Depeche Mode, ritorno dall'oblio


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Una storia che dura da più di 20 anni la loro, tutti costellati di grandi – a volte grandissimi – successi. Pezzi come Enjoy The Silence, Never Let Me Down Again, Personal Jesus o, tra quelli un po' più recenti, Walking In My Shoes, It's No Good o Dream On, hanno scritto alcune fra le pagine più importanti della storia della musica.
Ma come spesso accade, la fama può rivelarsi un'arma a doppio taglio e scavarti, da un momento all'altro, quella fossa buia e terrificante nelle cui profondità ti ritrovi senza neanche rendertene conto e dalla quale non sai proprio come uscire.

I Depeche Mode lo capirono a cavallo degli anni ’90: quelli erano gli anni del loro Devotional Tour, 15 mesi ininterrotti di live che gettarono la band nella crisi più nera a causa dello stress

accumulato tappa dopo tappa, tanto che, quando la giostra si fermò, dovettero ricoverare persino le sue vocalist.

Dopo il Devotional Tour, Alan Wilder decide di andarsene e lasciare tutto a causa della situazione – oramai insostenibile – che si è creata all'interno del gruppo: Dave Gahan, il front-man dei Depeche Mode, il trascinatore delle folle al loro seguito, è ormai schiavo dell'eroina. Martin Gore, il genio creativo del gruppo, il paroliere al servizio di Dave, ogni sera prima di salire sul palco, ha bisogno di una bottiglia di vino da scolarsi per assopire l'ennesima crisi di panico: convinto che solo grazie ai fumi dell'alcool si sarebbe ricordato le interminabili serie di note da suonare.
Andrew Fletcher, il 'manager' della band, il contraltare alle stravaganze dei primi due, è preda di un forte esaurimento nervoso che non lascia scampo. Al termine di ogni show, i quattro Mode viaggiano separatamente per raggiungere la prossima città da stregare per una notte.

A detta degli altri membri, il cantante era diventato intrattabile, ormai ”ringhiava”: soggetto a continui sbalzi d'umore, quando seppe della morte di Kurt Cobain, fu preda di una crisi isterica urlando contro tutti quelli che erano presenti: “Kurt mi ha fregato l'idea!!”
Alla domanda di un giornalista, “Hai mai provato veramente paura?”, Dave raccontò di una volta quando, completamente 'rimbecillito' dall'eroina, si ritrovò sul sofà nel salotto di alcuni amici e gli si avvicinò il loro bambino chiedendogli chi fosse: il cantante si rese conto di non saper proprio rispondere alla domanda del piccolo e fu in quel momento che provò reale paura per se stesso.

Ripetuti tentativi di suicidio, continui ricoveri in cliniche per la disintossicazione senza mai ottenere risultati, fino al punto di non ritorno: nel '96 va in overdose di eroina ed è clinicamente morto per 3 minuti, il suo corpo 'quasi-cadavere' sbattuto sul letto nella lussuosa stanza di un hotel a Hollywood. Da quel momento in poi, la vita di Dave Gahan cambierà per sempre: riuscirà a disintossicarsi definitivamente in una clinica specializzata e sembra che non faccia più uso di droghe anche se, per sua stessa ammissione, preferisce stare alla larga da situazioni che potrebbero indurlo alle “vecchie abitudini”.

A distanza di un anno dall'aver toccato il fondo della fossa con la suola delle proprie scarpe, Dave raggiungerà Martin ed Andrew in studio: i tre rimetteranno insieme i pezzi e daranno vita ad Ultra, uno dei loro album più apprezzati da critica e pubblico, l'album del ritorno dall'oblio, l'album di cui Dave dice: “Grazie a Ultra siamo tornati a respirare…”.
Per fortuna i Depeche Mode sembrano essere usciti dalla fossa cupa e terrificante che si erano scavati con le proprie mani: dopo Ultra è venuto Exciter, un altro album di ottima fattura che ci ha regalato non pochi pezzi meravigliosi della band e che, soprattutto, ci ha restituito i Depeche Mode in tutto il loro splendore e fascino sul palco a cantarli, stregando tutti come i vecchi tempi.
La prova dell'equilibrio ritrovato sta tutta nelle parole di Dave prima di uno show dell'Exiter Tour: “Nelle tenebre, a volte, sono riuscito a trovare uno sprazzo di luce in grado di rischiarare il buio, ma non raccomanderei a nessuno di avventurarsi in quelle profondità alla ricerca di se stessi o di qualunque cosa questo significhi. Non è necessario, ci sono altre strade che si possono prendere.”

Oggi tutti attendiamo impazienti il loro nuovo album Playing The Angel, di cui molti già parlano bene, e di rivedere i Depeche Mode lì dove tutto è cominciato, tutto stava per finire e, ora, tutto sta per ricominciare: il palco ovviamente. Le date del tour sono già state diffuse, il prossimo 18 febbraio a Milano sarà la serata – purtroppo l'unica – dell'Italia con i Depeche Mode.

E' curioso come molte band arrivino al punto di sgretolarsi proprio sul più bello, proprio quando l'ispirazione allo stato puro ribolle nelle loro vene, proprio quando riescono a raggiungere ciò per cui insieme hanno lottato e sperato fin dagli esordi. Così fu per i Depeche Mode e per molti altri e qui il pensiero va ai Nirvana o ai Doors: se ne sono andati via insieme alle loro gemme più preziose e forse mal custodite, Kurt Kobain e Jim Morrison. Il pensiero va un po' anche agli U2: Achtung Baby – sicuramente uno dei capolavori più riusciti dei quattro irlandesi – è stato frutto di un travaglio lungo e doloroso in quel di Berlino.

Probabilmente, quando si imbarcarono per il Devotional Tour, i Depeche Mode erano all'apice del loro successo e fu proprio lì che iniziarono i problemi. Quello che sorprende di più, a posteriori, è vedere come queste band sembrino entrare in un'altra dimensione una volta salite sul palco e come, puntati i riflettori, rifioriscano: vedendo i concerti del Devotional Tour (l'anno scorso è stato pubblicato un DVD molto interessante di questo tour, firmato da Anton Corbijn, il fotografo ufficiale del gruppo e curatore della loro immagine), nulla emerge in maniera evidente di ciò che vi è stato raccontato in questo articolo.
Tutto sembra normale: la musica, le luci soffuse, i sorrisi, le pacche sulle spalle, gli sguardi d'intesa, l'energia di ogni singolo componente del gruppo si mescola nella folle alchimia dello show: tutto sembra scomparire quando si sale sul palco, tutto sembra poter essere dimenticato… La parte più difficile del lavoro di una rockstar sta proprio lì: quando dai la buonanotte e ringrazi la folla delirante alla fine dell'ultimo pezzo che chiude l'interminabile scaletta e risgattaioli nella tua vita, quella reale, mentre la gente continua a urlare eccitata di fronte ad un palco buio e vuoto, nella speranza che tu possa ritornare almeno solo per un altro attimo, a fare un ultimo saluto.