Dove nascono le canzoni? Intervista a Polly Paulusma

Cosa viene prima, la musica o le parole? Cosa privilegia quando scrive le canzoni? “Tendenzialmente musica e parole vengono fuori insieme, come gemelli siamesi. A volte ci mettono 20 minuti, a volte settimane. Non tengo un blocco degli appunti, scrivo dove capita. A volte mi fermo da qualche parte, prendo un tovagliolo di carta e ci scrivo sopra. Ho testi di canzoni scritti sui sacchetti delle ciambelle impiastricciati di zucchero, prendo la prima cosa che mi capita a tiro. Molte bollette hanno scritti su i testi delle mie canzoni [ride]”.

Polly è colta e di buone letture, ma l’ispirazione le viene soprattutto dalla sua famiglia e dai suoi amici più intimi. “Soprattutto dalla vita dei miei famigliari, dei miei amici e, naturalmente, dalla mia. Di solito dalle esperienze delle persone che amo e a cui sono vicina. I miei poveri amici! [ride]. Ho un’amica in particolare che è disperata perché vede tutti i suoi fatti personali sbattuti nelle mie canzoni!”. Anche se nei suoi testi si ritrovano spesso riferimenti letterari, Polly evita di ispirarsi eccessivamente dall’arte in generale. “Bisogna essere cauti nello scegliere a cosa ispirarsi perché l’arte è come una lente deformante attraverso la quale vediamo la realtà. Se ci ispiriamo a quella lente, più in là ci spingiamo, più distorte saranno le cose. Molto meglio andare all’origine”.

Quando si da’ importanza al significato del testo, cosa si prova, durante le tournée all’estero, nel vedere che il pubblico non capisce tutto? “Io ho sempre fatto attenzione ai testi delle canzoni. Da ragazzina, con i miei amici, dicevo: “Wow, che bella strofa!” e loro mi guardavano allibiti [ride]. So che molta gente non ascolta le parole e forse sono io che sono un po’ strana”. A giudicare dalla reazione del pubblico di Bologna, con sua la musica e la voce con sfumature blues/folk, Polly è riuscita a superare le barriere linguistiche, ma lei ha ancora qualche dubbio: “Ho imparato molto in queste ultime settimane di tour, nel vedere cosa il pubblico ne ricavava, pur non capendo il testo al 100%. Ma se avessi molti soldi mi piacerebbe dare alla gente che viene ai concerti la traduzione di tutti i testi, così avrebbero la possibilità di farsi un’idea. Non mi sembra giusto dare ai madre lingua inglesi un privilegio che gli altri non hanno”.

Il denaro influisce sulla musica che Polly scrive? Con un budget adeguato, si chiuderebbe in uno studio di registrazione piuttosto che tentare l’approccio live come ha fatto per Scissors in My Hands? “Credo che sarebbe solo un modo diverso di guardare la medesima cosa. Mi piace esibirmi dal vivo, sarà sempre parte della mia attività, ma per questo disco l’esibizione dal vivo è stata più che altro una necessità. Però credo che sia importante avere dei veri strumenti. Sono un po’ fanatica riguardo al fatto di fare tutto in una volta. Mi piace che sia una singola performance piuttosto che un collage di svariati momenti, che poi è il modo in cui vanno normalmente le cose. Sono piccole manie che, credo, mi porterò sempre dietro. Il prossimo album sarà diverso, sarà molto più tetro”. Non le piacerebbe avere un produttore famoso in futuro? “Vorrei lavorare con un produttore su tre brani. Ho dato un’occhiata a The hour of the bewilderbeast di Badly Drawn Boy, un lavoro geniale. Ha lavorato anche con Ken Nelson su svariati brani, e ce ne sono quasi 20, ma alcuni fatti con un produttore sono pietre miliari, affiancati da bellissime e appassionate registrazioni casalinghe e un po' sfigate”.

Una valida ragione per lavorare con un produttore famoso è imparare i trucchi del mestiere, cosa che Polly è ansiosa di fare. “Il grande problema è che per gente come me e Damien Rice la radio è una porta chiusa. Bisogna che la tua musica sia trasmessa da certe frequenze. Per quelle canzoni che, pur essendo in s
é per sé valide, non posseggono un determinato livello acustico, la radio resta una porta chiusa. È una questione scientifica, di fisica, servono quelle onde sonore che riescano ad elevarsi al di sopra del rumore di un motore di un auto. Questa è la vita al giorno d’oggi, – dice con rassegnazione. – Ho sentito vari remix di Cannonball [un singolo di Damien Rice] ad esempio, in cui si è cercato di modificarla per poter raggiungere i requisiti di canzonetta di successo!”

Si avvicina il momento dell’entrata in scena e Polly ha già risposto a tutte le mie domande. Furtivamente tento di scoprire qualcosa dei testi, accennando al fatto che, stando ad un certo articolo, nella canzone Something To Remember Me By è più che evidente l’influenza di Ozymandias di Shelley. Sorride e ci fa sapere che ha letto l’articolo in questione. “E’ vero, c’è un riferimento ad Ozymandias“. Polly non è completamente d’accordo sul contenuto dell’articolo anche se apprezza molto l’autore e il suo approccio. “Tutto sommato, credo che sia una critica interessante, l’autore ci ha riflettuto molto bene”. Avrebbe voluto rispondere alla critica ma, e questo è interessante, non si è sentita in diritto di contestare un’interpretazione di una sua canzone. Vale sempre la stessa regola, anche nel caso in cui qualcuno abbia frainteso le parole di un suo testo? Mi risponde senza un attimo di esitazione, “Sì, anche in quel caso. La canzone è lì e se devo spiegarla per iscritto in uno di quei cartoncini bianchi, allora vuole dire che come cantautrice ho fallito”. Le canzoni parlano da sole.


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