Luna crescente, di Diana Abu-Jaber

I piaceri sessuali e culinari di una zitella a Westwood, L.A.

Luna crescente, il secondo romanzo dell'autrice di Portland Diana Abu-Jaber, ambientato nella comunità arabo-americana di Los Angeles, è stato paragonato a Dolce come il cioccolato, uno dei capolavori del matrimonio fra realismo magico e ricettario. Non potevo resistervi e, nonostante lo stile della copertina nell'edizione di Mills and Boon, ho dovuto leggerlo!

Ci troviamo a seguire le vicende di Sirine, una donna iracheno-americana di 39 anni e mezzo, una zitella (una mia amica mi ha convinto che si può essere definiti 'single' solo fino ai 35 anni) che sbicicletta incessantemente fra West Los Angeles e Westwood. Sirine appare così ingenua e maldestra che ci è difficile farne la nostra eroina, specialmente quando riceve, e ad un certo punto accetta, le advances del viscido poeta Aziz. In ogni caso, viene considerata una specie di dea in terra al Café Nadia dove lavora come cuoca. E questo è in parte grazie al suo carattere gentile, ma anche soprattutto perché prepara, durante turni apparentemente interminabili, ogni sorta di prelibatezza araba per accontentare e consolare un folto gruppo di immigranti e rifugiati mediorientali. Tra i clienti abituali vi sono i negozianti del vicinato e studenti e insegnanti della vicina università, tra i quali spicca Hanif, un giovane, intelligente, ammaliante intellettuale di forti sentimenti, rifugiato politico originario di Baghdad.

Sirine e il bel professore si incontrano, parlano, accidentalmente flirtano ad una festa, si piacciono, escono insieme, fanno sesso, hanno i loro primi litigi, si riappacificano, fanno dell'altro sesso, e alla fine si innamorano. A pensarci bene, è lo stesso che è accaduto a me e alla maggiorparte delle coppie di mia conoscenza, con l'eccezione della mia summenzionata amica che tiene tanto alla distinzione fra single e altre definizioni meno politicamente corrette (lei è infatti volata col suo vespino sull'auto del suo futuro innamorato, rovinandogli così l'appuntamento galante – con un'altra – quella sera, la macchina e i seguenti dieci anni, fino a quando lo ha scaricato ed ha avuto una storia con il di lui migliore amico), ma questa è tutta un'altra storia, priva di sospetti iracheni intenti a ingarbugliare le cose.

Non rovinerò la sorpresa a quei lettori di Three Monkeys Online che vogliono leggere il libro rivelandovi l'intera vicenda. Basta dire che – naturalmente – insorgono complicazioni, l'amore vince sempre, il destino è ineluttabile, ecc. ecc.I due amanti sono circondati da una squadra di altri personaggi ben rifiniti, cui si finisce per affezionarsi: lo zio di Sirine, la libanese Um-Nadia proprietaria del café, la sua figliola – zitella pure lei – Mireille, Victor e Cristobal, anch'essi dipendenti del café, il persiano Khoorosh, il macellaio turco Odah e King Babar, il tenero cane di Sirine. Altri personaggi sono meno amabili, come il già menzionato Aziz e anche Nathan, uno studente americano ossessionato con Hanif e la fotografia.

Il libro, fino al capitolo 27, scorre praticamente in tempo reale, con descrizioni dolorosamente dettagliate e una narrazione al presente, in cui sono fedelmente riportati dialoghi, pensieri e movimenti dei vari personaggi. E' un po' come guuardare un film al rallentatore, ma con questo non intendo dire che si trascini per le lunghe o che la trama sia noiosa. Forse la Abu-Jaber ha voluto usare fino in fondo il proprio dottorato in Scrittura Creativa e ha messo in pratica tutte le varie tecniche imparate, dal flashback alla scrittura parallela al realismo magico. Infatti sia Sirine che Hanif hanno un passato intricatissimo che viene rivelato attraverso i loro sogni notturni e le loro chiacchierate. La ciliegina sulla torta è rappresentata dalla storia parallela di zia Camille e il suo avventato figlio Abdelrahman Salahadin, “la storia di come amare” ci dice lo zio di Sirine in una delle prime pagine, o meglio la storia di come rincorrere i tuoi sogni sottomessi al fascino seducente della pubblicità, si potrebbe obbiettare. Comunque sia, il racconto delle loro avventure è veramente piacevole; per restare nei confini geografici del libro e delle sue citazioni, la favola dello zio di Sirine (perché è lui a raccontare la storia) potrebbe tranquillamente stare nella collezione di Le mille e una notte. Ancora una volta, non vi voglio rovinare il piacere rivelando colpi di scena o troppi dettagli.

Tornando alle descrizioni della Abu-Jaber, alcune delle sue scene sono decisamente memorabili e molto 'arabeggianti', tipo “Um-Nadia waits until the air is roasted chocolaty, big and smoky with the scent of brewing coffee. Then she knocks the front door latch open. She holds the door wide and lets the older returning students, the immigrants and workingmen in, one by one, morning-shy, half-sleepy, hopeful from dreams, from a walk in the still-sweet air, not so lonesome this early in the day” (page 27). L'autrice è dettagliata e precisa, ma poi riesce a impappinarsi malamente quando Nathan lo studente va al café e ordina il tè, certo che può avere il suo tè, concede Um-Nadia, lui ci giocherella per un po', fino a prendervi alla sopresa zuccherando il suo caffè!! Niente paura, qualche paragrafo più tardi ricomincia a giocherellare con la sua tazza di tè…

La copertina del libro promette romanticismo, rischio e ricette. Mentre i primi due sono abbondantemente soddisfatti e sebbene il libro sia permeato di odori, sapori e consistenze del fantastico cibo che Sirine cucina e gli altri mangiano, l'autrice non rivela alcuno dei segreti mediorientali per ottenere falafel che non si disfino quando li mettete a friggere. Un'eccezione è rappresentata dalla descrizione di cinque pagine su come preparare la baklava, quando Sirine e Hanif cominciano a fare reciproca conoscenza nella cucina del Café Nadia. Questo dessert, la cui paternità è rivendicata da pressoché tutte le nazioni del vicino e medio oriente e che consiste in una serie di strati successivi di fillo-pasta (o pasta sfoglia) e burro fuso, deve essere il dolce preferito di Diana Abu-Jaber, a giudicare dalla sua ultima uscita [N.d.T.: pubblicato nel marzo 2005, non ancora disponibile in italiano], una raccolta di cari ricordi intitolata The Language of Baklava [N.d.T.: Il Linguaggio della Baklava].

Chiaramente l'autrice nutre un rispetto profondo, quasi reverenziale, per il cibo di cui suo padre, giordano, e i suoi antenati si sono nutriti e continuano a nutrirsi. E per questo merita rispetto, se è vero che noi siamo quel che mangiamo. Io personalmente amo da impazzire la cucina araba e per ricambiare sarei felice di mostrare a Sirine il vero peccato culinario di mezzanotte, visto che alla poveretta una sera vengono offerti, da un cameriere di nome Eustavio presso il ristorantino italiano locale, un cappuccino annacquato (noi italiani non beviamo MAI cappuccino dopo le undici di mattina) e una specie di dessert che l'autrice chiama 'penne cotta', intendendo, ci auguriamo, la panna cotta, e non un piatto di pasta addolcita e stracotta!

Gli altri temi trattati nel libro sono la solitudine degli arabi, che è poi la solitudine di tutte quelle persone che devono abbandonare il loro Paese per ragioni indipendenti dalla propria volontà, e la dittatura di Saddam Hussein in Iraq, esplorata da diverse angolature, inclusa quella dell'embargo americano in tutta la sua crudeltà. Quello che forse manca da questa illustrazione del mondo arabo a 360 gradi è un riferimento al fanatismo islamico che continua ad influenzare tantiss
imi aspetti della vita politica e della cultura di alcuni Paesi arabi.

Tutto sommato, Luna crescente è una buona lettura per l'estate, che ci ricorda continuamente le ingiustizie, i pregiudizi e le storie d'amore sciocche e tragiche che ci sono in questo pazzo mondo su cui tutti noi dobbiamo vivere.

Luna crescente, di Diana Abu-Jaber – Ed. Mondadori – pp. 405