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Viaggi & Sport – Three Monkeys Online Italiano https://www.threemonkeysonline.com/it La Rivista Gratuita di Attualità & Cultura Thu, 08 Dec 2016 08:16:06 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.0.21 110413507 La Tirannia della Tecnica https://www.threemonkeysonline.com/it/la-tirannia-della-tecnica/ https://www.threemonkeysonline.com/it/la-tirannia-della-tecnica/#respond Mon, 01 Aug 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/la-tirannia-della-tecnica/ Alla vigilia della 18a edizione dei Campionati del Mondo di calcio, la maggiorparte dei tifosi non riesce ad evitare l'impressione che il gioco, a livello mondiale, sia in piena crisi. Alcuni dei mali del calcio sono stati più volte diagnosticati, ma la validità di tali diagnosi rimane oggetto di discussione. Ad esempio, molti sostengono che […]

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Alla vigilia della 18a edizione dei Campionati del Mondo di calcio, la maggiorparte dei tifosi non riesce ad evitare l'impressione che il gioco, a livello mondiale, sia in piena crisi. Alcuni dei mali del calcio sono stati più volte diagnosticati, ma la validità di tali diagnosi rimane oggetto di discussione. Ad esempio, molti sostengono che le cifre astronomiche che ruotano intorno all'industria calcistica hanno trasformato la maggiorparte dei campioni in mercenari. Questo può essere vero o meno, ma il ragionamento presenta un punto debole: l'essere mercenario non ha mai impedito a nessuno di fare un buon lavoro. E' vero che tanti degli esponenti più significativi del gioco contemporaneo appaiano palesemente motivati dal denaro. Sebbene sia valida in determinati esempi, la versione tradizionale che i soldi stiano rovinando il calcio sembra troppo semplicistica. Molti affermano anche che il gioco moderno sia diventato troppo difensivo, che il calcio abbia bisogno di più goal. Chi è di questa idea nonha capito niente: nel calcio, ciò che conta è il tentare. E' essenzialmente il gioco del gatto col topo, lo scopo è quello di vincere 1-0. Un 3-0 significa che non c'era competizione. 1-0 è la perfezione. Una volta che si elimina il tentativo, non è più il calcio come lo intendiamo noi. Molti sport richiedono abilità tecniche ed atletiche, ma molto pochi hanno bisogno di questa sorta di capacità decisionale dimostrata dai migliori calciatori. E' questo elemento tattico che fa del gioco la perfetta miscela di forma atletica, tecnica e intelligenza. La propensione nel calcio a testare questi tre attributi è precisamente quello che lo rende il gioco più bello ed intrigante del mondo. Il trito e ritrito controargomento è che le tattiche siano diventate eccessivamente sistematizzate, che di conseguenza il gioco a livello professionistico sia divenuto sterile, e che il calcio sia 'un gioco semplice reso più complicato dagli allenatori'. Che miserabile sciocchezza! Tutti i bravi allenatori per istinto tendono alla semplificazione. La prima cosa che il 99% degli allenatori competenti raccomanderebbero ad un ragazzino è di non complicare le cose. Il probelma è che la maggioranza dei ragazzini di talento raramente ascoltano. Bisogna ammettere che essi hanno ragione: semplificare può renderti un giocatore migliore una volta che hai raggiunto il tuo livello, ma non ti permette di farti notare dai talent-scout. In realtà il calcio è un gioco semplice reso complicato dai giocatori. Possiamo anche non essere d'accordo su quali precisamente siano i problemi più gravi del gioco a livello mondiale, ma concordiamo comunque che il calcio sia in crisi. Lo scopo di questo articolo è quello di evidenziare alcuni dei più recenti sviluppi in questo campo.

La Coppa del Mondo del 2002 ha dipinto un ritratto deprimente dello stato del gioco a livello mondiale. Per molti, la competizione si è salvata solo per la vittoria finale del Brasile; a dispetto di tutte le squadre tecnicamente deboli, del gioco scadente e della negatività, aveva trionfato il 'bel gioco'. Questa è l'analisi di un bambino di otto anni. La verità è che il bel gioco è stato pesantemente aiutato. Per iniziare, un'altro nuovo pallone, ancora più leggero. A cominciare da prima dei Mondiali del 1990, ogni nuovo pallone che si è succeduto ha reso i tiri dalla distanza più facili e i passaggi corti più difficili. I passaggi ravvicinati erano una delle caratteristiche che identificavano le squadre più forti. Adesso ti causano problemi. In realtà, la FIFA ha legiferato contro questo tipo di passaggi. Questo ha rappresentato un chiaro vantaggio per una squadra atleticamente e tecnicamente preparata ma in qualche modo senza cervello come il Brasile. Il nuovo pallone spesso rende il dribbling un'opzione preferibile alla ricerca di compagno di squadra: tanto meglio per un centrocampo pieno di giocatori indulgenti con se stessi che si rifiutano, o non sono capaci, di cercare uno spiraglio. Per quanto riguarda poi i goal, perché affannarsi a cercare di passare la palla quando adesso è possibile segnare, regolarmente, dai 35 metri? Il nuovo pallone ha anche reso una buona difesa meno rilevante: non è più necessario penetrare nell'area di rigore avversaria per fare goal. Improvvisamente, buonsenso e organizzazione difensiva hanno molto meno valore. L'unica cosa che importa ora è avere un vantaggio territoriale e attaccanti. In questo senso, il 'bel gioco' si differenzia ben poco dal suo presunto contrario, il cosiddetto long-ball. Entrambi gli stili consistono essenzialmente nel tentativo di provocare errori al limite dell'area avversaria: dribblare, perdere palla, fare pressione, riconquistare palla, dribblare nuovamente, … Ad ogni fase di possesso di palla, questa continua riduzione del gioco ad una successione di situazioni di tipo uno-contro-uno indebolisce, mentalemtne e fisicamente, i difensori avversari. Nell'ipotesi di una tua superiorità nella marcatura a uomo, queste fasi di possesso di palla dovrebbero spingere l'avversario sempre più profondamente nella loro area. Fino a che un difensore lascia un varco o dirige un colpo di testa verso la zona sbagliata e … oplà!! Goal, quasi senza che ci sia bisogno di passaggi o movimenti di palla. Avete notato la staticità del Brasile all'ultimo Mondiale? Gli unici giocatori che tentavano di farsi spazio prima di ricevere la palla erano Roberto Carlos, Cafu e Ronaldo. Per i terzini tale movimento non era di gran aiuto in quanto i centrocampisti quasi mai passavano il pallone abbastanza velocemente: parevano non sapere come lasciar fare alla palla il suo compito. Tanta tecnica, e assolutamente zero finezza. Una grande proporzione dei goal segnati dal Brasile agli ultimi Mondiali si sono realizzati così. Dieci anni fa, la tattica del calcio lungo adottata dalla Norvegia funzionava lungo la medesima logica di base territoriale. Inutile dire che la squadra era considerata il peggio dei peggio. Ma, naturalmente, i brasiliani rappresentano i 'buoni'.

Inutile anche dire che non sempre funziona. Non ha funzionato nei sedicesimi di finale nel 2002. Durante l'ora iniziale dell'incontro di secondo turno, il Belgio si è rivelato migliore in campo rispetto al Brasile. Con passaggi di palla semplici ed efficaci. Ha giocato il vero calcio. Il goal era inevitabile. Quando c'è stato, allo scadere dei primi sessanta minuti (un colpo di testa da manuale di Marc Wilmots), il guardialinee ha sventolato la bandierina. Ad oggi non è stata fornita una spiegazione accettabile delle motivazioni. Un errore isolato? Può essere, ma i belgi non parevano pensarla così. Si resero conto in quel momento che al Belgio, tradizionalmente etichettato come una squadra di operai qualificati a giornata, semplicemente non è permesso battere il Brasile nella fase di eliminazione di una Coppa del Mondo di calcio. I belgi iniziaroino a quel punto a giocare malissimo e il Brasile carburò e finì per vincere con un 2-0. Molti sapientoni dichiararono che il punteggio finale rifletteva la sua evidente superiorità. Cazzate! La complicità della maggiorparte dei media in questo spettacolo osceno è stata scandalosa. Durante le fasi successive del campionato, l'incompentenza tattica del Brasile poteva non funzionare, se non fosse che a Italia e Spagna, due squadre dotate di una tale presenza atletica a centrocampo da poter contrastare il dribbling brasiliano, sono capitati degli arbitri infernali. Cosa sarebbe capitato se i centrocampisti del Brasile avessero provato a correre senza cervello contro lo spagnolo Ruben Baraj
a o l'italiano Luigi Di Biagio? Sarebbero stati mangiati vivi. Sarebbero stati obbligati a passarsi la palla in fase di avanzamento a centrocampo e avrebbero dimostrato la loro mancanza di intelligenza. Ecco come la FIFA è riuscita a fare della più lampante debolezza del Brasile la loro forza. Non nego che la squadra brasiliana possedesse un talento immenso. Il punto qui è che il talento grezzo, di per sé, non è molto interessante. Qualsiasi competizione in cui le capacità fisiche e tecniche di un team sono talmente superiori a quelle delle altre squadre da non dover neppure pensare durante le partite diventa inevitabilmente noiosa. L'ultima volta, il Brasile era tanto noioso quanto qualunque squadra norvegese io abbia mai visto.

Si può dire lo stesso del Real Madrid in questi ultimi anni. Tra il 2000 e il 2002 ha dominato il mondo del calcio a livello europeo, giocando un tipo di calcio tra i più puerili della storia moderna di questo sport. Bisogna ammettere che la squadra che vinse la Champions' League nel 1998 era costituita da un gruppo di giocatori completamente diverso. L'unico calciatore nella squadra del 2002 che può essere descritto come un 'distributore di palloni' nato era Zinedine Zidane, che normalmente giocava troppo avanzato per esercitare una continua influenza sul tipo di gioco. Il risultato era lo stesso ritmo 'partenza/arresto' del Brasile, caratterizzato dalla stessa logica commerciale. Fino a venti anni fa, la maggiorparte delle società di calcio ricorreva al medesimo progetto commerciale di buon senso: per fare soldi (che era dopotutto la loro raison d'être) si doveva migliorare la qualità del prodotto. Cercavano di aumentare i profitti giocando un calcio migliore. I profitti erano determinati dal calcio. Adesso il calcio è determinato dal profitto: gli allenatori non sono più responsabili delle politiche di trasferimento. Ne risulta generalmente una squadra di eccellenti giocatori che toccano palla ognuno troppe volte per creare spazio per gli altri. Il progetto commerciale non consiste in una squadra di giocatori complementari gli uni agli altri, non hanno bisogno di essere tali. Con i profitti extra derivanti dai diritti TV e dal merchandising, si può compensare la mancanza di fluidità tramite l'acquisto di giocatori sempre migliori. Il problema con questo progetto è che vincola i club ad una spirale economica per cui devono comperare giocatori sempre più dotati e costosi, per compensare il tipo di calcio giocato che diventa sempre più incoerente. I giocatori possono anche lavorare duramente gli uni per gli altri, ma se più di uno di loro dribla ad ogni fase di possesso di palla, questo normalmente rallenta i passaggi fino a quando si perde terreno invece che guadagnarlo. Economicamente poi, qualsiasi club che inizia questa spirale corre continuamente il rischio di fallire l'anno successivo. Il real Madrid è fortunato in questo senso: come tesoro culturale nazionale per la Spagna, non può esser lasciato fallire ed è stato salvato dal governo spagnolo. Il governo spagnolo può spendere i propri soldi come meglio gli pare. Nel campo dei sussidi corporativi, questa storia non è delle piò ingiuste che ho sentito. Quello che mi preme è che la mancanza di meritocrazia economica si trasformi in calcio volgare e noioso.

Le ragioni della FIFA dietro questa interferenza a 360 gradi in ciò che un tempo era il mondo del calcio sono ovvie: in termini di tifoseria, il calcio ha subito lo stesso processo cui abbiamo assistito vent'anni fa in campo musicale. Il pubblico – e gli utenti – di riferimento sono ora ragazzini in età pre-puberale. Reclutali come tifosi, e saranno di tua proprietà per tutta la vita. Una tifoseria di adulti ben informati può disilludersi con la volgarità del bel gioco, ma continuerà a seguire le partite. Oltretutto, siamo onesti, i bambini di otto anni in pratica hanno un maggior potere d'acquisto. Generalizzando, ai giovani piacciono le bevande alcoliche zuccherose, gruppi di musicisti capelloni con potenti assoli di chitarra e un tipo di calcio tecnicamente di grande effetto. Quando crescono i loro gusti si fanno più raffinati. Una ragione in più per spiegare perché il modo di promuovere il calcio praticamente ignora la tifoseria adulta. La prima regola della pubblicità: il consumatore non può essere intelligente, informato o perspicace. Se il consumatore infrange questa regola, egli deve essere condannato all'oblio sui mezzi di comunicazione. Se la pubblicità dice che tu non esisti, beh, tu non esisti.

Un leggendario allenatore del Brasile, Tele Santana, disse in un'occasione che a lui bastava vedere come un giovane giocatore toccava la palla una volta per sapere se il giocatore in questione avesse qualche possibilità a livello professionistico. Secondo lui, la seconda volta non era così importante. In altre parole, Santana ripeteva quella che è una delle grandi massime del calcio: i grandi giocatori sono quelli che riescono a farlo sembrare facile. C'è chi insiste che il calcio sia una forma d'arte e che bisognerebbe enfatizzare i suoi aspetti estetici. Sono completamente d'accordo, ma se il calcio è una forma d'arte, ha bisogno di sottoporsi ad una rivoluzione minimalista come è successo con le arti visive, la letteratura, l'architettura e la musica. In ogni caso, il talento grezzo e la tecnica non sono più considerati le virtù maggiori; tali sono invece il buon senso e il fattore economico. Meno equivale a più. Il Brasile, quest'anno, probabilmente giocherà in maniera più intelligente. Kaka non è male a distribuire palloni e Ronaldinho si è trasformato in qualcosa di più del giocatore sbruffone e senza cervello di quattro anni fa. Non c'è nulla di intrinseco al football brasiliano che obblighi la nazionale a giocare duro – la squadra che vinse nel 1994 giocò un calcio notevolmente economico. Allo stesso tempo, forse non avrebbero trionfato se ci fossero stati gli Yugoslavi. Dragan Stojkovic, Dejan Savicevic, Vladimir Jugovic… Sogno ancora la finale che non si è mai realizzata: il Brasile che costruisce l'azione pazientemente con Dunga come regista, Savicevic l'architetto dei contrattacchi yugoslavi. Un calcio paradisiaco giocato come il gatto con il topo. Il Brasile è allenato dal medesimo coach che lo ha portato alla vittoria nel '94, Carlos Alberto Parreira, un uomo che ben conosce il calcio, ma questo non garantisce nulla: se continuano a giocare nello stile che ci hanno inflitto quattro anni fa, per il bene del gioco stesso, devono fallire. Questa fissazione puerile e aristocratica con il talento grezzo deve finire. Se continua, quanto manca al momento in cui i bambini di otto anni decideranno di preferire il wrestling professionistico? Se non altro quello non finge di essere nulla più di onesto intrattenimento di basso mercato.

Una nota finale sugli arbitri scandalosi: quante volte abbiamo visto eccellenti squadre dell'est europeo essere danneggiate da pessimi arbitraggi in tornei internazionali di prestigio? Più o meno uniformemente, i giocatori rumeni, cechi, serbi, montenegrini e croati sono tecnicamente raffinati. Il loro problema sta nell'essere troppo ben addestrati.Il loro stile di gioco di solito non è abbastanza brillante per i bambini di otto anni. In più, queste squadre rappresentano Paesi piccoli con pubblici televisivi numericamente limitati, privi di un consistente potere d'acquisto. Esempi: Cecoslovacchia – Italia nel 1990; Yugoslavia – Olanda nel 1998; Repubblica Ceca – Olanda agli Europei del 2000; Repubblica Ceca – Grecia agli Europei del 2004 (il pian
o era, presumibilmente, quello eliminare i Greci ad opera del Portogallo alla finale. Alla fine, la Grecia si è meritata il trofeo, in quanto unica squadra ad aderire costantemente ai principi fondamentali del gioco).

Quando parliamo di personaggi famosi, mi capita di chiedere ai miei studenti cechi se c'è qualche celebrità che odiano così tanto da voler torturarlo/a a morte. Di solito rispondono Pierluigi Collina. Nel mio caso, aggiungete Sepp Blatter alla lista.

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Cork City FC – E' come avere un'amante https://www.threemonkeysonline.com/it/cork-city-fc-e-come-avere-unamante/ https://www.threemonkeysonline.com/it/cork-city-fc-e-come-avere-unamante/#respond Fri, 01 Jul 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/cork-city-fc-e-come-avere-unamante/ Ci sono poche trasgressioni meno facilmente perdonabili che quella di tifare per una seconda squadra di calico. Se è vero che il calcio è simbolicamente una replica della guerra, adottare una seconda squadra può essere giustamente paragonato ad un atto mercenario. Date un'occhiata ad uno dei forum gestiti dai tifosi di una qualunque squadra dell'Irish […]

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Ci sono poche trasgressioni meno facilmente perdonabili che quella di tifare per una seconda squadra di calico. Se è vero che il calcio è simbolicamente una replica della guerra, adottare una seconda squadra può essere giustamente paragonato ad un atto mercenario. Date un'occhiata ad uno dei forum gestiti dai tifosi di una qualunque squadra dell'Irish Eircom League e noterete un filo conduttore: l'attacco nei confronti di quei tifosi che sostengono anche i Manchester United, gli Arsenal o i Liverpool (o le Juventus, i Real Madrid, o, in casi estremi, le Sparta Prague – pericoli della globalizzazione) di questo mondo e allo stesso tempo si disinteressano della loro squadra locale. Eppure, le sfavilalnti luci della ribalta in termini di prestigio calcistico non sono sempre la ragione di questa 'infedeltà'. “E' come avere un'amante,” ride Lele, da sempre fan del Bologna che, insieme all'amico Cecca, ha deciso di 'adottare' una squadra europea lo scorso anno. “Il Bologna è una fede, un impegno che dura tutta una vita, ma ci sono momenti in cui c'è bisogno di guardare al di fuori, in cui manca qualcosa,” dice sorseggiando una pinta di stout in un Irish pub bolognese. E fu così che l'intrepido duo ha scoperto il Cork City, e qui è iniziata la tresca!

Una cosa è scegliere un colosso aziendale straniero come squadra da sostenere, ben diverso è adottare un team che sfoggia tra i suoi giocatori dei semi-professionisti che lavorano in una concessionaria di automobili o come pompieri durante la settimana! “Cercavamo un tipo di calcio più pulito,” spiega Cecca, la seconda metà del Cork City fan club di Bologna. La decisione di guardare al panorama europeo, lontano dalla Serie A, è maturata alal fine del campionato 2004-2005, quando il Bologna è stato, in modo controverso, retrocesso in Serie B (nonostante il fatto che almeno due altre squadre di Serie A avrebbero dovuto, tecnicamente, essere retrocesse, a causa di irregolarità finanziarie). Stanchi delle politiche e delle polemiche che circondano vittorie e sconfitte in Serie A, lele e Cecca decisero di scegliersi un team europeo per cui fare il tifo la stagione successiva. Non è stato in ogni caso amore a prima vista quello con il Cork City, prima ci sono state considerazioni di tipo pratico, sulla base di connessioni stradali e aeroportuali, fase durante la quale i due hanno rivolto la loro attenzione ai campionati spagnolo e portoghese. Le meraviglie del low-cost combinate con una già solida infatuazione per l'Irlanda da parte di Lele hanno fatto sì che la scelta cadesse su una squadra irlandese. Da quel momento il Cork City riuscì a vincere il loro cuore, essendo l'unico team a disputare la Coppa UEFA (se pur brevemente).

Vale la pena spiegare l'ossessione di Lele per l'Irlanda. Di professione è un promoter musicale e gestisce il più importante locale rock di Bologna, l'Estragon, ed ha in stretti rapporti con il gruppo dei Modena City Ramblers, i quali, come suggerisce il nome, suonano un pazzesco mix di musica tradizionale irlandese con un tocco italiano. Il gruppo si esibisce davanti ad un folto pubblico ai suoi concerti europei e ha più volte suonato in Irlanda. Lele ha cominciato come tour manager della band e con loro è volato più volte in Irlanda nel corso degli ultimi dieci anni, fermandosi sempre nello stesso B&B di dublino dove ormai deve essere considerato come un parente (a pagamento) più che un semplice turista.

Fare il tifo per una squadra alle colonne d'Ercole del mondo calcistico europeo non è una cosa facile. Durante i preparativi per la loro prima trasferta, i due hanno inutilmente cercato di rimediare i biglietti su Internet, prima di avventurarsi a Turner's Cross, il campo da gioco del Cork City. L'imperterrito Lele è arrivato a contattare direttamente il manager via email, spiegandogli la loro intenzione di recarsi ad assistere alla partita. “Mi è arrivato un messaggio di risposta dal manager delal squadra in cui mi chiedeva se lo stavo prendendo in giro,” ride Lele. Dopo esser riuscito a convincere il club di essere un tifoso verace del City, al loro arrivo a Cork [Lele e Cecca] hanno trovato un paio di biglietti messi da parte. Il giorno della partita, con mappe e una bella colazione irlandese nello stomaco, la coppia arriva infine allo stadio.

Cecca, gli occhi spalancati, descrive la scena: “Era un altro mondo al confronto con le partite qui in Italia. Mi ricordo di aver accompagnato mio nipote a vedere il Cesena qualche anno fa e di aver quasi avuto paura allo stadio. A Turner's Cross, ci sono famiglie intere che si godono la partita senza alcun tipo di aggressività o minaccia”. I due chiacchierano tra loro e confrontano gli stadi: a Bologna lo stadio è una struttura imponente in stile fascista, ben segnalata da cartelli di direzione da qualsisasi altro angolo delal città. A Cork i due italiani sono quasi finiti allo stadio del rugby, avendo scambiato le luci dei potenti riflettori per il terreno di gioco del Cork City. L'idea che lo stadio del calcio possa non essere la struttura sportiva più imponente della città è semplicemnte incredibile. “E un'altra cosa,” aggiunge Cecca, “non si può fumare allo stadio!”. La sua reazione è doppiamente scioccata: prima di tutto che non si possa fumare e poi che la gente in effetti obbedisca alle regole. Chiunque abbia assistito ad una partita di Serie A in uan qualsiasi curva può raccontare di nuvole di fumo di marijuana che avvolgono il pubblico.

I tifosi, più che il gioco in sé, restano però la differenza più grande. O meglio il modo in cui i tifosi reagiscono. La passione è la stessa, ma forse c'è più fair play a Turner's Cross. Ad esempio, quando l'arbitro prende una decisione sbagliata o comunque discutibile, i tifosi irlandesi non gridano improperi a danno della moglie del pover'uomo, né invocano punizioni corporali. Invece gridano 'buuh'. “E' allucinante,” dice Cecca con entusiasmo. “Mi piacerebbe che lo facessero anche a Bologna. Te l'immagini?! L'arbitro prende una decisione del cavolo e tutti all'unisono fanno 'Buuh! Buuh!' – credo che lo terrorizzerebbero.” E tutt'e due si mettono ad imitare la scena, il che è sufficiente per attirare l'attenzione preoccupata del resto delal clientela nel pub, a testimonianza di come funzionerebbe bene a bordo campo!

Ci raccontano un altro aneddoto curioso. Prima di una partita, si sono fermati a bere una pinta di birra in un pub dove avevano appuntamento con altri tifosi del Cork City (sono stati presi sotto l'ala protettiva dei tifosi del luogo, essendo anche ospiti fissi del Forum online). Godendosi la loro birra fuori dal pub, notano che il pub dall'altra parte della strada era pieno di tifosi delal squadra avversaria. E' stata a dir poco una rivelazione che le due folle potessero tranquillamente bere a così piccola distanza l'una dall'altra, e persino cantare inni o prendersi in giro, senza necessariamente dare luogo ad una rissa.

Naturalmente, questa è una descrizione idilliaca che non mette necessariamente a confronto situazioni comparabili. L'uomo più ricco d'Italia, Silvio Burlosconi, era, fino a poco tempo fa, ilPresidente del Milan. Il Presidente del Bologna, Alfredo Cazzola, fu il fondatore della più grande organizzazione fieristica in Italia, la SMAU. Il Presidnete del Cork City, Brian Lennox, gestisce una catena di piccoli fast food, a quanto sembra dove si serve il miglior fish & chips de
lla città! Magari è più semplice prenderla a cuor leggero quando non ci sono tanti miliardi in questione.

Il termine 'surreale' non rende l'idea quando i due si mettono a chiacchierare con toni amari del controverso trasferimento di Liam Kearney dal Cork City, scuotendo la testa a proposito del 'tradimento' del giocatore. Cambiamo argomento e passiamo alle qualificazioni per gli Europei del 2008. L'Irlanda è nello stesso girone del San Marino. “Dobbiamo andare [a vedere la partita]!” esclama Lele quando sente la notizia. “Alcuni dei nostri giocano nell'Under 21, dobbiamo andare a fare il tifo per loro!”

Il fan club bolognese del Cork City è in espansione: l'entusiasmo dei due tifosi è contagioso e ci sono già diversi amici e conoscenti che si sono prenotati per la prossima trasferta. Il piano è quello di far incontrare le due squadre del cuore di Cecca e Lele, il Cork City e il Bologna, in un'amichevole in cui possa continuare questo scambio interculturale.

Sia Lele che Cecca si occupano per lavoro di musica. Cecca lavora per la Mescal, una delle etichette italiane indipendentidi maggior successo, che produce artisti del calibro di Afterhours e Yo Yo Mundi (che si sono recentemente esibiti a Dublino durante la loro turnée). Lo scambio interculturale non è quindi limitato al solo calcio: a entrambi infatti interessa sapere come funziona la scena musicale irlandese. Nel locale di Lele si sono recentemente esibiti artisti quali Damien Rice, Therapy? E Josh Ritter (ormai irlandese di diritto, ma forse non tifoso del Cork City).

Mentre finiamo le birre, faccio l'ultima domanda: che succede se il Bologna torna in A? “Con il Cork City è più di una cotta ormai,” dice Lele con determinazione, “la Moglie dovrà abituarsi!”, ridacchia, allontanandosi con Cecca, mentre discutono della possibilità o meno che il Cork vinca la Setanta Cup quest'anno…


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Made in Cina. https://www.threemonkeysonline.com/it/made-in-cina/ https://www.threemonkeysonline.com/it/made-in-cina/#respond Fri, 01 Jul 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/made-in-cina/ Parte Prima : i Preliminari Scena Prima : Benedetta sia tu, Musa dei viaggiatori!Tardo pomeriggio di una serata calda di settembre. Abigail girovaga per Chinatown e passa vicino a quell'agenzia di viaggi che l'amica Michelle ha nominato più volte. I cartelli pubblicitari sulle vetrine ammiccano ad Abigail. Tokyo. Pechino. Seul. Shanghai. Pechino. Hong Kong. Singapore. […]

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Parte Prima : i Preliminari

Scena Prima : Benedetta sia tu, Musa dei viaggiatori!
Tardo pomeriggio di una serata calda di settembre. Abigail girovaga per Chinatown e passa vicino a quell'agenzia di viaggi che l'amica Michelle ha nominato più volte. I cartelli pubblicitari sulle vetrine ammiccano ad Abigail. Tokyo. Pechino. Seul. Shanghai. Pechino. Hong Kong. Singapore. Formicolio alle dita dei piedi. Una curiosità interna di vedere come vivono 'gli altri'. Il bisogno di vedersi immersi in un ambiente estraneo. Un desiderio ardente di imparare cose nuove. Immagino che non molti amici siano ancora stati lì. Ronzio nelle orecchie, cuore che batte, mani che sudano, ginocchia che tremano, oh cavoli, un timido esitante passo in avanti e…..la carta di credito è morta (lunga vita alla carta di credito).

Scena Seconda: Vaccinazioni dal dottore.
Ahi!

Parte Seconda: Arrivarci e tornareLassù
Quali immagini di Pechino vengono in mente? Città superaffollata? Cibo cinese? Comunismo? Monumenti storici? Ancora incerta, quindi lasciatemi condividere con voi le mie impressioni su Pechino. Non è sorprendente il fatto che la maggiorparte dei luoghi finiscano per essere completamente diversi da quello che c'eravamo immaginati. Non importa quanti libri avessimo letto o quanti consigli avessimo raccolto prima della partenza.

Il mio viaggio iniziò la Vigilia di Natale a bordo di una compagnia aerea cinese. Gli attori e le scene del film in cinese non doppiato che mostravano in aereo erano molto piacevoli da guardare, ma dopo un pò non riuscii più a seguirlo e cominciai a guardare la rivista dell'aereo, anche questa completamente in cinese. Da qualche parte della Cina stanno costruendo ville lussuose, donne cinesi si abbelliscono con vestiti di Gucci e Dior, piatti deliziosi vengono preparati e la tecnologia ha raggiunto il massimo dell'avanguardia. Fantastico! Quindi che cosa ci fa questa porcheria di cibo occidentale sul mio vassoio? Haute cuisine?

Arrivo
L'arrivo all'aeroporto internazionale di Pechino è stato scioccante: l'edificio moderno ed esteticamente bello fanno dell'aeroporto Heathrow di Londra un anacronismo. Se non fosse stato per le scritte in cinese, questo posto potrebbe essere stato in qualsiasi altra parte del mondo. Le folle di cinesi tutto attorno a me confermavano che mi trovavo nella Repubblica Popolare Cinese.

“Paese che vai, usanze che trovi”. Ah sì. Decisi di fare come le persone del posto e di raggiungere il centro città prendendo l'autobus. 16 Yen invece dei 100 che avrei pagato prendendo un taxi. Il servizio navetta che porta a Pechino è appena fuori dal terminale di arrivo. Quello che non sapevo è che ci sono vari itinerari per arrivare a Pechino e io sapevo soltanto che il mio hotel era vicino alla stazione dei treni. Che cosa fai allora quando sembra che nessuno parli la tua lingua e tu non sai spiaccicare una parola in cinese? Sì, proprio così: continui a provarci. Forte. Forte e chiaro. Prima o poi qualcosa succederà. E lo fece. Qualcuno mi mostrò un cartello con i vari itinerari, così che potessi indicare di quale avevo bisogno. Un unico problema: non leggo cinese. Mi guardai attorno sconsolata, ma non disperata. Scusandosi, il signore girò il cartello e, evviva, ecco gli itinerari in caratteri latini. Sette fermate per arrivare alla stazione ferroviaria. Okay, devo concentrarmi a stare sveglia per contare le fermate.

Sulla mappa tutto sembrava così piccolo e semplice, ma avrei dovuto saperlo prima: Pechino deve essere stata costruita originariamente per giganti.

Le prime cose che ho imparato sulla mia pelle a Pechino sono :

  • i cinesi non conoscono il concetto di dire “no” (perché è maleducazione negare qualcosa, quindi ci girano attorno con diplomazia);
  • che se non pronunci perfettamente una parola, non c'è verso di essere capiti, non importa quanto simile possa essere;
  • che a Pechino fa freddo d'inverno;
  • che avrei dovuto prendere un taxi all'aeroporto.

Scesi dall'autobus alla stazione ferroviaria e chiesi indicazioni sul mio hotel e sulla strada dove si trovava. Ricevevo sempre risposte diverse: gente che mi incoraggiava a non mollare, “Continua dritto” o “ Ritorna indietro”. Dopo aver camminato per due ore ed essere passata davanti alla Piazza Tian An Men almeno tre volte, cominciai a perdere le speranze.

Ah, Dongchang'an Jie, non sono sicura si scriva così, ti ricorderò per sempre! Questa è la camminata invernale più lunga e meno piacevole che io abbia mai fatto! Stava diventando scuro e non sentivo più le dita dei piedi, perché -7ºC è -7ºC e non è una temperatura che si può prendere alla leggera. Ero vestita per l'inverno londinese ma non per quello polare. Provai allora ad attirare l'attenzione di un taxi senza sapere che si fermano solo nelle aree designate. Okay. Alla fine ne trovai una, dove ero già passata un paio di volte. Un'altra cosa che ho imparato è che fare la coda per il taxi non è di casa in Cina: è veramente una lotta all'ultimo respiro. Quindi, dopo averci provato per mezzora tra spintonate varie e quasi sul punto di piangere, riuscii a calciare due gentiluomini e a vincere un posto su un taxi. Bene. È stato più o meno come vincere le Olimpiadi. Una volta sul taxi dissi con sicurezza:“Via Xianmen, Hotel Capitol, per favore”.

(Avevo pronunciato la prima parola “Tsianmen” che suona un pò come “Tiananmen”. Questo spiega perché continuavano a darmi indicazioni per la Piazza Tiananmen). L'autista del taxi si girò scrollando le spalle. Dopo un lungo momento in cui avevo quasi perso le speranze, riuscii ad aprire il mio zaino con le palette di ghiaccio che avevo al posto delle dita e con le mani tremanti riuscii a tirar fuori il biglietto dell'hotel che mi avevano dato all'agenzia di viaggi a Londra. Se sono fortunata, pensai, il nome dell'hotel sarà scritto in cinese. Bingo. Perché non c'ho pensato prima? L'autista fa cenno di sì. Ha fatto cenno di sì. Cavolo, ha capito. Conosceva l'hotel. Mi batteva forte il cuore per la gioia. Quando il taxi partì mi misi comoda sul sedile e mi rilassai. All'angolo girammo a destra. Hotel Capitol.

Impressioni su Pechino
È la prima volta che vado in Cina e devo ricordarmi che tutta Pechino è in Cina ma non tutta la Cina è a Pechino. Sbadiglio. Devo spiegarmi un pò meglio, questi sembrano gli effetti causati dall'essere stata costretta ad un sedile d'aereo per dieci ore. Pechino è in Cina, ma essendo la Cina un paese così enorme, non tutta la Cina è come Pechino. Essendo situata a nord-est del paese e abbastanza lontano dalla costa, le temperature qui arrivano agli estremi. Se l'avessi saputo prima avrei scelto di venirci in primavera o autunno.

Pechino è una città vecchia, ma dà la sensazione di essere giovane e nella primavera della vita. Il traffico che circola attraverso le grandi arterie della città rende l'attraversamento all'altra parte una vera e propria missione. La metropolitana è fantastica. È pulita, spaziosa ed efficiente e le stazioni sono fatte di marmo. È veramente bellissima. Ci sono tanti poliziotti che girano per Pechino, ma al contrario dei bobbies londinesi, che offrono servizi come dare indicazioni e aiutare gli anziani ad attraversare la strada, la polizia di Pechino lavora per provvedere sicurezza e basta. Se si vogliono attrav
ersare gli ampi viali si devono usare i sottopassaggi o le strade sopraelevate.

La capitale imperiale è veramente affascinante: ha i più puliti, i più larghi e i più lunghi viali che io abbia mai visto. Sembra esserci un incentivo a tenere viva l'atmosfera del passato. Il contorno urbano non è alto, non alto-fino-a-raggiungere-le-nuvole come in altre città asiatiche, il che dà una certa aria provinciale ed è piacevole alla vista. Tutti i vecchi edifici sono stati curati attentamente e i nuovi dimostrano tutti una combinazione efficace di architettura all'ultimo grido con un tocco di tradizione locale. Provate ad immaginare un grattacielo di vetro futuristico con una veranda con il tetto pendente. Le piastrelle decorate e dipinte a mano si abbinano perfettamente con i templi buddisti adiacenti. Immaginate la sensazione che si prova nel passare lungo quelle mura dipinte di color vermiglio, costeggiate da alberi coperti di neve, fiancheggiate da torce rosse. Tutto brilla, è pura magia. Questo è il ritratto di una signora che si sta preparando ad accogliere i prossimi Giochi Olimpici. Un esercito di gente che sgobba per mantenere le facciate della città immacolate e per tenere sotto controllo la neve di dicembre. Sembra di essere in una favola. Davanti a me l'autista del taxi si gratta la forfora sulla testa.

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Costa Rica: Il Pellegrinaggio di un Surf-Dipendente https://www.threemonkeysonline.com/it/costa-rica-il-pellegrinaggio-di-un-surf-dipendente/ https://www.threemonkeysonline.com/it/costa-rica-il-pellegrinaggio-di-un-surf-dipendente/#respond Tue, 01 Mar 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/costa-rica-il-pellegrinaggio-di-un-surf-dipendente/ Atterriamo esausti a San José essendo sopravvissuti a tomografia della pupilla, registrazione di impronte digitali e condizioni di temperatura artica all'aereoporto di Orlando. Era aprile, sembrava agosto, con vento caldo e livelli alti di umidità. Una rumorosa folla di tassisti è in attesa fuori del terminal e ci fa sentire leggermente intimidati, afflitti come siamo […]

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Atterriamo esausti a San José essendo sopravvissuti a tomografia della pupilla, registrazione di impronte digitali e condizioni di temperatura artica all'aereoporto di Orlando. Era aprile, sembrava agosto, con vento caldo e livelli alti di umidità. Una rumorosa folla di tassisti è in attesa fuori del terminal e ci fa sentire leggermente intimidati, afflitti come siamo da stordimento e jetlag dopo il lungo volo. Fortunatamente la signora dell'hotel che avevamo prenotato ci aveva suggerito di perendere uno dei taxi rossi, così facciamo e un uomo silenzioso ci scorta alla sua macchina (priva di targa). San José di notte non è una città attraenete, ma eravamo così stanchi che ci saremmo accontentati anche di una stanza a Beirut!

Venuta l'ora di colazione, finalmente ci rendiamo conto di essere arrivati vicino al tropico, con ananas grandi quanto palloni da calcio, mango che si possono raccogliere direttamente dall'albero e un tavolino delizioso immerso nella vegetazione tropicale che circonda l'hotel.

La città in se stessa non è nulla di speciale, se si fa eccezione per il bel teatro in centro e l'alquanto caotico e rumoroso mercato della frutta (con il caldo gli odori sono piuttosto soffocanti… ma il posto è tuttavia coloratissimo e molto animato). Dopo due giorni passati ad acclimatarci, finalmente ci spostiamo verso la destinazione finale del nostro pellegrinaggio. Un piccolo (paurosamente piccolo!!!) aereoplano ci porta a nord, verso un posto chiamato Tamarindo.

La vista dal veivolo era assolutamente straordinaria, con montagne elevate e lussuriose foreste di caffè e vegetazione tropicale tutt'intorno San José.

La pista di atteraggio dell' 'aereoporto' di Tamarindo è spaventosamente corta e ghiaiosa, circondata da mucche incuriosite dal nostro arrivo. L'atteraggio è alquanto agitato, ma il sollievo di ritrovarsi vivi è sufficiente a farci scordare tutto immediatamente! Quando si aprono le porte, sembra di essere arrivati all'inferno con una temperatura di circa 35°C a darci il benvenuto, cui [alla fine] ci abitueremo!

Un pulmino ci porta al surf camp che mi sono sognato per gli ultimi sei mesi e, dieci minuti dopo aver messo il primo piede sulla sabbia, ero già in acqua e tutto era come me lo aspettavo. L'acqua era calda (solo un paio di boxer e una maglietta per non ustionarmi la schiena!) e increspata da piccole onde, ma è questo il punto… eccomi in Costa Rica, la terra dell'Endless summer!

Per noi (io e mia moglie, in una luna di miele lungamente postposta), il campo era l'opzione migliore: niente tavole da trasportare, bellissimi alloggi e la possibilità di usufruire della competenza della gente del lungo in materia di mareggiate e punti di rottura delle onde. Tenevano anche lezioni, ma questo a mio avviso era l'unico lato negativo di tutta l'organizzazione, poiché queste erano mirate per la gente meno esperta.

Alle 6:30 ogni sera, puntuale come un orologio svizzero, la natura offre il miglior spettacolo al mondo: il tramonto. Tamarindo è esposta ad occidente e il sole scende giù come una gigantesca palla da basket, i cui colori sfumano dal rosso fosforescente ad un rosa pazzesco fino ad un bel giallo intenso: semplicemente magnifico.

Il paesino è abbastanza 'civilizzato' e ben costruito, e, nonostante sia diventato oggi la metà preferita da orde di surfisti americani, non è ancora esploso sotto la pressione turistica e mantiene l'atmosfera di un villaggio. Dalla spiaggia, non ci sono grandi alberghi ad inquinare il panorama dell'incredibile jungla che lo circonda. C'è una sola strada asfaltata, quella principale. La spiaggia di Tamarindo è lunga e i surfisti si concentrano sul lato nord, alla foce del fiume. Sul lato opposto, si estende Praia Grande, una beach break [N.d.T.: spiaggia dove le onde frangono su un fondale sabbioso] con onde più progressive e avanzate.

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Quanto dista la contea di Clare da Honolulu? – Surfing in Irlanda https://www.threemonkeysonline.com/it/quanto-dista-la-contea-di-clare-da-honolulu-surfing-in-irlanda/ https://www.threemonkeysonline.com/it/quanto-dista-la-contea-di-clare-da-honolulu-surfing-in-irlanda/#respond Sat, 01 Jan 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/quanto-dista-la-contea-di-clare-da-honolulu-surfing-in-irlanda/ “Fare surf in Irlanda?!? FARE SURF IN IRLANDA? Ma ne sei certo?!?” E' roccioso, selvaggio, freddo e piove sempre! Ebbene sì, … ci sono persone che fanno surf in Irlanda e devo confessare che è una tra le migliori zone in Europa per fare surf, con delle onde veramente fantastiche! C'è però qualcosa che devo […]

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“Fare surf in Irlanda?!? FARE SURF IN IRLANDA? Ma ne sei certo?!?”

E' roccioso, selvaggio, freddo e piove sempre! Ebbene sì, … ci sono persone che fanno surf in Irlanda e devo confessare che è una tra le migliori zone in Europa per fare surf, con delle onde veramente fantastiche!

C'è però qualcosa che devo premettere. I surfisti rappresentano una tribù molto particolare, dotata di usi, costumi, abitudini e regole proprie. La regola principale è quella di non pubblicizzare mai le onde incontaminate né indicare la loro ubicazione. Quindi, regola numero uno, se conosci qualche posto 'segreto', beh, mantienilo tale, tienlo segreto! Per questa ragione non ho intenzione di rivelare alcun dettaglio preciso in questo articolo, tranne quelli ovvi.

Da dove cominciare? Nord, sud, ovest? Sfortunatamente la costa orientale non vanta alcuna onda adatta e non c'è proprio niente su cui fare surf! Se per caso ci fosse qualche posto speciale, e segreto, come si diceva poc'anzi, ho intenzione di tenerlo per me!

In Irlanda c'è ineffetti più di una Mecca in cui, se si è devoti alla religione delle onde, è necessario recarsi almeno una volta nella propria vita da surfista…

Bundoran in Donegal e Lahinch in Clare sono due delle città 'surfiste' più conosciute. Non eccitatevi troppo, non ci sono ragazze in bikini e il mare normalmente è freddo e agitato! Bundoran in particolare è conosciuta per l'onda più famosa della nazione, il Peak [N.d.T.: il Picco]. Regge grandi swells (con onde di 2 metri e oltre) e ha una fantastica sezione tubolare che vi manderà a schiantarvi contro un accogliente fondale roccioso a pelo d'acqua… Vi assicuro, non è roba da principianti, fà male. La città in se stessa possiede un'atmosfera strana, insolita, con queste auto caricate con tavole da surf di ogni livello e dimensione che si muovo su e giù per la strada principale, e queste persone alla ricerca di onde, a nord e sud della cittadina, o di suggerimenti strappati ai surfisti indigeni. Non è Honolulu, ma con un po' di immaginazione…

Lahinch è pure una destinazione visitata da una crescente popolazione di pazzi surfisti irlandesi e il livello è generalmente inferiore. La spiaggia principale è rinomata per le lezioni per principianti e vanta un fondale sabbioso decisamente più accogliente. Le giornate campali non sono rare in questa zona, e in quel caso ai principianti è consigliato di lasciare in fretta le acque. La marea che sale rapidamente e le forti correnti possono trasformare una divertente e rilassante sessione di surf in un incubo in cui lo sforzo fisico non è da sottovalutare, come non lo sono gli scogli che riparano il lungomare.

Le opzioni per praticare questo sport non sono però limitate a queste due scelte popolari, ma si estendono lungo tutta la costa del Paese, in quanto ci sono onde ovunque. Il piacere di essere un surfista è strettamente connesso a quello della scoperta, di andare in giro in macchina, esplorando e testando nuove acque che non si erano mai provate prima, lasciandosi magari spiare da una mandria di mucche. L'Irlanda è ancora un paese in via di sviluppo per quanto concerne il surf, con più spiagge che surfisti. A sud troviamo le contee di Cork e Kerry, dove la bellezza del paesaggio è uguagliata dalla qualità delle onde. Guidando lungo la costa si raggiunge poi [la contea di] Clare, con Lahinch e alcune onde pericolose e impegnative. Galway, purtroppo, nonostante l'estensione delle sue coste, non possiede delle gran onde, con l'eccezione delle isole Aran (secondo la leggenda…). E poi le contee di Mayo, Sligo e Donegal, e qui veramente non c'è che l'imbarazzo della scelta.

Westport, Easky, Strandhill e Bundoran sono le città più conosciute, ma se si gira un po' in macchina, si possono trovare delle onde meravigliose. I veri patiti del surf non si fermano qui, ma proseguono verso nord, alla volta della sconosciuta e inesplorata costa del Donegal settentrionale, miglia e miglia di linea costiera caratterizzata da strade sconnesse e abitanti gentili e socievoli… L'Irlanda del Nord rappresenta una scelta altrettanto popolare, con Portrush come centro principale con le sue onde ghiacciate e decisamente meno accoglienti.

In Irlanda sono spuntate associazioni di surfisti e scuole di surf un po' ovunque, dalle contee prive di sbocco sul mare alle grandi città, come Cork e Dublino. Cominciano ad apparire anche negozi specializzati, e la gente si fà facilmente trascinare sulla scena surfista: i surfisti (uomini o donne che siano) sono fighi! Esisterà ancora quest'ambiente fra 2-3 anni? E' difficile rispondere; ciò che è certo è che esiste uno zoccolo duro di appassionati che sarà sempre possibile scovare mentre si cambiano al freddo di un parcheggio o di un viottolo di campagna, o magari a mollo in acqua, incuranti della pioggia, del freddo o del vento tagliente. Ci saranno sempre, con il loro grandissimo senso di comunione con la natura, il brivido di una sfida contro il mare, la bellezza del paesaggio e il senso di pace che si prova in queste condizioni estreme.

Se volete provare, lo fate a vostro rischio e pericolo, potreste innamorarvene… e, fidatevi, è difficile disintossicarsi. Buona onda a tutti.

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Un safari canadese in sella ad un cammello nel deserto del Rajastan – un ricordo personale. https://www.threemonkeysonline.com/it/un-safari-canadese-in-sella-ad-un-cammello-nel-deserto-del-rajastan-un-ricordo-personale/ https://www.threemonkeysonline.com/it/un-safari-canadese-in-sella-ad-un-cammello-nel-deserto-del-rajastan-un-ricordo-personale/#respond Wed, 01 Dec 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/un-safari-canadese-in-sella-ad-un-cammello-nel-deserto-del-rajastan-un-ricordo-personale/ Per settimane avevo continuato a sentire lo stesso ritornello durante il mio viaggio 'zaino in spalla' in India. “Se non hai partecipato ad un safari con cammello, non hai fatto il Rajastan”. A dispetto dell'odio che provo per questo genere di snobberia da backpacker, mi ero già fatto l'idea con il film Lawrence d'Arabia. Mi […]

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Per settimane avevo continuato a sentire lo stesso ritornello durante il mio viaggio 'zaino in spalla' in India. “Se non hai partecipato ad un safari con cammello, non hai fatto il Rajastan”. A dispetto dell'odio che provo per questo genere di snobberia da backpacker, mi ero già fatto l'idea con il film Lawrence d'Arabia. Mi aveva sempre affascinato l'immagine di Peter O'Tool che appare in lontananza all'orizzonte dopo la solitaria attraversata del deserto del Sinai. E va bene, sarei andato anch'io sul cammello!

Ero riuscito ad evitare la paventata diarrea del viaggiatore [N.d.T.: letteralmente 'pancia di Delhi', ovvero sindrome intestinale indiana] per le prime due settimane del mio viaggio. Purtroppo dovetti soccombervi al mio arrivo nella bellissima 'città blu' di Jodhpur. Jodhpur è a sei ore di treno da Jaisalmer, porta d'ingresso del deserto del Rajastan, nell'India nordoccidentale. Il proprietario dell'ostello Joshi's Blue House, a Jodhpur, mi incoraggiava a mangiare qualcosa, ma io ho trascorso la maggiorparte delle mie 48 ore nella città blu a dormire e approfittare del bagno en-suite su cui avevo deciso di investire per l'occasione. Giunto il momento di lasciare Jodhpur, mi sentivo meglio ed ero certo di essere pronto ad affrontare il deserto. Scelsi di ignorare gli avvertimenti dei compagni di viaggio incontrati sul treno, riguardo ad un safari nel deserto nel mese di aprile, quando le temperature possono raggiungere i 50oC. Dopo tutto, io sono sopravvissuto alle ondate di calore di Toronto, quando la temperatura, per giorni, rimane sopra ai 20 gradi. Quanto peggio poteva essere? Per di più, questo era caldo secco, no?

A Jaisalmer, si impara velocemente che prima di affrontare il deserto, si deve avere a che fare con una sfilza di loschi personaggi che tentano di appiopparti un safari con cammello. Ora, ero già stato avvertito, e da esperto viaggiatore, ero impavido. Per nulla al mondo mi sarei fatto incastrare in una qualche truffa indiana a base di cammello, per cui ero risoluto a prendermi un risciò e farmi portare a quello che la Lonely Planet raccomandava calorosamente come un ostello fantastico, perfetto per trovare un accordo vantaggioso per un safari. Nello scendere dal treno alle cinque di mattina, mi chiesi se sarebbe stato difficile trovare un taxi. Proprio in quel momento, svoltato l'angolo, mi ritrovai sotto assedio. Fui obbligato ad affrontare una schiera di albergatori e autisti di risciò tutti alla ricerca spasmodica dell'attenzione dei pochi turisti dementi che si avventurano nel Rajastan occidentale alla metà di aprile. Provai a resistere sulle mie posizioni, e pretesi un semplice passaggio all'ostello di mia scelta, ma quando ne feci il nome, nessuno degli autisti mi ci volle accompagnare. Pare che non ci sia da guadagnare dalle corse mattutine verso una guest-house rispettabile. Erano tutti alla ricerca dell'affarone, ovvero della relativamente alta commissione che avrebbero ricevuto per piazzarmi in sella ad un cammello. Alla fine mi decisi ad accettare l'offerta del proprietario del Hotel Hanna per cui avrebbe accompagnato alcuni altri occidentali al proprio hotel, per poi portarmi ovunque avessi voluto andare se non volevo restare lì. Avendo poche alternative, lo seguii. Qualche minuto più tardi, sulla jeep, si presentò come Nice Khan e iniziò a bombardarmi con le sue offerte per un safari con cammello. Rimasi della mia idea. Avrei dato un'occhiata al suo albergo e gli avrei chiesto di accompagnarmi alla guest house di mia scelta. Mio fratello è un venditore di auto usate, dopotutto, non mi sarei certo fatto abbindolare da qualcuno con un soprannome decisamente ovvio come 'Nice Khan' [N.d.L.: Khan il Simpatico].

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Dieguito e lo sguardo di Dio https://www.threemonkeysonline.com/it/dieguito-e-lo-sguardo-di-dio/ https://www.threemonkeysonline.com/it/dieguito-e-lo-sguardo-di-dio/#respond Wed, 01 Dec 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/dieguito-e-lo-sguardo-di-dio/ Nel 1986 muore Jorge Luis Borges, e una nuvola radioattiva si alza da Chernobyl, uccidendo, ad oggi, migliaia di persone. Io avevo dodici anni, era un giorno di luglio, caldissimo, e non conoscevo ancora Borges, e ciò che avrebbe significato Chernobyl era ancora tenuto nascosto. Ricordo che stavo attaccando delle figurine sull'album dei calciatori, mentre […]

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Nel 1986 muore Jorge Luis Borges, e una nuvola radioattiva si alza da Chernobyl, uccidendo, ad oggi, migliaia di persone. Io avevo dodici anni, era un giorno di luglio, caldissimo, e non conoscevo ancora Borges, e ciò che avrebbe significato Chernobyl era ancora tenuto nascosto.

Ricordo che stavo attaccando delle figurine sull'album dei calciatori, mentre la televisione era accesa su una partita dei Mondiali che si disputavano in Messico. La partita era Inghilterra contro Argentina, e mentre io badavo ad allineare la figurina di Pierre Littbarski – l'unico uomo al mondo di cui si può vedere la forma delle gambe avvicinando una parentesi aperta e una chiusa – nel suo apposito rettangolo, l'Inghilterra era in vantaggio per uno a zero. Ricordo che l'Italia era uscita agli ottavi di finale a causa della Francia, in una partita che non aveva mai avuto storia, in un Mondiale che per noi non aveva mai avuto storia.

Distratto, ogni tanto gettavo uno sguardo alla televisione che mandava via satellite immagini di un campo assolatissimo, con l'erba alta due centimetri. Le sagome dei giocatori non producevano ombre (si giocava ad ore impossibili per permettere l'eurovisione), e la partita sembrava saldamente in mano agli inglesi. Ora, è bene fare una precisazione: all'epoca – io – avevo dodici anni, e non avevo la benché minima idea di cosa fosse l'arte, e in vero forse non ce l'ho neppure adesso, o quantomeno ne ho una visione distorta e soggettiva. Inoltre, non avevo mai avuto una dimostrazione divina come quella a cui assistetti in quel giorno di luglio.
Di Dio, dopo aver passato sette anni a scuola dalle suore a Testaccio, sapevo che poteva fare assolutamente quello che voleva, sterminare un popolo con un cataclisma, creare un uomo, far risorgere suo figlio: lo immaginavo come una massa informe capace delle più enormi atrocità e delle più magnificenti dimostrazioni di grandezza. Tutte cose che (come vale per tutti) mi venivano raccontate. E la mia fede divina si esauriva nelle preghiere che facevo alla notte, prima di addormentarmi, meccanicamente, come lavarsi i denti.

Quel giorno esatto però, all'inizio del secondo tempo, successe che un uomo raccolse un cross proveniente dalla sinistra e con la mano, anch'essa sinistra, anticipò il portiere della squadra avversaria, lasciando rotolare la palla lenta dentro le profondi reti messicane, che quando la palla entra ci vogliono dieci minuti per raccoglierla dal fondo del sacco. L'uomo che aveva fatto quella scorrettezza, crocifisso nella sua casacca azzurra, volgeva ora la testa verso l'arbitro ora verso il guardalinee: poi, stupito, allargava le braccia al cielo e correva a raccogliere il boato della folla. Il gol era stato concesso, Argentina e Inghilterra erano sull'uno a uno.

Tutti, tranne l'arbitro e il guardalinee, avevano visto che la palla era stata spinta in porta con la mano, e i giocatori inglesi erano furibondi. La furbizia sudamericana sembrava sopraffare l'orgoglio e la correttezza britannici. Tutti guardavano quell'uomo con un certo disprezzo, perché si era permesso di fare qualcosa che nessuno aveva mai osato prima: un gol irregolare in mondovisione.
I minuti correvano. Lineker, centravanti inglese, mandava con un tuffo di testa la palla a sfiorare il palo. Gli inglesi potevano bearsi di essere stati raggiunti con una scorrettezza, e perdere per colpe che non sono proprie è già una mezza vittoria. Quindi, sospinti dal torto subito, davano d'assedio alla porta argentina.
Io mi distrassi dal mio album di figurine per seguire ciò che avveniva su quel campo di calcio, che era, storicamente – sebbene io non lo sapessi – una rivincita della recente guerra fra inglesi e argentini che si era svolta alle Malvine.

Successe, a metà del secondo tempo, che una palla sporca arrivò fra i piedi dell'uomo che solo pochi minuti prima aveva realizzato un gol con una mano. L'uomo, nella luna di centrocampo, arrestò la palla con un ginocchio, e con una rapida veronica lasciò secchi due giocatori inglesi, lanciandosi con uno scatto impressionante verso la porta avversaria. Un amico arabo, anni dopo, rivedendo quel gol continuava a mostrarmi la parte iniziale dell'azione, che di solito veniva tagliata dai filmati, quella dello stop e della veronica, quella dello scatto appunto – dello scatto – continuando a ripetermi: osserva, è tutto lì, è tutto lì, lo vedi?

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Milano – Sanremo e la gioia di vivere https://www.threemonkeysonline.com/it/milano-sanremo-e-la-gioia-di-vivere/ https://www.threemonkeysonline.com/it/milano-sanremo-e-la-gioia-di-vivere/#respond Fri, 01 Oct 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/milano-sanremo-e-la-gioia-di-vivere/ Giornata coperta. Nebbiosa. Da giorni mi girano nel capo le scene di Matrix in cui Morpheus offre una capsula blu e una rossa a Neo. “Scegli tu la rossa o la blu. E' l'ultima tua chance. Ingoia la blu e tutto finirà. Ti sveglierai nel tuo letto e crederai che tutto quello che vedi sia […]

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Giornata coperta. Nebbiosa. Da giorni mi girano nel capo le scene di Matrix in cui Morpheus offre una capsula blu e una rossa a Neo.

“Scegli tu la rossa o la blu. E' l'ultima tua chance. Ingoia la blu e tutto finirà. Ti sveglierai nel tuo letto e crederai che tutto quello che vedi sia vero. Ingoia la rossa e t'incuneerai nel budello tortuoso della verità e vedrai un'altra realtà.”

Qualche volta sì, ho la sensazione che la vera vita sia in un altro mondo, in un mondo parallelo a questo. Qualche volta penso davvero che questo mondo sia il-non-mondo. Qualche volta mi sembra di non-vivere: e larvatus prodeo (mi aggiro come fantasma fra fantasmi), come diceva Cartesio.

Accendo la tv e un budellone, un serpentone colorato vedo snodarsi lungo il mare. Fascinoso e invitante che si intorciglia veloce lungo un nastro d'asfalto: che corre, corre, corre!

Ci si bracca, ci si caccia…ma per cosa, mi chiedo?

Rimango lì e dimentico la capsula blu o rossa.

M'infilo in un'altra dimensione che corre parallela.
Vedo cinque ragazzi (Casper, Isasi Flores, Righi, Santambrogio, Simeoni) che da chilometri pedalano come matti verso qualcosa che non vedranno mai. Eppure pedalano!
Il serpentone, quasi un avvoltoio, incombe su di loro, e come Alice nel Paese delle meraviglie scivola nelle strettoie tra Capo Mele e Andora, risucchiandoli.
Alla volta di Capo Berta il collo dell'avvoltoio dai tanti colori si assottiglia fine fine verso una nuova vittima sacrificale, il giovane Agnoli. Che emette un bellissimo canto di cigno e poi scompare ingoiato da questo falco-serpente che vola rapido e impietoso alla caccia.

Ma di che? mi chiedo ancora.

Giù si butta a precipizio verso la strettoia di Oneglia lambendo delicatamente con le ali l'infernale rotonda.
Ormai sono preso da un senso altro. Ormai sento una vita pulsare in me che avevo dimenticato.
Sento il sangue, il sudore, i nervi, i muscoli gonfiarsi allo spasmo.
Vedo il sangue. Vedo i lividi di chi cade in mezzo alla strada sbattendo sulle pietre e sull'asfalto e si lacera le carni, abbandonato impietoso dall'avvoltoio che non guarda mai dietro di sé.

Ma dove corrono? di nuovo mi chiedo.
Ma che ci sarà alla fine di questo correre senza senso?

Si attacca la Cipressa ed ecco uno sgraziato, goffo animale in punta di sellino che mostra i suoi lombi all'affamato avvoltoio. Eppure anche lui, Masciarelli, sa che non ha scampo. Ma sa che è suo dovere provarci. Provarci a non avere paura!

Da un altro mondo ricompare Valverde dato per morto, ma risuscita nella testa dell'avvoltoio per partogenesi. E anche lui pedala in avanti, verso un futuro senza gloria.
Bocche aperte aspirano aria, denti digrignanti, smorfie di sofferenza e spasmo, su volti gocciolanti di sudore da cui traspira una vera fatica, e non metafisiche seghe mentali.

Ma questa è la vita! Questa è la dimensione vera della vita! E non i lemuri che ci circondano ovunque in questa valle di ombre, che è il mondo della vita normale!!
Giù come pazzi per 25 curve, rischiando le ossa, senza un attimo di paura alla caccia di Celestino divinato da una lucida follia.

Poi compaiono gli angeli custodi, biancocelesti. Pedalano leggeri, sembrano volare e portare un senso a tutto quel correre.
E loro dicono no ad un Bettini straordinario che insieme a Kashechkin provano a sottrarsi alla legge dell'avvoltoio.
Sul Poggio altri si immolano a velocità supersonica. Ma l'avvoltoio guidato dai suoi angeli custodi non perdona. Uno ad uno si catapultano fuori dal becco ma lui li risucchia chilometro dopo chilometro.

Ma che faccia avrà quest'avvoltoio?
I suoi angeli me lo nascondono. Lo confondono.
Lui non si rivela. Aspetta, solare.
Fine della discesa del Poggio. Si entra nel rettilineo.
Quattrocentocinquantametri.
Il cuore batte forte.
Si corre come in un silenzio irreale. In un vuoto assordante di nervi, muscoli gonfi e di ruote che picchiano sull'asfalto. La tensione è alta. A mille.
Cinquanta metri.
I muscoli stanno per esplodere. I nervi anche.
Eccolo l'avvoltoio!
Esce fuori.
Si guarda intorno. Quasi incredulo di vedere gli altri deboli e impotenti corrergli dietro, lui stende le ali e va là dove va la gioia, la felicità della carne e del corpo, ad abbracciare in un colpo di reni a braccia alzate la gioia dello spirito.
E io salto in aria davanti alla tv, e anch'io alzo le braccia al cielo come Alessandro Petacchi.
Anch'io vivo! fuori finalmente dalla terra di nebbie e ombre che ti risucchia giorno dopo giorno!

Ma questa è la vita! questa è la realtà di uno sport inviso a certe ombre e nebbie di neri lemuri e larve bieche. Annidati in uffici scuri e segreterie umide, tristemente seduti dietro asfittiche scrivanie pronti a fagocitarlo giù: gelosi della vita e della gioia che dalla spensierata fatica trasuda.

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Nonnine Spacciatrici, Mine Anti-uomo e Vegetazione Lussureggiante: Laos – un giornale di viaggio. https://www.threemonkeysonline.com/it/nonnine-spacciatrici-mine-anti-uomo-e-vegetazione-lussureggiante-laos-un-giornale-di-viaggio/ https://www.threemonkeysonline.com/it/nonnine-spacciatrici-mine-anti-uomo-e-vegetazione-lussureggiante-laos-un-giornale-di-viaggio/#respond Wed, 01 Sep 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/nonnine-spacciatrici-mine-anti-uomo-e-vegetazione-lussureggiante-laos-un-giornale-di-viaggio/ [Diario di un viaggio compiuto nel 2002] Per dirla con Charles Haughey, ex-Primo Ministro irlandese, la situazione è “grottesca, senza precedenti, bizzarra e incredibile” [N.d.T.: in inglese, GUBU]. Sono le dieci e mezzo di sera in un bar fuori dal centro di Muang Sing, une cittadina già di per sé periferica in Laos, un Paese […]

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[Diario di un viaggio compiuto nel 2002]

Per dirla con Charles Haughey, ex-Primo Ministro irlandese, la situazione è “grottesca, senza precedenti, bizzarra e incredibile” [N.d.T.: in inglese, GUBU]. Sono le dieci e mezzo di sera in un bar fuori dal centro di Muang Sing, une cittadina già di per sé periferica in Laos, un Paese decentrato rispetto agli itinerari turistici del sudest asiatico, e, da un punto di vista prettamente e dichiaratamente eurocentrico, dalla cosiddetta civilizzazione, dove 'civilizzazione' sta per comodità e tecnologia. Siamo gli unici clienti e abbiamo passato la serata a bere birra buona ed incredibilmente economica; il gestore è cordiale e simpatico. Alle nove e mezzo, quando il generatore cittadino si è spento, ha acceso il proprio per permetterci di continuare a goderci video musicali su di un immenso schermo al plasma. Però ora, alla luce di alcune candele che ha piazzato sul nostro tavolo, ci spiega che ha intenzione di spegnere il generatore e andarsene a dormire; e così fa, sparendo nel retro e lasciando noi con le nostre birre e il conto non saldato. Noi quattro ci fissiamo nervosamente l'un l'altro, ognuno di noi a domandarsi mentalmente se è l'unico mascalzone a pensare di prendere la porta e andarsene (la porta poi: in effetti si tratta della sola intelaiatura, 'chiusa' da una tenda). In Laos, quando cambi 10 dollari ti riempiono di kip (la valuta locale), quindi tecnicamente siamo pieni di soldi, per quanto in qualsiasi altra destinazione del nostro viaggio abbiamo dovuto accontentarci di un budget piuttosto limitato; come dire, l'occasione fa l'uomo ladro… Quando mai in Europa o negli Stati Uniti, un barista porrebbe mai ai suoi clienti una tale sfida morale? Non ci arrischiamo a fare i disonesti. Finiamo quindi le nostre birre, andiamo a cercarlo nel retro, dove sta dormendo con la propria famiglia, lo svegliamo un po' imbarazzati, paghiamo il conto e usciamo nel buio pesto della notte laoziana.

Sarà un luogo comune quello per cui il Laos e i suoi abitanti sono troppo rilassati per il loro stesso bene. Nei lontani anni cinquanta, nel suo epico diario di viaggio A Dragon Apparent, Norman Lewis notava che “In Laos, lavorare più di quanto sia necessario è considerato maleducato e irreligioso … L'accumulo di ricchezze da non utilizzarsi per scopi precisi ed autorizzati provoca la perdita di prestigio presso i vicini allo stesso modo in cui nei Paesi occidentali si verifica il processo inverso” [pagg. 255/56]. Come tutti i luoghi comuni, anche questo ha un fondo di verità, e quando si arriva in Laos dopo aver visitato la Tailandia o il Vietnam, questo relativo disinteresse della popolazione locale nei confronti del turista e dei suoi dollari/kip è una boccata d'aria fresca.

Savannakhet e Thakkek

Tre settimane prima avevamo attraversato il confine ed eravamo entrati in Laos, proveniendo dalla desolatissima zona demilitarizzata vietnamita. In attesa del 'bus' per Savannakhet, all'estremità meridionale del Paese, notai che uomini e donne [alla fermata] indossavano mascherine di plastica o cotone. Mi feci immediatamente prendere da un attacco di alectorofobia [paura dei polli] – e di polli ce ne sono a bizzeffe in Laos – immaginandomi contagi per via aerea, epidemie di influenza aviaria e ceppi virali sconosciuti. Al termine di sette ore beatamente trascorse nel retro di un autocarro alla meglio sistemato per passare da autobus e dopo il viaggio più sconquassante della mia vita, il vero motivo delle mascherine divenne più ovvio e meno aviario. La pista di sabbia rossa che fa da 'strada' è interattiva, nel senso che un buona parte di essa mi si era depositata nelle narici, nelle orecchie, nonché nella gola e negli occhi.

La campagna appare povera e distrutta dalle guerre e dai bombardamenti. Si vedono lungo la strada i crateri delle bombe e gli alberi colpiti dal napalm, morti e secchi in mezzo a campi solo mezzo coltivati. Le mucche e i bufali pascolano e in mezzo a loro decine di bambini giocano, mentre le mamme lavorano o si riposano in queste case-palafitta, che sono poco più di piattaforme con un tetto di legno.
Savannakhet ha ben pochi pro, e altrettanti pochi contro, se è per quello. Semplicemente esiste, in maniera tranquilla. E' la prima volta che vedo qualcuno passeggiare cercando goffamente di tenere in equilibrio sotto il mento due pile immense di banconote, l'equivalente credo di un paio di milioni di kip [al tasso di conversione di oggi, 900 kip equivalgono a un dollaro, e la denominazione più alta è 500 kip]. Il tizio in questione esce dalla banca senza altra preoccupazione che quella appunto di mantenere il suo carico in equilibrio, e nessuno si scompone. Secondo una stima, qui il 40% della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà (e del restante 60% si può ragionevolmente pensare che siano pochi quelli che sguazzano nell'oro), eppure questo signore se na va passeggio tranquillamente. Non per fare confronti odiosi, ma qualche settimana prima ero capitato per mia sfortuna in una movimentata strada di Hanoi quando ad una ragazza è caduto il portafogli pieno di contante da spendere per le spese del Tet [Capodanno vietnamita]. La rissa che ne è derivata, di cui io ero solo un membro passivo, mi ha lasciato contusioni e lividi che hanno spazzato via qualunque illusione in merito alla delicatezza e minutezza di corporatura del vietnamita medio.

Savannakhet è separata da quella efficientissima macchina economica che è la Tailandia dal Mekong, sulle cui sponde ogni sera ci si può sedere a bere la deliziosa Beer Lao, una delle migliori della regione, mentre si ammira da lontano l'opulenza tailandese. Si tratta di un netto contrasto, l'equivalente, suppongo, del guardare le scintillanti luci italiane dalle coste albanesi.
Una delle tante ragioni alla base di questa disparità economica tra Tailandia e Laos deve potersi ricondurre alla guerra segreta che gli Stati Uniti condussero tra il 1962 e il 1970 contro il Laos, durante la quale hanno riversato più di due milioni di bombe su di una nazione alla quale mai dichiararono ufficialmente guerra. Il Laos tuttora 'vanta' un numero di mine antiuomo e bombe inesplose tra i più alti del mondo. Lungo le strade (se così le volete chiamare: ci sono circa 3-4 strade asfaltate su tutto il territorio nazionale!) ci sono tetri cartelli, quelli con il teschio e le ossa incrociate, a segnalare il pericolo cui si va incontro se ci si avventura ad esplorare la campagna; proprio come nella vicina Cambodia, tantissime persone ogni anno si provocano lesioni a causa delle esplosioni, 30 anni dopo una guerra che ufficialmente non è mai accaduta.

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Ansiose volano le formiche all’altare della Vergine: il santuario di Santa Maria di Zena e lo strano fenomeno delle formiche 'suicide'. https://www.threemonkeysonline.com/it/ansiose-volano-le-formiche-allaltare-della-vergine-il-santuario-di-santa-maria-di-zena-e-lo-strano-fenomeno-delle-formiche-suicide/ https://www.threemonkeysonline.com/it/ansiose-volano-le-formiche-allaltare-della-vergine-il-santuario-di-santa-maria-di-zena-e-lo-strano-fenomeno-delle-formiche-suicide/#respond Sun, 01 Aug 2004 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/ansiose-volano-le-formiche-allaltare-della-vergine-il-santuario-di-santa-maria-di-zena-e-lo-strano-fenomeno-delle-formiche-suicide/ A una ventina di chilometri da Bologna e da Loiano, si erge, su uno sperone roccioso a strapiombo che domina le valli dell’Idice e di Zena, il santuario di Santa Maria di Zena, meglio noto come Monte delle Formiche. Questo nome deriva da un fenomeno naturale molto particolare che qui si verifica: ogni anno, dai […]

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A una ventina di chilometri da Bologna e da Loiano, si erge, su uno sperone roccioso a strapiombo che domina le valli dell’Idice e di Zena, il santuario di Santa Maria di Zena, meglio noto come Monte delle Formiche. Questo nome deriva da un fenomeno naturale molto particolare che qui si verifica: ogni anno, dai tempi più remoti, nei primi giorni di settembre migrano a sciami su questa vetta, dal centro dell’Europa, i maschi delle formiche alate della varietà Mirmyca Scabrinodis per compiere il loro volo nuziale. Una volta accoppiatesi, le formiche vanno a morire a centinaia di migliaia nella zona del santuario. È uno spettacolo veramente unico e da brivido: si vedono questi nuvoloni neri di formiche arrivare dal cielo e poi morire tutte insieme.

Non è ancora chiaro dal punto di vista scientifico il perché si verifichi tutto questo; forse proprio per questo alone di mistero, il popolo nel corso dei secoli ha associato il culmine di questo olocausto di formiche all’8 settembre, giorno della festa della Madonna,anche se, in realtà, il giorno esatto può variare in base soprattutto alle condizioni climatiche. All’evento è stata data insomma una valenza quasi miracolosa, una specie di omaggio alla Beata Vergine e, anche se la Chiesa ha da sempre precisato che non è così, l’impatto che esso ha avuto sui fedeli è testimoniato da un distico latino (“Centatim volitant formicae ad Virginis aram quo que illam voliant vistmae tatque cadunt”, ansiose volano le formiche all’altare della Vergine, pur sapendo che ai suoi piedi moriranno) riprodotto fedelmente sotto l’immagine santa. Ancora oggi, durante la festa nel parco davanti alla chiesa, le formiche vengono raccolte su teli bianchi, benedette e distribuite ai fedeli dentro a sacchetti che, secondo la credenza, dovrebbero portare fortuna. Una signora del posto mi ha anche raccontato che sua madre utilizzava le formiche, oltre che come amuleto, per uno scopo molto più pratico: le dava da mangiare ai propri figli quando questi avevano mal di pancia come infallibile rimedio. E infatti il mal di pancia passava per davvero!!! Come però ridendo ha confessato la stessa signora, che ha poi fatto l’infermiera, non c’era niente di miracoloso in tutto questo anche se, da bambini, era bello pensarlo: in realtà era tutto merito dell’acido formico. Ancora oggi, comunque, le formiche vengono usate a scopo terapeutico per curare micrania, reumatismi e mal di denti.

Ogni anno, oltre alle formiche, nella settimana che comprende l’8 settembre, ci sono le celebrazioni in onore della Madonna, protrettice delle tre vallate Idice, Zena e Savena, scandite, giorno per giorno, da un fitto calendario liturgico che culmina, per l’appunto, l’8 settembre e che ha uno dei suoi momenti più toccanti nell’antichissima Processione del Bosco, che si svolge nella macchia boschiva che circonda il santuario. Le celebrazioni hanno come contorno diversi eventi, tra cui camminate, pesche di beneficienza, esibizioni di cantanti e di campanari e gli immancabili stand gastronomici.

A parte questa settimana di Settembre, veramente ricca di appuntamenti, [questa] è una meta notevole tutto l’anno. Dalla cima si gode un panorama incredibile che, in mattine particolarmente terse, spazia dal litorale Adriatico fino alle Prealpi veronesi. La zona è molto interessante anche dal punto di vista geologico (le argille che si trovano ai piedi del monte coprono strati di roccia che conservano pesci fossili del genere Glupea e nel 1964 è stato ritrovato addirittura il fossile di una balena) e naturalistico. Forse è per questo che il monte delle Formiche è diventato una tappa privilegiata di numerosi itinerari di trekking e di bici che si snodano lungo le valli di Zena e dell’Idice. Per non scordare poi i devoti che tutto l’anno vengono fin quassù.

E anche la storia di questo luogo ha il suo fascino, essendo la pieve di S. Maria di Zena una delle più antiche del bolognese: le prima notizie relative a essa risalgono al 1078, anno in cui Matilde di Canossa, l’allora proprietaria di questo territorio, la donò al Vescovo di Pisa. La chiesa allora si chiamava Santa Maria Barbarese e bisogna aspettare fino al 1400 perché il suo nome venga cambiato in Santa Maria Formicarum, a testimonianza che già allora si verificava il fenomeno delle formiche volanti. La chiesa nel corso dei secoli è stata riedificata varie volte: quella attuale risale al 1957 ed è stata ricostruita, su disegno dell’architetto Gaetano Marchetti, dopo essere stata completamente distrutta durante la seconda guerra mondiale. In tempi pre-cristiani, questa vetta, come del resto molte altre della zona, come per esempio Monte Bibele, era ritenuta sacra a divinità pagane.


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