controllano il passato controllano il futuro'. Gli storici hanno avuto il privilegio e la responsabilità di coniugare al presente la conoscenza del passato quantunque non abbiano sempre considerato il proprio ruolo di mediatori come interamente indipendente. Hanno agito in maniera discrezionaria nella scelta dei fatti da divulgare, talvolta intenzionalmene altre volte senza volerlo, non essendo peraltro consapevoli che l'obiettività fosse un requisito. D'altronde il percorso che conduce alla verità e all'obiettività storica si è rivelato troppo impervio persino per quegli storici che l'hanno intrapreso di proposito.

Il fatto che l'obiettività assoluta sia perlopiù un sogno illusorio non vuol dire che la Storia possa trasformarsi un giorno in un ramo della letteratura. Tornando a prendere in prestito l'analogia della mappa, proprio come l'uomo necessiterà sempre di una mappa da cui trarre guida ed orientamento nel mondo fisico, allo stesso modo dovrà servirsi della Storia per orientarsi nel mondo temporale. Il passato è parte integrante della nostra identità individuale e collettiva. Spinto dalla curosità e dalla vanità, il genere umano ambirà sempre alla conoscenza dei propri trascorsi. Il compito dello storico deve essere quello di soddisfare spassionatamente questa esigenza nonché di superare sé stesso liberandosi per quanto possibile dai propri vincoli ideologici. La Storia dovrebbe essere sorretta o venire meno non come suggerisce Jenkins sulla base delle strutture di potere, bensì sulla capacità dello storico di convincere in virtù della minuziosità della ricerca, della inconfutabilità dell'evidenza e di quella forza persuasiva per cui la sua versione possa ritenersi una plausible interpretazione del passato. Non c'è niente che impedisca agli storici di ricavare dal passato ciò che meglio si addice ai propri fini e in qualche misura sono tutti a inclini a farlo; tuttavia la natura stessa della disciplina servirà a garantire che gli storici continuino ad esaminarsi a vicenda nel contesto di quel discorso ininterrotto che è la storiografia. Note

1Marnie Hughes-Warrington, Fifty key thinkers on History, (London, 2000), p. 156.
2John Warren, History and the Historians, (London, 1999), p. 31.
3Keith Jenkins, Re-thinking History, (London, 2003), p. 21.
4Richard J. Evans, In defence of History, (London, 1997), p. 17.
5John Warren, History and the Historians, (London, 1999), p. 65.
6G.R. Elton, The Practice of History, (London, 1967), p. 74.
7E. H. Carr, What is History 2nd. edition, (London, 1987), p. 44.
8Ibid. p. 123.
9Hayden White, Topics of discourse: Essays in Cultural Criticism, (Baltimore, Maryland, 1978), p. 29.
10Keith Jenkins, Re-thinking History, (London, 2003), p. 32.

Bibliografia:

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