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Politica & Attualità – Three Monkeys Online Italiano https://www.threemonkeysonline.com/it La Rivista Gratuita di Attualità & Cultura Thu, 08 Dec 2016 08:16:06 +0000 en-US hourly 1 https://wordpress.org/?v=5.0.21 110413507 Dalle Carabine allo Smoothie alla Fragola. L'Irlanda nel XXI secolo: Nord e Sud. https://www.threemonkeysonline.com/it/dalle-carabine-allo-smoothie-alla-fragola-lirlanda-nel-xxi-secolo-nord-e-sud/ https://www.threemonkeysonline.com/it/dalle-carabine-allo-smoothie-alla-fragola-lirlanda-nel-xxi-secolo-nord-e-sud/#respond Mon, 01 Aug 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/dalle-carabine-allo-smoothie-alla-fragola-lirlanda-nel-xxi-secolo-nord-e-sud/ “Per più di trent'anni i media di tutto il mondo hanno concentrato la loro attenzione sul 'terrorismo' che imperversava nelle sei province dell'Irlanda del nord est. Dietro una cortina di fumo e di fuoco, dietro gli uomini in passamontagna coi fucili e bombe, esiste un'altra prospettiva, un'Irlanda nascosta.” [Colours: Ireland – From bombs to boom […]

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“Per più di trent'anni i media di tutto il mondo hanno concentrato la loro attenzione sul 'terrorismo' che imperversava nelle sei province dell'Irlanda del nord est. Dietro una cortina di fumo e di fuoco, dietro gli uomini in passamontagna coi fucili e bombe, esiste un'altra prospettiva, un'Irlanda nascosta.” [Colours: Ireland – From bombs to boom – Henry McDonald]

Nel 1966, per festeggiare il 50°anniversario dell'insurrezione di Pasqua del 1916, il governo irlandese mandò in onda documentari sui protagonisti della rivolta e tenne grandi raduni popolari. C'era un'atmosfera caratterizzata da un timore quasi reverenziale e da profonda ammirazione per quegli uomini che diedero vita ad un tentativo di ribellione – violento, destinato a fallire e all'epoca impopolare – contro il dominio inglese in Irlanda. Nei quaranta anni trascorsi da allora, il Paese ha assistito ad un'ondata di violenza politica e faziosa che ha legato l'Ulster ai luoghi più pericolosi della terra. Nella Repubblica povertà ed emigrazione di massa hanno lasciato il posto al boom economico e a un imprevisto fenomeno di immigrazione. Quello che un tempo era la confessione di Stato, il cattolicesimo, è naufragato in mezzo a scandali legati alla pedofilia e crociate liberali per il divorzio e la contraccezione. Questo mese l'intenzione del governo di Dublino di commemorare il 90°anniversario dell'insurrezione di Pasqua con una parata militare è stata accolta da polemiche, cosa che sarebbe stata inconcepibile nel 1966. In breve, il tempo passa e, mentre nell'ultimo secolo nazionalismo, unionismo e repubblicanesimo erano i contesti più facili all'interno dei quali discutere la questione irlandese, oggi si rivelano sempre più datati.

Henry McDonald, direttore dell'edizione irlandese dell'Observer e autore di libri su David Trimble, leader unionista dell'Ulster, e anche sull'Ulster Volunteer Force [N.d.T.: gruppo paramilitare lealista], propone un'immagine alternativa dell'Irlanda in Colours: Ireland – From Bombs to Boom, un libro che è in parte una biografia, in parte un interessante saggio di sociologia. MacDonald è cresciuto nei Markets, quartiere cattolico e repubblicano di Belfast. Un ambiente di fazioni, carcere e 'lotta armata' repubblicana, ma, come il libro dimostra, fatto anche di tifosi di calcio, punk rock e socialismo di respiro internazionale. Il libro illustra anche che, come molti irlandesi, sia uomini che donne, si identificarono nelle tradizionali contrapposizioni “repubblicani contro unionisti” e “cattolici contro protestanti”, ve ne furono altri che cercarono e trovarono un nuovo modo di definire se stessi.

McDonald, acuto osservatore di tutto ciò che riguarda l'Irlanda, ha gentilmente accettato di discutere via e mail di alcuni argomenti con Three Monkeys Online.

In Colours si fa un interessante paragone tra la corruzione politica irlandese e quella italiana. Nell'Italia di Berlusconi (e nei governi prima di lui), i media spesso tacciono, o per paura, o per noncuranza, o per collusione. Come giudica la risposta dei media irlandesi alla corruzione politica? Come giudica gli attacchi nei confronti di Frank Connolly e del Centre for Public Inquiry [N.d.T.: Osservatorio sulla corruzione pubblica]?

I media irlandesi, inclusa la rete televisiva di stato RTE, sono stati abbastanza decisi nel denunciare la corruzione politica che dilaga nel sud del paese. Io penso che ciò che voi definite “attacchi” al Centre for Public Inquiry sono stati parte di quella voglia di denunciare la corruzione pubblica. Perché? Perché Frank Connolly deve ancora spiegare cosa faceva in Colombia con un passaporto falso mentre l'IRA guadagnava milioni di dollari grazie al FARC [esercito rivoluzionario colombiano] e al traffico di droga. Finché il signor Connolly non fornirà spiegazioni soddisfacenti si astenga dall'accusare i politici di corruzione. Chi ha tegoli di vetro, non tiri sassi al vicino, o, in altre parole, è pericoloso criticare gli altri quando si è a propria volta criticabili.

Lei ha parlato del flusso di lavoratori stranieri verso l'Irlanda del nord, citando l'esempio della comunità portoghese di Dungannon. Qual è l'effetto dell'immigrazione sulla società nordirlandese?

Gli effetti dell'immigrazione avranno bisogno di tempo per manifestarsi appieno, ma stanno già avendo un effetto benefico. Nella zona attorno al Tunnell, l'enclave cattolica di Portadown, la popolazione e l'ambiente erano parecchio a rischio. Ma negli ultimi anni si è assistito ad una rinascita, da quando dozzine di famiglie portoghesi, o provenienti da paesi di madre lingua portoghese, vi si sono insediate, soprattutto per lavorare nelle industrie conserviere del luogo.

Naturalmente ci sono stati dei problemi. Proprio la settimana scorsa, a Belfast, alcune famiglie polacche sono state aggredite da alcuni lealisti dell'Ulster locale che li accusavano di comportamento anti sociale. Ma il numero degli immigrati stranieri supera di gran lunga quello dei razzisti isolati e degli xenofobi. In linea di massima l'impatto che l'immigrazione ha avuto è stato positivo e foriero di progresso, il lato buono della globalizzazione. Il pub che frequento solitamente, il Pavillion a sud di Belfast, una volta al mese dedica una serata alla Polonia, dove si esibiscono DJ di Varsavia e vengono offerte tipiche bevande polacche ed è un'inziativa che riscuote un grande successo. Venisse il giorno in cui avremo il nostro primo consigliere polacco, africano o cinese. Magari.

Durante la parata del “Love Ulster” organizzata recentemente dagli unionisti a Dublino si sono verificati dei disordini. Secondo lei la violenza riflette un'avversione generalmente condivisa nei confronti dell'Ulster unionista nella Repubblica o piuttosto una buona opportunità per gli estremisti, sia repubblicani che lealisti, di finire sulle prime pagine dei giornali?

Credo che gli abitanti della Repubblica siano generalmente più rilassati e tolleranti di quelli dell'Irlanda del nord. Ho assistito personalmente ai disordini e queste sono le mie conclusioni. Per prima cosa quasi tutti quelli che hanno provocato gli scontri erano solo teppisti che hanno colto l'occasione. In secondo luogo, il culto del Glasgow Celtic e i suoi riti tribali hanno avuto il loro peso. In terzo luogo, credo che i dissidenti repubblicani abbiano sfruttato la situazione, soprattutto quegli elementi schierati con l'IRA. C'era un livello di organizzazione nei disordini, rivolto non solo contro i dimostranti unionisti (ai quali non si sono mai avvicinati), ma anche allo Stato irlandese.

Una volta Reginald Maulding ha parlato di “livello di violenza accettabile” nell'Irlanda del nord. Leggendo sia i quotidiani che Colours è evidente che l'assenza di una violenza di motivazione politica non ha condotto ad una società pacifica. L'accordo del Good Friday ha cambiato il livello e il contesto per una “violenza accettabile”?

No, ha condotto a una forma di apartheid all'interno della società. Sto scrivendo un articolo per l'Observer su una scuola integrata nata a Mid Down, uno dei luoghi più tolleranti, a livello religioso, del nord dell'Irlanda. Un matrimonio su cinque in questa zona avviene tra appartenenti a credi diversi. Ciononostante la scuola ha incontrato la netta opposizione dei politici unionisti i quali temono che, se in quella zona i figli di cattolici e di protestanti verranno educati insieme, il loro potere subir&agra
ve; un calo. Figuriamoci! Nel 2006 esistono ancora fanatici che si oppongono a scuole che promuovono l'incontro tra bambini, a prescindere dalla loro religione. E questo avviene nella zona più tollerante del nord Irlanda. Riassume un po' l'atteggiamento dominante: pace sì, amore e conoscenza reciproca no.

La Repubblica è stata citata a livello internazionale (inclusa la recente campagna elettorale italiana) come un esempio economico da seguire. I pro e i contro della “Tigre Celtica” sono già stati ampiamente discussi. Ma qual è stato l'impatto nelle comunità del Nord? Nell McCafferty una volta ha detto che, in assenza di discriminazione, sarebbe stata contenta di definirsi cittadina britannica, considerato il fatto che i benefici economici superavano di parecchio quelli offerti dalla Repubblica (salute, istruzione etc..). Il benessere economico renderebbe il colpo di un Irlanda unita meno duro per gli unionisti?

In una parola: no. Gli unionisti non riconoscono l'approccio marxista alla storia, non sono guidati dal determinismo economico. L'unica cosa che li potrebbe spingere a desiderare un'Irlanda unita (e questa è un'opinione che condivido) e la consapevolezza che potrebbero avere un enorme potere politico all'interno del Parlamento irlandese, controllando, attraverso la propria influenza politica, l’attribuzione di incarichi di alta responsabilità. Sono anche consapevoli del fatto che non hanno più molto potere all'interno del governo inglese. Ma il problema è che esiste una diffusa ammirazione per lo stile di vita britannico.

Sembra chiaro che esistono grosse differenze culturali tra gli unionisti del nord Irlanda e gli inglesi. Cos'è secondo lei invece ciò che divide i nazionalisti del nord Irlanda da quelli dell'Irlanda del sud?

Esistono delle differenze tra nazionalisti del nord e quelli del sud. Consideriamo la religione, per cominciare. I cattolici del nord sono considerati più conservatori, ad esempio per quel che riguarda la sessualità, rispetto a quelli del sud. Sono inoltre più portati a confidare nei loro sacerdoti e meno inclini a mettere in discussione la gerarchia ecclesiastica, oltre ad essere più ostili verso gli unionisti. La conoscenza genera scontento! Quando vado allo stadio a vedere la nazionale irlandese sono i tifosi cattolici del nord che cantano gli inni dell'IRA, fischiano i giocatori stranieri che giocavano per i Rangers ecc… Sono come i serbi bosniaci… più serbi dei serbi.

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Guantanamo. E' importante rifletterci su. https://www.threemonkeysonline.com/it/guantanamo-e-importante-rifletterci-su/ https://www.threemonkeysonline.com/it/guantanamo-e-importante-rifletterci-su/#respond Fri, 01 Jul 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/guantanamo-e-importante-rifletterci-su/ Perché dovrebbero interessarci le condizioni di vita al Campo X-Ray, Baia di Guantanamo? Perché mai dovremmo curarci della posizione legale dei detenuti di Guantanamo? Dopotutto il campo venne approntato dal governo americano per quei membri catturati di Al-Qaeda, membri di un'organizzazione che aveva ben poco rispetto per le regole di guerra o i diritti umani. […]

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Perché dovrebbero interessarci le condizioni di vita al Campo X-Ray, Baia di Guantanamo? Perché mai dovremmo curarci della posizione legale dei detenuti di Guantanamo? Dopotutto il campo venne approntato dal governo americano per quei membri catturati di Al-Qaeda, membri di un'organizzazione che aveva ben poco rispetto per le regole di guerra o i diritti umani. Dalla fine del 2003, David Rose, un giornalista inglese, sta cercando le risposte a queste domande.

I detenuti

“Sono il peggio della peggior feccia. Sono molto pericolosi. Si sono votati ad uccidere milioni di americani, americani innocenti, se gli è possibile, e sono perfettamente pronti a morire in quest'azione” – Dick Cheney, 27 gennaio 2002, parlando dei detenuti di Guantanamo [ Fox News]

“Pochi dei circa 750 individui che sono passati per Guantanamo o che sono ancora detenuti lì si erano votati all'uccisione degli americani in senso attivo, e le persone detenute oggi negli Stati Uniti che rientrano in questa descrizione non sono mai passate per Cuba. Esistono prove a testimonianza del fatto che una grande quantità di prigionieri di 'Gitmo', si parla di centinaia di individui, non erano responsabili del neppur minimo coinvolgimento in qualunque cosa si possa descrivere in termini ragionevoli come un atto di terrorismo” – David Rose, Guantanamo. America's war on human rights [p. 9]

Nel novembre 2001, il Presidente George W. Bush emanò un ordine presidenziale in base al quale i terroristi di Al-Qaeda finiti in manette avrebbero dovuto essere giudicati da speciali commissioni militari, libere dalle restrizioni imposte dalle corti civili. L'ordine fu in seguito esteso ad includere membri dei talebani. I detenuti sarebbero stati trattati come combattenti illegali e, ricevendo l'assistenza legale dal dipartimento di Giustizia nella persona di Alberto Gonzales (in un memo interno datato 25 gennaio 2002), non sarebbero stati soggetti alla Convenzione di Ginevra. Queste decisioni hanno avuto conseguenze enormi per tutti coloro che sono finiti nelle prigioni americane.

“La grande bugia, o una delle grandi bugie, che l'amministrazione [americana] ci ha raccontato sui detenuti a Guantanamo è che sono stati catturati sul campo di battaglia”, spiega Rose. “Ecco, in molti casi, non potremmo essere più lontani dalla verità. Anzi, pochissime delle persone imprigionate a Guantanamo sono state catturate sul campo di battaglia. Probabilmente nel numero di poche decine. David Hicks, l'australiano sotto processo in questo momento [Maggio 2005], è uno dei pochi che mi vengono in mente. Molti dei rinchiusi a Guantanamo addirittura non sono stati neppure catturati in Afghanistan. Sono stati letteralmente rapiti e presi con la forza, con palese contravvenzione di varie leggi nazionali e internazionali di paesi come lo Zambia, il Gambia e il Pakistan. Esiste un certo numero di casi riguardanti cittadini britannici i quali sono stati rapiti dallo Zambia e dal Pakistan con la connivenza diretta, devo dire, dell'intelligence e dei servizi di sicurezza britannici. E questo da un lato. Dall'altro, viene dato per scontato che se uno si trovava in Afghanistan nel 2001-2002, allora doveva stare a combattere con i talebani, o al fianco di Al-Qaeda, ed era, perciò, indistinguibile da un terrorista. Qui si nascondono molte verità. Poteva essere un simpatizzante dei talebani, magari in un campo di addestramento, e magari persino in combattimento in quel che era, dopotutto, una guerra civile afgana tra i talebani e l'Alleanza del Nord. Oppure poteva persino essere estraneo a tutto questo. Penso che ci sia una differenza enorme tra simpatizzare per i talebani, e anche prendere parte in quella guerra civile, e la reale partecipazione al terrorismo. Molti non c'entravano proprio [con i combattimenti a fianco dei talebani]. Molti furono traditi dai cacciatori di taglie. Venduti agli americani dai cacciatori di taglie che collaboravano con l'Alleanza del Nord. Altri, poi, vennero denunciati a causa di risentimenti personali. C'era gente coinvolta in dispute per la terra. Clan rivali che improvvisamente si trovarono ad essere spediti a Guantanamo Bay. Allo Human Rights Watch ci sono le prove documentate di casi del genere, in cui questo tipo di dispute per la terra ha portato alla detenzione a Guantanamo Bay per un paio d'anni.

Ci troviamo di fronte ad un sistema di identificazione degli individui secondo varie e diverse gradazioni, si può dire, in riferimento al loro effettivo coinvolgimento con cause islamistiche, ma quando non c'è un processo, non c'è un forum pubblico aperto a tutti in cui confrontare le prove e dare un qualche tipo di rappresentatività con cui sfidare le accuse, a quel punto immagino che quel che ne risulta sia inevitabile. Dato che nessuno di questi controlli esiste, l'amministrazione ha raccontato questa grandissima bugia, che tutti i detenuti sono stati fatti prigionieri in battaglia, e nonostante il lavoro di persone come il sottoscritto, sono riusciti a farla franca.”

Si potrebbe replicare che il sequestro di persone sospette da paesi come il Pakistan e lo Zambia deve poggiare su fonti certe dei servizi segreti e che preoccuparsi di leggi nazionali e internazionali di fronte al terrorismo è sofistico (il pericolo del terrorismo ha anche fatto dichiarare ad un certo numero di specialisti legali che la tortura dovrebbe essere legalizzata). Un esame del caso di Moazzem Begg mostra quanto pericolosamente ingenua sia una presunzione, che cioè quelli che sono stati mandati a Guantanamo ci sono andati per un valido motivo basato su dati dell'intelligence.

“Aveva una libreria islamica a Birmingham – ricorda Rose, che ha intervistato Moazzem Begg dopo il suo rilascio – e un tizio che si faceva chiamare Steve, che poi si seppe essere dell'MI5, capitava spesso in libreria. Cercava informazioni su eventuali possibili reti estremiste in Inghilterra. Moazzem e il suo socio Tahir non avevano problemi a collaborare con lui. Gli dissero: 'Guardi, non abbiamo nessun legame col terrorismo. Passi quando vuole, non abbiamo niente da nascondere'. Moazzem in seguito si trasferì in Afghanistan con la famiglia, fino all' 11 settembre, quando se ne venne via, non volendo aver niente a che fare con quel che chiaramente sarebbe diventata una guerra. Eccoli dunque a Islamabad, in una casa in affitto. L'MI5 non aveva idea di dove fosse. Steve capitò da Tahir, e gli chiese dove fosse Moazzem. Tahir replicò: 'veramente, è in Pakistan'. A quel punto Steve gli chiese di potersi mettere in contatto con lui, tanto per una chiacchierata. Tahir lo chiamò e gli disse che Steve lo cercava, per fare due chiacchiere. Moazzem rispose che andava bene, che gli desse il suo numero, e che se si fosse trovato a Islamabad poteva andare a cena da lui. Beh, invece due giorni dopo Moazzem fu arrestato, o piuttosto rapito, cacciato dentro un'auto e portato in un centro di detenzione segreto in Pakistan dove venne tenuto sei settimane [nel luglio 2002 la CNN diede la notizia della cattura di Begg in Afghanistan]. Quando arrivò lì uno fra i primissimi che vide fu Steve.” Successivamente fu trasferito a Guantanamo, da dove fu rilasciato nel marzo 2004, senza imputazioni.

A proposito di quelli catturati proprio in Afghanistan, si penserebbe che la gente catturata lì e mandata a Guantanamo fosse stata controllata con attenzione dall' 'intelligence' militare. Facile fare questa conside
razione dalla tranquillità della nostra comoda poltrona e delle nostre relative protezioni legali. Rose ha intervistato l'ex consigliere di Rumsfeld, il tenente-colonello Lietzau sulle modalità di identificazione dei detenuti. La risposta è stata illuminante quanto è male informata. “Non c'è proprio alcuna disputa di fatto. Nessuno dice 'beh, aspettate un secondo, io non ero uno dei Talebani'”. In realtà, come evidenziato da Rose e molte altre voci coraggiose, c'erano moltissime persone portate a Guantanamo che non facevano parte di Al-Qaeda o dei Talebani, e che protestavano la loro innocenza, ma era come se parlassero al muro. Alcuni sono stati rilasciati, grazie in parte alle pressioni internazionali, ma non prima di essere stati sottoposti a interrogatori, reazioni estreme, isolamento e varie forme di umiliazione.

Per i fortunati che sono stati rilasciati, sembrerebbe che sia minima la possibilità del riconoscimento di quel che hanno passato, come minime le speranze di risarcimento. “Alcuni di loro hanno delle cause pendenti nelle corti americane” spiega Rose. “I 'Tre di Tipton' hanno dato il la: Asif Iqbal, Shafiq Rasul e Rhuhel Ahmed [cittadini britannici]. Sono i primi che intervistai nel marzo 2004. Stavano cercando di fare causa al governo statunitense in una corte civile americana. Penso che alcuni degli altri potrebbero associarsi alla denuncia, oppure vedere prima come procede. Bisogna dire che molti esperti legali indipendenti con cui ho parlato negli Stati Uniti non ripongono granché fiducia in un qualche epilogo positivo. Potrà essere che alla fine si trovino con un risarcimento, ma è troppo presto per giudicare al momento.”

Una logica falsata

“L'argomento più importante non è morale o legale, ma pragmatico. La domanda è se Guantanamo, con tutti i suoi costi immensi – in termini economici, di sforzi e di risorse umane, di visibilità dell'America nel panorama mondiale – sia un mezzo adatto, e giustificabile, alla sconfitta del terrorismo. La mia risposta, tristemente, è no” – David Rose, Guantanamo [p. 11]

Quando, nel gennaio 2002, Alberto Gonzales suggerì in privato a George W. Bush che alcune delle disposizioni della Convenzione di Ginevra perdevano forza a causa della natura del nemico dell'America e della nuova guerra, la guerra al terrore, non si deve pensare che fosse necessariamente lontano dall'opinione pubblica e professionale. Erano in molti a pensare, e lo pensano ancora, che per garantire la sicurezza ai cittadini degli Stati Uniti, e degli alleati, debbano essere prese delle misure discutibili ma necessarie.

Il professore australiano Mirko Bargaric, proponendo la tortura legalmente sanzionata per i casi in cui possa sussistere una minaccia imminente, scrisse: “Se ciò sfortunatamente risultasse nella morte di un innocente, in tali circostanze sarebbe però giustificata. Penso che come società potremmo accettare la legittimità dell'uccisione di una persona per salvarne migliaia”. Le argomentazioni di Bargaric hanno sdegnato alcuni, mentre per altri sono un ampliamento legittimo delle motivazioni proposte dall'amministrazione Bush.

Nell'intervista al comandante della Joint Task Force, il Generale Maggiore Geoffrey D. Miller, Rose si informa sul valore delle informazioni raccolte dai detenuti di Guantanamo. “Stiamo elaborando delle informazioni di immenso valore per la nazione, dei dati di intelligence estremamente preziosi”, ha risposto il General Maggiore. Affermazioni queste che rispecchiano quelle di Donald Rumsfeld, il quale, intervenendo alla Camera di Commercio di Miami nel 2004, disse che “la detenzione di combattenti nemici serve anche ad un altro scopo. Ci fornisce quelle informazioni segrete che possono aiutarci a prevenire atti futuri di terrorismo. Può salvare delle vite umane” [enfasi aggiunta].

Una domanda cruciale allora è la seguente: quante informazioni raccolte a Guantanamo sono state utili, per non dire vitali? “Penso che la risposta sia pochissime, se ce ne sono state”, risponde Rose. “Una delle persone intervistate per il libro è il tenente-colonnello Anthony Christino III, un ufficiale dei servizi segreti militari ritiratosi recentemente dopo 20 anni di attività. Ha trascorso la maggior parte del 2003 lavorando nel cuore della guerra al terrore del Pentagono in qualità di Senior Watch Officer per l'unità nota come Joint Intelligence Task Force – Combattere il terrorismo, che aveva a che fare direttamente con quel che usciva da Guantanamo. E, senza svelare alcuna informazione classificata, mi ha raccontato che le affermazioni fatte da Rumsfeld, cioè che le informazioni raccolte laggiù sono di estrema importanza, sono semplicemente non vere, false, inesatte. Al contrario, le rivelazioni si sono rivelate di carattere estremamente generico, non specifico, mi ha riferito, e non hanno portato a nessuna importante operazione di cattura di sospetti terroristi, e, cosa importante, tendevano ad essere fortemente gonfiate. Certamente il sistema che hanno usato lì, quella combinazione di bastone e carota, tortura, coercizione e deprivazione per chi non collabora, e tutti i tipi di ricompense per quelli che lo fanno, compresi quelli che fanno false dichiarazioni contro altri prigionieri, tutto questo sistema è calcolato per far sì che ne vengano testimonianze ingannevoli”

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Al limite del surreale: L'amore ai tempi della Bossi-Fini, un – ahimè – realissimo spaccato di vita nella 'nuova' Italia. Intervista all'autrice, Cristina Artoni. https://www.threemonkeysonline.com/it/al-limite-del-surreale-lamore-ai-tempi-della-bossi-fini-un-ahim-realissimo-spaccato-di-vita-nella-nuova-italia-intervista-allautrice-cristina-artoni/ https://www.threemonkeysonline.com/it/al-limite-del-surreale-lamore-ai-tempi-della-bossi-fini-un-ahim-realissimo-spaccato-di-vita-nella-nuova-italia-intervista-allautrice-cristina-artoni/#respond Fri, 01 Jul 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/al-limite-del-surreale-lamore-ai-tempi-della-bossi-fini-un-ahim-realissimo-spaccato-di-vita-nella-nuova-italia-intervista-allautrice-cristina-artoni/ L'amore ai tempi della Bossi-Fini della brava Cristina Artoni, attraverso sette storie di immigrati, racconta le esperienze in Italia di altrettanti 'irregolari', persone che, volenti o nolenti, si sono trovate imbrigliate nelle maglie della complessa macchina (dis)organizzativa della burocrazia italiana. Il titolo del libello-inchiesta edito da Bruno Mondadori è abbastanza ovvio, ma Cristina ci tiene […]

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L'amore ai tempi della Bossi-Fini della brava Cristina Artoni, attraverso sette storie di immigrati, racconta le esperienze in Italia di altrettanti 'irregolari', persone che, volenti o nolenti, si sono trovate imbrigliate nelle maglie della complessa macchina (dis)organizzativa della burocrazia italiana. Il titolo del libello-inchiesta edito da Bruno Mondadori è abbastanza ovvio, ma Cristina ci tiene a spiegarmelo: “[è] ripreso da un libro di Garcia Marques [L'amore ai tempi del colera], perché lui è un maestro nel raccontare il surreale e qui ci troviamo in questa condizione molto spesso per chi, diciamo, è un 'non italiano' – mi dà fastidio anche usare il termine straniero a volte…”.

I personaggi che si raccontano a Cristina vengono dal Togo, dal Brasile, Cuba, Ucraina, Canada, e si sono ritrovati in Italia non solo per amore: alcuni per lavoro, altri sì a raggiungere un amante, qualcuno è addirittura nato qui. Le domando su che base ha scelto la casistica illustrata nel libro e lei mi spiega che “dovevano essere dei casi esemplificativi di quello che è il panorama, il risultato di questa legge Bossi-Fini. Quindi, insieme ad un avvocato, abbiamo scelto i casi che potessero essere indicativi di quanto è assurda questa legge che costringe veramente le persone a finire in storie al limite del surreale”.

Mi soffermo volutamente sulla vicenda di Amor, il promesso sposo marocchino di una donna italiana originaria del bresciano, che ha trovato la morte nel baule della Golf della ragazza nell'agosto del 2004, mentre lei cercava di introdurlo clandestinamente nel nostro paese. In questo caso particolare non è forse eccessivo addossare la colpa della tragedia sulle regole di entrata in Italia? I due stavano seguendo le procedure e avevano avviato le pratiche per sposarsi (il che garantisce facilitazioni dal punto di vista legale e burocratico), quindi il ragazzo sarebbe eventualmente entrato in Italia in qualche modo. Non si è trattato, quindi, di una morte che, con tutta la compassione del caso e il rispetto per le scelte altrui, era facilmente evitabile? Cristina non è d'accordo: “Sì, poteva essere evitata, però da un certo punto di vista i due ragazzi avevano aspettato già un anno! Per chi si sia trovato in una situazione di questo tipo – ma forse nessuno di noi si è mai trovato in questa condizione – è difficile capirlo, però credo che l'urgenza dell'amore, per me è anche abbastanza imbarazzante spiegarlo, però l'urgenza c'è … Quando si è innamorati, si ha voglia comunque di percorrere percorsi comuni insieme, quindi credo che, visto che le prerogative per una vita tranquilla e non da 'clandestini in Italia', non illegale, era possibile, è strano tutto questo tempo perso. Credo che anche questo sia uno dei punti tragici della legge Bossi-Fini: dare così tanta discrezionalità alle ambasciate di scegliere sulla vita delle persone. Questa è una delle storie che mi ha commosso di più perché credo che morire in questa maniera, morire in assoluto in una situazione così, quando c'erano tutte le possibilità per essere felici, deve essere ancora più tragico”, mi dice con il tono emozionato di chi ha conosciuto una grande passione.

In Italia si stima ci siano, tra regolari e irregolari, ben più di centomila cinesi (104'952 permessi di soggiorno rilasciati, secondo i dati Istat aggiornati al 1° gennaio 2004, il che corrisponde al quinto gruppo nazionale), eppure neanche uno dei casi esaminati dall'Artoni riguarda questa folta rappresentanza. “Avevo pensato di coprire un po' tutte le aree geografiche, poi però è stato difficile e non riuscivo ad avere dei contatti sicuri con la comunità cinese, che comunque, come tutti sanno, è una delle comunità più chiuse in tutto il mondo e quindi ho preferito – avevo anche l'urgenza di chiudere il libro – lasciare perdere e andare su delle storie esemplificative, ma sicure” è la risposta della giornalista, che dimostra come l'autrice, evidentemente, abbia voluto fare un lavoro approfondito e circonstanziato. Rivela anche di essere ancora in contatto con alcuni dei protagonisti e di continuare a seguire le loro vicissitudini. Mi racconta per esempio che, dopo diversi anni, un numero imprecisato di tentativi di ricongiungimento familiare falliti, una cifra consistente spesa in mazzette e una buona dose di sfortuna, la moglie di Korima, togolese arrivato nel nostro paese nel 2002, è finalmente riuscita ad entrare in Italia regolarmente e i due hanno recentemente avuto una bella bambina. “Con tutti quanti mantengo un rapporto ormai proprio di amicizia, anche con l'avvocato che mi ha raccontato la storia più tragica, l'ultima, quella del caso di Amor. […] Le situazioni più difficili, quelle legate all'illegalità sono ancora queste, nel senso che sia per Luna [una ragazza cubana che ha seguito l'innamorato italiano conosciuto a Cuba e che è diventata, suo malgrado, apolide, non essendo riuscita ad ottenere al cittadinanza italiana e avendo perso nel frattempo quella cubana] che per il ragazzo brasiliano, Beto [che si è fatto 'assumere' come colf dal padre del fidanzato pur di garantirsi l'agognato permesso di soggiorno], la situazione è rimasta uguale. Luna è clandestina, Helena, la ragazza egiziana è rimasta clandestina”.

Mi domando quante delle difficoltà che gli immigrati devono affrontare siano legate a xenofobia, razzismo e quant'altro, e quanto invece al nostro sistema organizzativo, così burocratico e clientelare anche per noi cittadini italiani. Anche a me è successo qualche anno fa di dover accompagnare un amico (tra l'altro comunitario, per il quale, si presume, le procedure di entrata e registrazione debbano essere pressoché immediate) alla Questura di Bologna per richiedere informazioni sulla modulistica da presentare per la richiesta del tristemente famoso 'permesso di soggiorno'. Ai tempi c'era un ufficio appostito per le informazioni, oggi neanche più quello: per il semplice ritiro del modulo di domanda di rinnovo del permesso di soggiorni si è tutti soggetti, comunitari ed extra-comunitari, alla fila disumana per prendere un numerino che ti darà, dopo ore di attesa sotto i portici, il diritto di accesso allo sportello dove prelevare il sudato formulario.

Tornando al mio amico e al suo arrivo a Bologna, pur se consapevole che questo potrebbe essere un caso isolato e senza alcuna intenzione di generalizzare, non dimenticherò mai la maleducazione e l'arroganza dell'impiegata che ci spiegava come fare questa benedetta domanda di soggiorno. Ad un certo punto, alla mia richiesta di delucidazioni su quante e quali fotocopie era necessario allegare al formulario, mi ha trafitto con un “ma lei è italiana, no? Dovrebbe capire la nostra lingua”. Mi sono immaginata quanto possa essere difficile e terrificante per qualcuno appena arrivato qui avere a che fare con tale trattamento. Le risposi che saremmo tornati in un altro momento, possibilmente quando le fosse passata la sindrome pre-mestruale e lei divenne improvvisamente molto più socievole e disponibile. Ma chi non parla la nostra lingua, chi si sente un estraneo braccato, chi magari è arrivato clandestinamente, pagando qualche scafista senza scrupoli e senza alcuna conoscenza delle nostre leggi o delle nostre idiosincrasie, quelle persone che tutele hanno di essere trattati 'umanamente'? Cristina non ha dubbi e alla domanda “siamo razzisti noi italiani?”, risponde con un secco
“sì, siamo molto razzisti. Siamo razzisti e chiusi, direi. Non siamo abituati ad accogliere nuove culture e questo è un processo molto lungo. Io ho vissuto un periodo in Francia ed era uno degli aspetti che mi piacevano di più, anche se anche lì, come avete visto con l'esplosione delle banlieues le contraddizioni ci sono, però l'aspetto multiculturale è comunque presente ad esempio in una grande città come Parigi. Noi siamo razzisti e tendiamo a vedere, ancora una volta, nello straniero un nemico”.

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La Replica di Rocco Buttiglione – Il Labirinto Morale Parte Seconda https://www.threemonkeysonline.com/it/la-replica-di-rocco-buttiglione-il-labirinto-morale-parte-seconda/ https://www.threemonkeysonline.com/it/la-replica-di-rocco-buttiglione-il-labirinto-morale-parte-seconda/#respond Fri, 01 Jul 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/la-replica-di-rocco-buttiglione-il-labirinto-morale-parte-seconda/ Il professor Rocco Buttiglione, parlamentare italiano e Ministro dei Beni Culturali nell'uscente governo Berlusconi, è stato su tutti i giornali internazionali nell'ottobre del 2004, quando la sua candidatura a Commissario europeo a giustizia, libertà e sicurezza fu bocciata dal Parlamento Europeo a causa delle sue convinzioni, conservatrici e cattoliche, sull'omosessualità e l'aborto. In un'intervista a […]

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Il professor Rocco Buttiglione, parlamentare italiano e Ministro dei Beni Culturali nell'uscente governo Berlusconi, è stato su tutti i giornali internazionali nell'ottobre del 2004, quando la sua candidatura a Commissario europeo a giustizia, libertà e sicurezza fu bocciata dal Parlamento Europeo a causa delle sue convinzioni, conservatrici e cattoliche, sull'omosessualità e l'aborto.

In un'intervista a Three Monkeys Online sui temi di moralità, etica e politica, l'ex-Arcivescovo di Edimburgo, Richard Holloway, commentò così il 'caso Buttiglione': “non credo che Buttiglione avrebbe mai dovuto candidarsi. Esiste in Europa un'etica laica che opera nel rispetto delle minoranze religiose e sessuali; un politico le cui convinzioni religiose non concordano con questi valori dovrebbe evitare di candidarsi ad una carica pubblica”.

Proseguendo il suo viaggio all'interno del labirinto morale, Three Monkeys Online ha contattato Rocco Buttiglione, proponendogli un'intervista basata su temi simili a quelli affrontati con Richard Holloway. Il ministro Buttiglione ci ha gentilmente invitato ad un incontro in occasione del quale ci ha rilasciato la seguente intervista:

Secondo un ritornello comune di conservatori e leader religiosi, la società permissiva degli anni ’60 e ’70 ha provocato un’erosione dei 'valori morali' che ha a sua volta condotto ad una società più violenta e disunita. Lei pensa che, all’alba del XXI secolo, la nostra società sia meno morale?

Meno morale? Difficile dire. La storia dell'Occidente è sempre la storia dell'evangelizzazione, della reazione contro l'evangelizzazione e della ri-evangelizzazione. Qualcuno ha tentato di descriverla come una storia di progressiva secolarizzazione che dovrebbe finire con la morte del cristianesimo, ma questo non corrisponde alla realtà. Per cui è difficile dire: il passato era più cristiano di noi? Può essere, in certi momenti, in altri invece no.

A che punto di questo ciclo siamo adesso?Non so se ha visto il film Sophie Scholl – La Rosa Bianca? Un bellissimo film su di un gruppo di giovani cattolici tedeschi che facevano parte del gruppo La Rosa Bianca per testimoniare la loro fede davanti al Terzo Reich. Hanno pagato con la testa. Era più cristiana l'Europa o la Germania di quegli anni? Non mi sentirei di dirlo. Oggi i cristiani al massimo pagano rinunciando ad un seggio nella Commissione Europea. Per un politico è doloroso, ma è sempre meglio che perdere la testa. Naturalmente ci sono stati il distacco dal cristianesimo che ha segnato la prima parte del secolo XX, poi, dopo la Seconda Guerra Mondiale una fase di ri-cristianizzazione, che arriva agli anni '60, poi c'è stata una fase di secolarizzazione edonistica che arriva grosso modo agli inizi degli anni '80. Io credo che siamo entrati in una fase di ri-cristianizzazione.

Qui in Europa siamo allo stesso punto, a confronto con l'America?

No, siamo indietro rispetto all'America, di una ventina d'anni, come sempre. Questo fenomeno di ri-evangelizzazione in America forse è iniziato prima che non da noi, perché, vede, quando io avevo vent'anni, nel '68, ed è arrivata la rivoluzione sessuale. Qual era il tema? Non è più necessario incanalare la sessualità verso il matrimonio e la famiglia; la famiglia è un fenomeno storico, che ha segnato alcune fasi della storia dell'umanità, destinato a svanire in un mondo in cui ne ce ne sarà più bisogno. E le funzioni della famiglia? Offrire compagnia, un sostegno nella vita, generare i figli, educarli, assistere gli anziani? Di tutto questo si occuperanno nuove agenzie che emergeranno. Si parlava della 'comune', il luogo che avrebbe dovuto fare tutte queste cose. Purtroppo non ha funzionato. E abbiamo dissacrato gli antichi valori, ma i valori nuovi non sono arrivati. E allora la gente comincia a riconsacrare i vecchi valori, in forme diverse dal passato, ma la tendenza è quella della riconsacrazione degli antichi valori. Una riconsacrazione qualche volta esplicita, qualche volta timida, ma che è un dato ormai da diversi anni. Per l'Europa si aggiunge il crollo del comunismo e il fatto che, nella lotta contro il comunismo, il recupero delle radici cristiane dell' Europa è stata la grande forza. Proprio il comunismo crolla senza guerra; probabilmente sarebbe caduto anche senza Giovanni Paolo II, ma sarebbe caduto in una terribile guerra civile dal Baltico sino all'Adriatico, una Bosnia-Erzegovina moltiplicata per dieci, per cento, per mille, con tante armi atomiche disseminate su quei territori … Invece è caduto senza sangue. Giovanni Paolo II, lui soprattutto, è riuscito a contenere la massa enorme di frustrazione, di odio che la regione aveva accumulato, per una transizione pacifica. Questo sicuramente è un argomento che cambia la storia dell'Europa.

Se invece parla degli Stati Uniti, c'è un punto di svolta. Lei sa dove lo può trovare? In un film che si intitola Pretty Woman. Ha presente Pretty Woman? Il film inizia naturalmente nel segno della liberazione sessuale, quindi la protagonista fa la prostituta, va a letto con [un cliente], ma questa apparizione è un po' il tributo da pagare alle mode dominanti. Il tema vero è l'amore vero: quando lei si innamora, allora non vuole essere trattata come un oggetto sessuale. Vuole essere propriamente corteggiata, come una principessa. E l'uomo, che si innamora, scopre un'altra dimensione della vita. Prima era un pescecane dell'alta finanza: comprava delle società, delle holdings per spezzarle, venderle guadagnandoci, magari licenziando la gente che c'era dentro, per fare solo soldi. Quando si innamora vuole costruire qualcosa, vuole che la società cammini, che i lavoratori siano salvaguardati, e alla fine finiscono col costituire una famiglia.

Se lei guarda al di là delle apparenze, c'è tutto un movimento potente che poi corrisponde anche all'esperienza della vita. Quando io avevo vent'anni era il '68; trent'anni dopo il '68 ho incontrato un mio amico – io ho quattro figli – e lui mi ha detto “adesso capisco come sarebbe bello avere dei figli, però è troppo tardi”. Probabilmente a cinquant'anni tu vorresti avere dei figli grandi, difficilmente te la senti di cominciare allora.

A proposito di etica e legislazione. Come si può definire la relazione tra questi due concetti? Tutte le leggi devono essere morali? Ogni valore morale deve essere legge?

Assolutamente no. Se tutti gli atti amorali fossero puniti per legge, ci sarebbe assai poca gente che cammina libera per strada, saremmo tutti in galera, compreso me probabilmente. No, una cosa è la coscienza morale, un'altra è la legge. Dobbiamo tenere ferma questa differenza. Io posso pensare che lei sbaglia, però devo essere pronto a dare la vita perché lei mantenga il diritto di sbagliare. Io devo avere però il diritto di dire che lei sbaglia. Questo è il principio della società liberale. I parroci devono avere il diritto di dire che il peccato è il peccato. Anche i laici devono avere la libertà di dire che il peccato è il peccato. I peccatori devono avere la libertà di peccare, finché ovviamente questo non produce un danno e qui interviene la legge. La legge non tocca la moralità dei comportament
i di noi tutti, ma tocca la difesa del diritto dell'altro. E' un'antica distizione che va tenuta ferma. C'è oggi la tendenza a negare questa distinzione.
Il mio caso a Bruxelles ne è un esempio: io sono per la non-discriminazione degli omosessuali, però penso, o almeno, ho il diritto di pensare, non dico nemmeno se lo penso o no, ho il diritto di pensare, insieme al catechismo della Chiesa cattolica, che l'omosessualità sia un fatto moralmente sbagliato. Ho il diritto di pensarlo. A Bruxelles, mi hanno interrogato non per sapere quali erano le mie politiche: loro volevano sapere qual era la mia convinzione morale. E mi hanno discriminato per la mia convinzione morale, che per di più non ha nulla a che fare con la politica, se non altro perché in materia di famiglia, l'Unione europea non ha nessuna competenza. E' una competenza degli Stati, ed è bene che rimanga una competenza degli Stati.

Abbiamo parlato adesso dei peccati, che non sono contro la legge necessariamente se non offendono il diritto degli altri. Che ne pensa lei dei PACS? I proponenti dei PACS dicono che non averli sarebbe negare un diritto.

Un diritto? No. Lasciamo perdere i PACS. Il problema è il matrimonio. Io penso che lo Stato non deve ficcare il naso tra le relazioni sessuali di adulti consenzienti. D'altro canto penso invece che la famiglia, quella tradizionale, ha una funzione sociale fondamentale, perché lì nascono i bambini e l'investimento sui figli è il più grande investimento che un Paese faccia. I benefici di questo investimento vanno a tutti: chi non ha avuto figli ha un reddito disponibile molto più elevato di chi ha avuto figli. Con lo stesso reddito, con lo stesso salario, uno da solo è quasi ricco; se ha avuto figli è quasi povero. Non è giusto, perché i figli pagheranno tasse e contributi per pagare anche le pensioni e la sanità di chi non avrà voluto avere figli e sarà stato più ricco tutta la vita. Il problema dell'Europa è di incoraggiare i giovani a sposarsi e avere bambini, perché altrimenti l'Europa muore. La famiglia ha una funzione sociale e quindi ha diritto al riconoscimento di questa funzione sociale e deve essere sostenuta in questa funzione sociale. Altre forme di convivenza sessuale sono un fatto privato: si va dal notaio, se si crede, e si scrivono le regole del patto che lega queste persone.

Però allo stesso tempo io posso sposare qualcuno e non avere figli. Ci sono certi vantaggi ad essere sposati…

Questo è possibile, e infatti la legislazione, la politica deve graduare i vantaggi che dà a chi ha dei figli e dare di meno a chi non ha dei figli. Però sa, se io mi sposo, in linea di proncipio, mi preparo ad avere dei figli. Questo è il senso del matrimonio, anche etimologicamente. Anche questo me l'hanno contestato, ma l'etimologia non l'ho fatta io. Significa 'il contesto che aiuta e sostiene la madre', Matris manus [sic], in latino, e il matrimonio ha questa funzione. Poi in alcuni casi non ci saranno dei figli, certo, e in quei casi la legge non darà dei vantaggi a sostegno dei minori, però c'è quella stabilità pensata per mettere al mondo dei figli. Una volta il problema dell'Europa – lo dice Carlo Marx nel Manifesto del Partito Comunista, ma lo dice anche Leone XIII nell'enciclica De Rerum Novarum – era la classe operaia. Gli operai sono rimasti in pochi e non se la passano neanche tanto male. Poi ci sono le famiglie. Se andate a cercare la povertà, la trovate presso le famiglie. Perché? Perché le famiglie fanno questo grande investimento, loro, di cui beneficiano tutti e nessuno le aiuta. Dobbiamo accendere i riflettori sulle famiglie e fare politiche di sostegno alle famiglie. Io ho l'impressione invece che ci sia una grande accentuazione [sui] PACS, [su] cose del genere, per distogliere i riflettori dal punto su cui devono essere concentrati: le famiglie sono il soggetto.

Slavoj Žižek ha scritto che “nell'epoca della post-politica, in cui la politica vera e propria viene progressivamente sostituita da un'amministrazione sociale specializzata, le tensioni culturali (religiose) o naturali (etniche) sono l'unica fonte legittima di conflitto rimasta” [Contro i diritti umani, edito da Il Saggiatore]. Che ne pensa lei: oggi si fa politica più sui valori che sui programmi?

Mah, la politica si fa sempre prima di tutto sui valori, perché i programmi discendono dai valori. E quindi la chiarezza sui valori è la prima base della politica. Bisogna sapere qual è la gerarchia dei valori cui ci si ispira e in una società democratica questo è oggetto continuo di dibatto democratico. In questo dibattito, a volte si vince, a volte si perde. E se si perde che si fa? Si aspetta la propria occasione perché questo è il metodo della democrazia. Io vedo invece che c'è un integralismo anti-cristiano che dice 'i cristiani a questo dibattito non devono partecipare', di qualunque cosa si parli 'siccome sei cristiano, non puoi entrare nella libera discussione'. Non è vero! Non è che noi argomentiamo che lo dice la Bibbia, allora deve essere così. Noi argomentiamo portando argomenti razionali, umani, che hanno il diritto di essere presi in considerazione come quelli di tutti gli altri. Poi il popolo, di volta in volta, deciderà.

Il nuovo papa Benedetto XVI è noto per i suo attacchi al relativismo. L'ex-Arcivescovo anglicano Dr. Richard Halloway invece ha parlato di un sistema di “jazz etico”, nel senso che nella nuova società, perché è multiculturale, dobbiamo trovare un nuovo modo di trovare un consenso. Questo è una sorta di jazz, di improvvisazione. La domanda è questa: come si fa a valutare sistemi etici differenti? Per esempio, nella nostra società è molto difficile per una donna indossare l'hijab o il burka, nel senso che da una parte ci sono quelli che dicono che questo è un valore culturale per le donne, che ne hanno il diritto; dall'altra parte ci sono quelli che dicono che questo è un sistema oppressivo per le donne.

Perché non lasciamo decidere le donne?

Lei è contrario per esempio alla legge francese che lo vieta nelle scuole?

Lasciamo che la gente… decida, almeno dove non va contro il diritto degli altri. Chiaro: io sono contro il relativismo culturale, quando questo tocca un nocciolo di valori che potremmo definire 'diritti naturali', valori umani fondamentali. Viene qualcuno e mi dice: 'mia figlia sposa l'uomo che decido io e non quello che decide lei'. No, farà parte della tua cultura, ma finora un diritto umano fondamentale di tua figlia è quello di decidere lei chi sposa. Viene uno che dice 'noi mutiliamo gli organi sessuali secondari [sic] delle bambine'. Eh no, non lo fai, almeno non da noi, perché questo lede un diritto umano fondamentale. Viene una colonia di Aztechi che dicono 'noi sacrifichiamo i nostri bambini, perché è la nostra cultura. Non sacrifichiamo i vostri, però noi abbiamo il diritto di farlo'. No, non avete il diritto di farlo perché va contro un diritto umano fondamentale. Ma mi pare anche un diritto fondamentale per una donna quello d
i vestirsi come diavolo le pare, quindi non vedo perché lo Stato ci debba ficcare il naso. Tranne forse una cosa, ovviamente: tutti gli Stati prevedono che ti puoi vestire come vuoi, ma non ti puoi travestire. Altra cosa è il fazzoletto che le donne islamiche portano in testa e che secondo me hanno tutto il diritto di mettere. A volte le rende anche più belle… Altra cosa è il burka che è un modo per celare l'identità, e questo ha buoni motivi di ordine pubblico per essere proibito. Magari invece di una donna, c'è un uomo e può essere pure un terrorista. Ma, posti dei limiti che non possono avere come base la volontà di impedirti di fare quello che vuoi – devono avere come base la volontà di difendere il diritto di altri, che è quello di non essere oggetto di attentati – perché dobbiamo contenere la libertà? Il relativismo va combattuto laddove si toccano diritti umani fondamentali, perché noi non siamo relativisti se noi crediamo che la persona umana debba essere al centro della società e i diritti di ogni persona umana vanno rispettati. Una volta rispettati questi diritti, ognuno faccia quello che vuole.

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Ancora in lotta contro l&apos;apartheid – Three Monkeys intervista l&apos;attivista sudafricano Denis Brutus https://www.threemonkeysonline.com/it/ancora-in-lotta-contro-lapartheid-three-monkeys-intervista-lattivista-sudafricano-denis-brutus/ https://www.threemonkeysonline.com/it/ancora-in-lotta-contro-lapartheid-three-monkeys-intervista-lattivista-sudafricano-denis-brutus/#respond Wed, 01 Jun 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/ancora-in-lotta-contro-lapartheid-three-monkeys-intervista-lattivista-sudafricano-denis-brutus/ Denis Brutus, nato nel 1924 da genitori sudafricani nella, all’epoca, Rodesia Britannica, finì sulle prime pagine dei giornali (e in carcere) quando, negli anni '60, condusse una campagna per il boicottaggio del Sud Africa nel mondo sportivo. Attivista di lunga data, poeta e professore di letteratura africana, Brutus continua la sua protesta contro l’ingiustizia economica. […]

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Denis Brutus, nato nel 1924 da genitori sudafricani nella, all’epoca, Rodesia Britannica, finì sulle prime pagine dei giornali (e in carcere) quando, negli anni '60, condusse una campagna per il boicottaggio del Sud Africa nel mondo sportivo. Attivista di lunga data, poeta e professore di letteratura africana, Brutus continua la sua protesta contro l’ingiustizia economica. Oggi i suoi obiettivi sono le multinazionali, le banche e quelle istituzioni che traggono profitto da ciò che egli definisce “un sistema globale di apartheid economico”. Robert Looby ha avuto il piacere di parlare del passato, del presente e del futuro con il professor Brutus.

Come è cominciata la sua battaglia contro l’ingiustizia?

Sono nato in una zona dove la segregazione razziale era molto presente. Si veniva classificati come non bianchi o di colore e quindi si era esposti alla segregazione molto precocemente e, è bene ricordarlo, io sono cresciuto durante gli anni ’20 e ’30. Ma, come non perdo occasione di fare notare, vivere all’interno di una comunità protegge dalle forme più dure di razzismo che invece si sperimentano all’esterno. Fummo uno dei primi prodotti di ciò che venne definita la politica della segregazione che, dal 1948 in avanti, quando venne istituito il governo dell’apartheid, divenne poi la politica dell’apartheid. Negli anni ’20 e ’30 esisteva un razzismo di tipo coloniale non diverso da quello del sud degli Stati Uniti, dove esistevano scuole e chiese separate per bianchi e neri. In Sud Africa esistevano addirittura degli uffici postali con entrate diverse per bianchi e neri o, come si usava dire, per bianchi e per non bianchi. (Il termine “non bianchi” comprendeva ampie sottocategorie con cui venivano indicate le persone di colore). C’erano autobus solo per bianchi e autobus per non bianchi.

Io crebbi in questo clima ma non ne ero molto consapevole perché, come ho già detto, ero protetto dalla mia comunità. Quando, per andare a scuola, cominciai a girare per la città cominciai anche a notare quei cartelli che dicevano “solo bianchi” o “solo non bianchi”. Allora il termine usato era “europei” e “non europei”, il che era buffo perché, a volte, chi veniva dall’America si sentiva in dovere di salire solo sui bus per “non bianchi”. Infatti non erano europei, erano americani. Questo era solo uno dei problemi minori.

Alle superiori divenni più consapevole della discriminazione razziale tra bianchi e non bianchi nell’utilizzo degli autobus e ovviamente il servizio peggiore capitava sempre ai non bianchi. Credo fu all’epoca dell’università che me ne resi definitivamente conto, anche se avevo già cominciato a realizzarlo ai tempi del liceo. E me ne resi conto in un modo molto particolare. Mi iscrissi a Fort Hare, un college frequentato da neri che era stato una avamposto militare comandato da un colonnello di nome Hare all’epoca della guerra coloniale contro gli Africani. Il forte passò in seguito alla chiesa, una sorta di impresa ecumenica, che lo trasformò in un’università per non bianchi – per neri, in verità – che prese il nome di Fort Hare. Una delle cose che mi colpì fu che molti tra i migliori atleti del paese frequentavano Fort Hare e, pur avendo un rendimento superiore di qualsiasi bianco in un determinato sport, non erano ammessi nella squadra olimpica perché, come il nostro governo aveva orgogliosamente annunciato, un nero non avrebbe mai fatto parte della squadra olimpica.

La situazione era un po’ più complessa di così perché secondo il comitato olimpico la selezione deve avvenire in base al merito senza alcuna discriminazione di razza. Fu così che cominciai ad oppormi alla politica del razzismo e dell’apartheid, dal punto di vista sportivo. È buffo che ora molte persone mi facciano notare che fu una mossa furba individuare nello sport il punto debole dell’apartheid ma a in verità non mi opposi al sistema perché pensavo che quello fosse il suo punto debole. Pensavo solo che fosse una vera e propria ingiustizia escludere degli atleti dalla squadra a causa del colore della loro pelle. Comunque, in fin dei conti, finii per oppormi al sistema e fui arrestato, portato in un carcere da cui fuggii, fui ferito alla schiena a Johannesburg e finii a Robben Island in compagnia di Nelson Mandela, a spaccare pietre. Ma cominciò tutto con lo sport, questo devo ammetterlo. Non voglio prendermi il merito di una cosa che non ho fatto, ossia avere avuto l’astuzia di combattere l’apartheid tramite lo sport. Non fu questo il mio approccio. Il mio approccio fu quello di prendermela con il mondo sportivo, che era razzista, e trovarmi così in conflitto con il sistema dell’apartheid…

Che insegnamenti bisogna trarre dalla sconfitta dell’apartheid?

Prima di tutto bisogna estendere la pressione a livello internazionale. Questo aiuta a definire degli obiettivi precisi. La squadra di rugby di Springbok ce ne ha fornito uno, la Barclays Bank, operando in 80 paesi diversi, potrebbe offrirci la stessa opportunità. Quando ero in Inghilterra, insieme a Peter Hain, ora membro del governo di Tony Blair, organizzai una campagna piuttosto efficace contro la Barclays e, come sapete, riuscimmo a cacciarli dal Sud Africa. Ora sta per tornare, nonostante sia stata una grande alleata dell’apartheid, e quindi stiamo organizzando una campagna di opposizione. La cosa fondamentale è che la Barclays ha sedi in 80 paesi del mondo e noi stiamo organizzando proteste in tutti e 80 questi paesi. Se l’oppressione diventerà globale, allora renderemo tale anche la resistenza.

All’inizio del mese mi trovavo in tribunale a Johannesburg per oppormi all’acquisizione della ABSA (Amalgamated Bank of South Africa, la banca maggiormente utilizzata dalla popolazione), la più importante banca sudafricana, da parte della Barclays Bank. Va ricordato che la Barclays è stata una delle banche che ha finanziato il sistema dell’apartheid prestandogli grosse somme anche quando le Nazioni Unite lo condannavano apertamente e ne richiedevano il boicottaggio. La campagna continua.

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Nel Labirinto Morale. Una discussione su etica e religione con Richard Holloway https://www.threemonkeysonline.com/it/nel-labirinto-morale-una-discussione-su-etica-e-religione-con-richard-holloway/ https://www.threemonkeysonline.com/it/nel-labirinto-morale-una-discussione-su-etica-e-religione-con-richard-holloway/#respond Wed, 01 Jun 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/nel-labirinto-morale-una-discussione-su-etica-e-religione-con-richard-holloway/ A proposito di Richard Holloway, l’ex-Arcivescovo anglicano di Edimburgo, Joan Bakewell ha scritto sul New Statesman che “è sempre stato un radicale che ha vissuto nel mondo reale, disposto ad accettarne le pretese e i limiti”. Moses Tay, l’Arcivescovo anglicano del Sud Est asiatico, ha definito il suo libro del ’99, Una morale senza Dio […]

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A proposito di Richard Holloway, l’ex-Arcivescovo anglicano di Edimburgo, Joan Bakewell ha scritto sul New Statesman che “è sempre stato un radicale che ha vissuto nel mondo reale, disposto ad accettarne le pretese e i limiti”. Moses Tay, l’Arcivescovo anglicano del Sud Est asiatico, ha definito il suo libro del ’99, Una morale senza Dio , “orribile ed eretico”, un’opinione indubbiamente condivisa da altri prelati, scioccati dal fatto che Holloway, tra le altre cose, sostenga i diritti degli omosessuali e la liberalizzazione delle droghe. “Sarebbe difficile esagerare la confusione morale dei giorni nostri e l’urgenza e l’importanza di trovare un base condivisa per la nostra condotta gli uni nei confronti degli altri, dal momento che viviamo tutti su questo pianeta”, scrive Halloway nell’epilogo del libro Una morale senza Dio, solleticando la curiosità di Three Monkeys Online ad avventurarsi nel labirinto morale. Grazie ad una intervista via e-mail, il dottor Holloway ci ha gentilmente fatto da guida.

Secondo un ritornello comune di conservatori e leader religiosi, la società permissiva degli anni ’60 e ’70 ha provocato un’erosione dei ‘valori morali’ che ha a sua volta condotto ad una società più violenta e disunita. Lei pensa che, all’alba del XXI secolo, la nostra società sia meno morale?

Per certi versi sì, per altri no. Lo sviluppo umano, e non mi riferisco al progresso, procede, moralmente parlando, a zig zag, facendo sia progressi che passi indietro. Si è perso per quanto riguarda fede e disciplina, ma si è guadagnato in bontà e riguardo nei confronti del prossimo, inclusi gli altri animali con cui condividiamo questo pianeta. Forse oggi siamo più promiscui sessualmente, o solo più onesti al riguardo, ma non mandiamo più i bambini a lavorare in miniera o su per i camini, non mettiamo più in carcere uomini che amano altri uomini, non bruciamo più le streghe né torturiamo le persone, se non, naturalmente, nei campi di prigionia americani. Potrei proseguire all’infinito. Comunque, bisogna specificare cosa si intende per moralità. Io sono meno interessato alla vita sessuale delle persone, a meno che non danneggi o nuoccia altre persone, di quanto non lo sia alla loro attività politica, alla crudeltà che dimostrano verso gli altri. E un ultima cosa: il movimento più rivoluzionario della storia dei giorni nostri è stato quello della globalizzazione economica, apprezzato da un certa fetta di cattolici conservatori, che ha influenzato profondamente culture e società di tutto il mondo. E’ l’unica partita che si gioca nel mondo ma, indipendentemente dall’opinione che se ne ha, è sempre basata sulla ricchezza, una cosa che Gesù non approvava di certo.

A proposito di etica e legislazione. Come si può definire la relazione tra questi due concetti? Tulle le leggi devono essere morali? Ogni valore morale deve essere legge? In breve, qual è la relazione tra il contesto morale e quello legale?

Occorre distinguere tra crimine e peccato. Il peccato è un concetto religioso, ma se non si appartiene a quella religione, perché subire la punizione che ne consegue? Questa è la distinzione che sta alla base dell’evoluzione dell’atteggiamento nei confronti dell’omosessualità. Per alcuni gruppi religiosi è un peccato, un atto immorale, ma che diritto hanno questi gruppi di imporre le loro usanze, come ad esempio le regole alimentari o di purezza, a chi non ne condivide la fede? Questo è il motivo per cui molti governi non considerano più l’omosessualità un crimine. Naturalmente alcuni ‘peccati’, come lo stupro e l’omicidio, sono anche crimini. Prova ne è il fatto che infliggano un evidente danno agli altri, e la maggior parte delle persone è d’accordo su questo.

Il nuovo papa Benedetto XVI, noto per i suo attacchi al relativismo, ha dichiarato: “Ci stiamo avviando verso una dittatura del relativismo, che non riconosce nulla per certo e il cui scopo più alto è la soddisfazione dell’ego e dei desideri individuali”. In Una morale senza Dio lei ha parlato di “jazz etico”, in cui la vita morale è legata all’improvvisazione. Ha sottolineato l’importanza di trovare un equilibrio tra la diversità degli approcci etici e di rifiutare l’idea che un sistema sia meglio di un altro. Ma come si fa a valutare sistemi etici differenti? Per citare un esempio noto, come giudicare un sistema che impone alle donne di indossare la hijab o il burka? Secondo alcuni pareri progrediti, questo rafforzerebbe il potere delle donne, secondo altri contribuirebbe alla diffusione della misoginia. Come si fa a decidere in merito e, soprattutto, chi decide?

Questa è una delle questioni più difficili, poiché molte società multiculturali non vogliono rispondere a gruppi religiosi i cui standard morali, come ad esempio l’atteggiamento nei confronti delle donne, sono in disaccordo con il codice morale della cultura che li ospita. Il relativismo ha due significati. Quello cui si riferisce il papa in realtà, ossia quello secondo cui tutti i valori morali sono relativi e nessuno è migliore di un altro, è condiviso da pochi, se non da nessuno. Tutto ciò va contro il senso comune. Nessuno, che fosse sano di mente, sosterrebbe un sistema che permette a chiunque ne abbia voglia di stuprare o uccidere. Nessuna società può esistere su questa base. Ma è anche vero che il nostro modo di considerare la morale è legato al nostro contesto. Ciò spiega l’enorme gamma di differenze esistenti nel campo delle abitudini alimentari e sessuali che caratterizza le società di tutto il mondo. Una delle principali caratteristiche dei sistemi religiosi tradizionali è la svalutazione della donna e di conseguenza l’obbligo di rispettare determinate regole di abbigliamento. Onestamente non posso dire di conoscere il modo migliore per affrontare questo problema nelle società moderne, complesse e multirazziali, dove la libertà di credo religioso è considerata un valore umano. La mia impressione è che dovremmo essere tolleranti verso queste tradizioni, nella speranza che cambino radicalmente la loro natura, come ha fatto il cristianesimo, senza ricorre ad una eccessiva pressione esterna.

Cosa ne pensa dei tentativi di introdurre leggi che incitano ai reati legati all’odio religioso? In Italia le leggi sulla diffamazione religiosa, che prima proteggevano solo la chiesa cattolica, riguardano oggi anche altre religioni riconosciute, fatto che ha portato ad un procedimento giudiziario nei confronti di Oriana Fallaci da parte di un musulmano italiano. I sitemi religiosi devono essere tutelati dalle offese nei loro confronti?

Questo mi preoccupa. Definire cos’è l’odio in questo contesto non è facile. Preferisco sbagliare e sostenere un energico dibattito religioso, specialmente a livello intellettuale, piuttosto che cedere alle sue sensibilità. Il problema in Gran Bretagna è che i musulmani hanno dovuto abituarsi ad una cultura laica che si fa vanto di scherzare su tutto e di criticare ogni cosa. Il cristianesimo ha avuto secoli di tempo per abituarcisi ma per il musulmani questo è un fatto relativamente nuovo perché non ha mai fatto parte della loro cultura o della loro società. Ma esiterei a tutelare la loro sensibilità a questo riguardo. Preferirei invece che, come noi, ci facessero il callo.

In una società liberale molte questioni morali vengono risolte chiedendosi se una certa azione possa nuocere altri esseri umani. Se le mie azioni non danneggiano nessuno, allora c’è una buona possibilità che siano ammesse. Di conseguenza, la questione morale pi&ugra
ve; spinosa rimane quella dell’aborto. A seconda di come si considera il feto, l’aborto può essere considerato omicidio o una scelta accettabile dal punto di vista medico. È, in un certo senso, uno scenario nero e con svariate sfumature di grigio, che non consente compromessi da parte di chi considera l’aborto un omicidio. Come possono società moderne come l’Italia, l’Irlanda o anche gli Stati Uniti, così divise sull’argomento, creare un consenso morale?

È molto difficile. È però possibile prendere una posizione di mediazione che disapprovi l’aborto, ma che ritenga che renderlo illegale creerebbe solo un male diverso, ossia aborti clandestini, donne disperate, morte e infelicità. Non conosco nessuno che creda che l’aborto non ponga problemi di ordine morale ma molti pensano che proibirlo causerebbe ancora più problemi. D’altra parte, suggerire che l’embrione sia un essere umano completo, con i diritti e lo status morale di un essere umano, è qualcosa di cui non sono del tutto convinto. Ma esiste un chiaro continuum morale, quindi gli aborti precoci sono più facili da giustificare. Forse i progressi della medicina risolveranno questo dilemma morale, ad esempio grazie alla pillola del giorno dopo, anche se alcune religioni tradizionali (come la Chiesa cattolica) non ne approvano l’uso.

Vivendo in un mondo globalizzato è necessario allargare gli orizzonti del nostro comportamento morale? Se fino ad ora eravamo preoccupati per la nostra condotta sociale e sessuale, e sulla influenza che le nostre azioni hanno su chi ci sta vicino, oggi, grazie ai progressi della tecnologia e dell’informazione, sappiamo che le nostre azioni e i nostri comportamenti hanno un impatto anche su persone che non conosceremo mai. In tale contesto è morale comprare un fuoristrada che consuma enormi quantità di benzina? La maggior parte delle abitazioni europee e americane non sono attente al consumo energetico e sprecano elettricità e calore. Questo si può definire immorale?

Assolutamente sì. Ed è anche un esempio di come cambiano gli atteggiamenti morali. Sono sempre più preoccupato dalla crudeltà degli esseri umani nei confronti del regno animale e dal nostro disprezzo per i delicati equilibri del pianeta.

Se consideriamo il fatto che la maggior parte dell’Europa è laica (cosa di cui si potrebbe discutere), ci troviamo di fronte al problema di regolare le posizioni di potere nei nostri parlamenti e nelle nostre legislature. Cosa ne pensa del boicottaggio della nomina di Rocco Buttiglione a commissario europeo per la giustizia a causa del suo atteggiamento conservatore nei confronti dell’omosessualità e dell’aborto?

Credo che sia stato giusto così, non credo che Buttiglione avrebbe mai dovuto candidarsi. Esiste in Europa un’etica laica che opera nel rispetto delle minoranze religiose e sessuali, un politico le cui convinzioni religiose non concordano con questi valori dovrebbe evitare di candidarsi ad una carica pubblica.

Nella sua recensione del libro di Jonathan Sacks, The Dignity of Difference [N.d.T.: la dignità della differenza], lei ha sostenuto che “chi è disposto a rischiare in campo morale protegge le istituzioni vaccinandole nei confronti del futuro. C’è bisogno di conservatori, come una macchina ha bisogno dei freni. Ma siamo fatti per muoverci, non per sostare”. Crede che istituzioni religiose come la Chiesa cattolica romana o quella anglicana siano aperte a questa vaccinazione? E le tradizioni religiose come l’Islam, dove non esistono capi istituzionali?

Quando ho detto questo, citavo Nietzsche. In realtà il cambiamento morale viene da chi è al di là delle istituzioni, mai da chi ne è a capo. Lo si è potuto constatare nel processo di emancipazione femminile. Il cambiamento non viene mai dall’alto anche se chi è a capo può rispondere alla pressione proveniente dal basso facendo delle concessioni. Credo che la chiesa anglicana sia più aperta alle novità rispetto a quella di Roma perché è un sistema più aperto, ma Roma è abile a fare cambiamenti repentini, quando occorre. Credo che prova ne sia il fatto che anche l’Islam cambia quando le condizioni sono adeguate. I paesi balcanici musulmani erano molto più aperti dell’Arabia Saudita, per esempio.

Lo scontro culturale tra scienza e religione è oggi più forte che mai. Un argomento sostenuto da molti credenti è che il punto di vista scientifico è il rovescio della medaglia di quello religioso, e non ha alcuna pretesa intrinseca di superiorità. Nel dibattito su intelligenza ed evoluzione George W. Bush sostiene che entrambe “le scuole di pensiero” meritano la stessa attenzione. Mentre recensiva il libro di Richard Dawkins, Il cappellano del diavolo, ha definito Dawkins un “crociato morale” ma sembrava suggerire che la scienza è in effetti intrinsecamente superiore alla religione. I valori morali del XXI secolo si devono dunque ispirare alla scienza?

Non credo che i nostri valori morali vengano dalla scienza ma la scienza può aiutare il cambiamento morale. La forza della scienza sta nella sua capacità di rivedere le proprie opinioni. La debolezza della religione sta nella sua incapacità di rivedere le proprie opinioni. Credo che uno scontro tra scienza e religione non sia necessario, se si riconosce che la religione non è una semi scienza ma è più vicina all’arte e alla poesia.

Richard Holloway è stato l’Arcivescovo anglicano di Edimburgo ed è tuttora professore di teologia a Londra e membro della Royal Society. È autore di numerosi volumi su religione e spiritualità inclusi Una morale senza Dio, Guardare lontano, Dubbi e amori, pubblicati in Italia da Ponte alle Grazie.

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Nell'agosto del 1990, il Primo Ministro italiano, Giulio Andreotti, affermò che in Italia durante la Guerra Fredda, è esistito un esercito segreto chiamato Gladio. Le sue rivelazioni destarono clamore, non solo perché ammetteva ciò che era stato a lungo negato (anche dallo stesso Andreotti quando fu sottoposto ad una inchiesta giudiziaria nel 1974 nelle vesti di Ministro italiano della Difesa), ma perchè continuò a sostenere che c'era una rete di eserciti segreti del tipo 'stay behind' [N.d.T.: questo era il vero nome di Gladio] che operava in tutte le nazioni facenti parte della NATO. In breve, questa fu una questione che non coinvolgeva solo l'Italia.

Man mano che i dettagli venivano resi noti, la storia diventava ancor più inverosimile. Sulla scia della Seconda Guerra Mondiale, all'inizio della Guerra Fredda, le agenzie dell'intelligence, guidate essenzialmente da Inghilterra e Stati Uniti, hanno stabilito una rete d'agenti e di eserciti segreti attraverso l'Europa, una rete che sarebbe rimasta segreta ma attiva durante la Guerra Fredda. Una rete militare non regolata, equipaggiata con armi pesanti.

Lo scandalo che ne derivò, e che attraversò l'Europa, fu messo in sordina dallo scoppio della prima Guerra del Golfo (Saddam Hussein invase il Kuwait nell'agosto del 1990) e quindici anni dopo l'affermazione di Andreotti, Gladio e la rete della NATO [di eserciti] stay-behind, restano in larga misura un argomento con un gran numero di domande non risposte. Il lettore occasionale potrebbe chiedersi il perché di tutto questo interesse verso una struttura segreta della Guerra Fredda. In parte perché ci sono troppi dubbi irrisolti. L'esistenza di una rete è un dato di fatto. Ciò è stato confermato, finora, da diversi capi di stato, da tre indagini parlamentari (Italia, Belgio, Svizzera), e non meno importante, da una strana smentita* e successiva conferma dell'esistenza da parte della stessa NATO nel 1990. Ed ancora, lasciando da parte coloro che sono coinvolti nella rete, poche persone sanno in realtà come funzionava tale rete, o come definiva il proprio ruolo. Ci sono prove sufficienti e testimonianze personali per sostenere, al limite, legami fortuiti con i gruppi terroristi di destra, attivi negli anni '70 ed '80, o per di più si potrebbe asserire che questa stessa rete era addirittura responsabile dell'implementazione della cosiddetta 'strategia della tensione': l'uso deliberato di terrorismo per far passare gli elettori di una data nazione, spaventati, verso destra, verso un governo quindi caratterizzato da 'giustizia e ordine'. Le domande non hanno risposta perché, durante le indagini parlamentari, quando si ricerca il soggetto da indagare, prima o poi ci si imbatte in disposizioni di segreti di stato. Sottolineando la natura 'off-limits' del tema, pare che un diplomatico della NATO abbia asserito “Non mi aspetterei una risposta a troppe domande, anche se la Guerra Fredda è finita. Le prove di un presunto legame con il terrorismo, se questo esisteva, sono ben nascoste”.[ Reuters, 15 Novembre 1990].

Tra coloro che cercano risposte in merito, compare il dottor Daniele Ganser, uno storico svizzero e capo del gruppo di ricerca presso il Centro per gli Studi sulla Sicurezza dell'Istituto Federale di Tecnologia (ETH) a Zurigo, autore del libro “NATO's Secret Armies – Operation Gladio and Terrorism in Western Europe” [N.d.T. : Gli eserciti segreti della NATO – Operazione Gladio e terrorismo in Europa Occidentale].

Ciò che Ganser pone subito in rilievo a proposito delle origini della rete, è il bisogno di considerare l'atmosfera dell'immediato dopo-guerra per capire i motivi che ne stanno alla base. “Si deve sottolineare il fatto che alcuni di questi erano uomini davvero rispettabili”. Con ciò si riferisce ad ufficiali dell'intelligence che dal 1945 in poi erano d'accordo su due punti:
a) l'Unione Sovietica era il nuovo nemico;
b) bisognava trarre una lezione dalla Blitzkrieg nazista in Europa [N.d.T.: la teoria nazista della guerra-lampo].
“La preparazione di operazioni clandestine in territorio nemico è estremamente problematica”, continua Ganser. “Si stavano preparando al peggio e quindi decisero di formare degli eserciti segreti.” Le indagini condotte in Belgio negli anni '90 hanno portato alla luce dettagli preziosi sulla struttura delle reti. Nel caso del Belgio e di molti altri paesi della NATO, il primo passo è rappresentato dalla costituzione di una commissione tripartitica tra la nazione ospitante, l'Inghilterra e gli USA. In seguito, fu creato nel 1948 un corpo generale per il coordinamento tra le diverse nazioni dell'Europa Occidentale, conosciuto come Western Union Clandestine Committee [N.d.T.: Commissione clandestina dell'Unione occidentale] . Il WUCC fu annesso alla NATO nel 1951, cambiando la sua nomenclatura in Clandestine Planning Committee. Fu creata anche una seconda commissione, l'Allied Clandestine Committee [N.d.T.: Commissione clandestina degli Alleati]. Dopo l'uscita della Francia dalla NATO, la sede centrale di tali Commissioni fu trasferita a Bruxelles. “In ogni caso queste reti furono create in maniera clandestina,” osserva Ganser, “e in alcuni casi venivano reclutate persone di destra, perché serviva la certezza che fossero ideologicamente impegnate contro il comunismo. Quindi per esempio in Germania, furono assunti alcuni membri della rete nazista”.

Gli eserciti segreti erano parte integrante della Guerra Fredda, ma la presenza di ex-nazisti, fascisti ed estremisti di destra, solleva la domanda problematica: contro chi combattevano questi soldati segreti? Contro un'invasione sovietica, oppure contro la crescita di un comunismo interno, sostenuto democraticamente? Ganser afferma: “Non è un fenomeno ben chiaro. Quando furono scoperti la prima volta, la stampa si domandò se fossa una rete di salvataggio o fonte di terrore” ed è qui che risiede il problema. Una rete di salvataggio è qualcosa di positivo, e qualcosa che tutti vogliono. E' una manovra intelligente, e chiunque ne fosse coinvolto dovrebbe essere elogiato per averla messa in atto. Una fonte di terrorismo è ovviamente qualcosa di molto negativo, che nessuno vorrebbe. Hai lo stesso strumento, rappresentato da pochi uomini addestrati, armi nascoste, esplosivi ed una rete internazionale, da utilizzare come rete di salvataggio, nel caso di un'invasione sovietica, che potrebbe sembrare prudente, o da utilizzare nelle operazioni interne in mancanza di un'invasione. Le nazioni che avevano svolto indagini parlamentari sono arrivate ad un punto in cui hanno scoperto la presenza di legami criminali in vari casi, ma non sono state capaci di andare fino in fondo, a causa della segretezza degli atti ufficiali. Quindi a grandi linee, dobbiamo parlare di Gladio come qualcosa ancora da affrontare in termini legali e di processi criminali. E' qualcosa di troppo grande…”

Ganser è uno dei primi studiosi che affronta il tema da un punto di vista più ampio, europeo. Infatti, sebbene le informazione sulla rete siano state nascoste dai segreti ufficiali, i ricercatori purtroppo, tendevano ad esaminare il fenomeno su base nazionale, piuttosto che cercare di interpretarlo ad un livello più ampio. Ganser, nato in un cantone italiano della Svizzera, afferma: “Ciò che si poteva vedere su una base teoretica a livello internazionale era questo: quando sono stato all'LSE a Londra, c'erano persone che avrebbero considerato gli eventi in Italia come parte di un disordine p
iù vasto, tenuto conto che l'Italia comunque era già di per sé una nazione molto corrotta, con la mafia, la Chiesa cattolica, la Propaganda Due, i Massoni, che altro! Dove qualsiasi crimine potrebbe comunque accadere, Gladio era semplicemente uno scandalo tra i tanti. Andreotti tuttavia, aveva detto chiaramente che si trattava di qualcosa di più vasto. Prendiamo il caso della Germania: vige una concezione completamente diversa. I tedeschi sono un popolo sul quale puoi fare affidamento, se dovessero venderti qualcosa, tipo una Mercedes oppure un trapano Bosch; eppure anche loro avevano un esercito segreto e probabili legami con il terrorismo”.

Molti tra di noi, nonostante la fierezza di essere europei, hanno una ristrettezza di vedute che tende a sottolineare gli eventi drammatici nelle nostre stesse nazioni. L'esplosione avvenuta a Bologna, per esempio, resta un ricordo vivo. È stato un attacco terrorista feroce, che ha ucciso 85 persone. L'indagine sull'attacco fu in larga parte ostacolata e fuorviata dagli agenti dei sevizi segreti italiani – solo uno dei tanti attacchi terroristici in Italia, con legami preoccupanti con l'intelligence militare. Pochi italiani tuttavia ricordano che nello stesso anno, nel 1980, una bomba è esplosa all'Oktoberfest a Monaco, uccidendo 13 persone. L'attacco fu inizialmente collegato a Gundholf Köhler, che morì nell'esplosione, un estremista di destra e membro del Wehrsportgruppe Hoffmann. Però gli esperti hanno sostenuto che la bomba era troppo elaborata per esser stata costruita da un ragazzo di soli 21 anni. Un anno dopo, nel 1981, fu scoperto dalla polizia un deposito pieno d'armi, vicino Uelzen. Secondo la spiegazione ufficiale le armi furono nascoste da terroristi di destra, sotto il comando di un certo Heinz Lembke, ma il volume e il tipo di armi trovate misero in discussione questa comoda spiegazione. Armi automatiche, armi chimiche, 50 armi anticarro, 156 kg d'esplosivi, 230 congegni esplosivi e 258 granate a mano [NATO Secret Armies, pg. 206]. I giornalisti investigativi hanno collegato Lembke all'esercito tedesco stay-behind BND. Le indagini ufficiali negarono qualsiasi connessione tra Lembke ed il massacro di Monaco. Heinz Lembke è stato trovato morto, impiccato, nel 1981, mentre era in custodia della polizia.

Il terrorismo violento di destra non si è verificato sulla prima linea della Guerra Fredda, cosa che Italia e Germania diventarono a tutti gli effetti. Lontano dalla prima linea, in Belgio, avvenne una strana operazione nei pressi di Vielsalm, nella regione delle Ardenne. Una squadra di Marines americani fu paracadutata in Belgio, e accolta da un membro dell'intelligence militare belga. Si nascosero per quindici giorni prima di attaccare la stazione di polizia di Vielsalm, in una cosiddetta esercitazione Oesling, uccidendo un ufficiale belga. Un marine fu ferito durante l'operazione e perse un occhio. Inizialmente l'attacco fu fatto passare per un atto di terrorismo, ma in seguito si dimostrò che era opera dell'esercito americano e belga – come fu poi confermato da indagini del Senato nel 1991. Si verificarono altri attacchi in cui, come successe a Vielsalm, venivano sottratte armi e munizioni, che finivano in seguito in mano ai gruppi estremisti.

Una domanda cruciale nell'indagine del Senato verteva sul coinvolgimento della rete stay-behind nel massacro degli anni '80, meglio conosciuto come il massacro Brabant. Per un periodo di due anni ci fu un gruppo d'attacco che operava in una zona vicino Bruxelles chiamata appunto Brabant. Gioiellerie, ristoranti e in alcuni casi supermarket furono il bersaglio di una banda di uomini spietati e pesantemente armati. In tutti gli attacchi furono rubate piccole somme di denaro, ma nel contempo fu impiegata cruenta brutalità e professionalità [NATO Secret Armies, pg.139]. Per esempio, il 9 Novembre 1985, in un sabato molto affaccendato, tre uomini armati ed incappucciati entrarono in un supermarket e cominciarono a far fuoco. Furono uccise 8 persone, alcune mentre cercavano di scappare. Il denaro preso nell'incursione ammontava ad un paio di migliaia di sterline, e fu trovato gettato in un canale in un sacco chiuso. Una cosa era certa: non avevano attaccato per il bottino. Le indagini del Senato non riuscirono a scoprire legami con la rete Gladio in Belgio, ma notarono che, dopo aver interrogato ufficiali dell'intelligence militare che collaborarono poco, il silenzio mantenuto sull'identità degli agenti della rete non permise ai giudici di effettuare i dovuti controlli per svelare tutta la verità. Una relazione ufficiale sul massacro Brabant, pubblicata nel 1990, prima della scoperta della rete dell'esercito segreto, era giunta alla conclusione che i killer avevano collegamenti ufficiali con la rete. Secondo la relazione, i killer erano membri o ex-membri delle forze dell'ordine – estremisti di destra che godevano di un alto livello di protezione e che stavano preparando un colpo di stato di destra [NATO Secret Armies, pg.145].

Gli attacchi dei terroristi di destra, avvenuti durante gli anni '70 ed '80 in Europa sono un dato di fatto. In molti casi, come il massacro alla stazione di Bologna per esempio, è stato provato che c'era una sorta di legame tra i membri dell'intelligence militare e coloro che avevano compiuto l'attacco. Ciò che non è abbastanza chiaro è l'esistenza o meno di un comando o una struttura di controllo all'interno di Gladio, che autorizzava tali attacchi contro civili. Ci sono diverse teorie, come spiega Ganser: “La teoria numero uno è quella dell'agente disertore, secondo la quale la NATO ed i generali al comando non ne sapevano nulla, ed in seguito hanno dimostrato il loro dispiacere perché alcuni squilibrati avevano perso completamente il controllo della situazione. Potrebbe accadere, ma non penso che le strutture militari funzionino così. Dai miei studi sulle strutture militari, la gerarchia svolge un ruolo dominante in tutte le operazioni militari, e queste erano operazioni militari. Con ciò voglio dire che una strategia della tensione era possibile, ma non posso dimostrarlo; una strategia deliberata, non un errore, ma qualcosa di organizzato e che funzionava sul serio”.

Continuando, spiega: “L'Europa dell'Est aveva il patto di Varsavia, ed ovviamente, se Mosca non voleva che accadesse qualcosa lì, mandavano subito i carri armati. Fine della storia. Era chiaro. Nell'Europa Occidentale, la situazione era più delicata. Eravamo nazioni libere, se vogliamo. Nel contempo avevamo partiti comunisti che erano molto forti in nazioni quali Francia ed Italia; meno forti altrove, ma comunque esistenti. Quindi la NATO temeva di essere indebolita dall'interno. Prendiamo la Francia o l'Italia, oppure la Grecia, o la Turchia, dove un gruppo di parlamentari, ad esempio comunisti, poteva affermare “vogliamo uscire dalla NATO”, oppure dire “se entriamo al governo, dovremmo comunicare con i nostri alleati a Mosca, perché in realtà appoggiamo più loro che Londra e Washington”. Tale situazione, secondo il punto di vista della NATO era davvero pericolosa. Era inaccettabile che il primo Ministro della Grecia, socialista, facesse uscire la sua nazione dalla NATO. Avresti perso una nazione. Non si voleva un leader comunista italiano che diventasse talmente celebre e forte da divenire Ministro della Difesa. Era un incubo per i militari. Gli ufficiali dell'intelligence dell'esercito me ne avevano parlato in questi termini. Quindi, in questo quadro rientra la strategia della tensione per gestire il problema, (che richiede moltissima crudeltà – sottolinea Ganser – perc
hé si uccidono civiliSi mettono bombe in posti pubblici e si uccidono civili. È quanto accaduto in numerose nazioni dell'Europa Occidentale durante la Guerra Fredda, ma non è chiaro chi ci fosse dietro tali atti. Da qui in avanti, possiamo solo fare congetture. Se queste bombe venivano messe come parte della strategia degli eserciti stay-behind, allora erano atti premedidati. Le uccisioni venivano poi attribuite alla sinistra, che ne veniva screditatae perdeva potere. Per di più lo Stato poteva richiedere più potere per i servizi di sicurezza e per il Ministero della Difesa, con tutti i terroristi che si aggiravano [per il Paese]. Così funzionava la strategia della tensione, ed è possibile che sia stata messa in atto. È senza dubbio il tema più delicato della Guerra Fredda in Europa”.

Rappresenta in parte il tema più delicato, perché il sistema esisteva con il tacito consenso dei nostri leader eletti. “È stato provato che i servizi segreti ed i Ministeri della Difesa non hanno agito soli” dichiara Ganser. “Hanno sempre fatto riferimento al più alto rappresentante dell'esecutivo per chiedere la sua approvazione. Qui si ha lo stesso problema. Facciamo finta che lei sia il Primo Ministro, e che io vengo da lei come Ministro della Difesa e le dico che abbiamo questo esercito segreto, in caso di un'invasione sovietica, e deve rimanere un segreto. È qualcosa di positivo? Si tratta di una cospirazione? Nelle vesti di Primo Ministro risponderebbe probabilmente “bene, non mi dia troppi dettagli, potrebbe essere delicato a livello politico”..ecc.. Il problema è che non sappiamo come hanno risposto in realtà i Primi Ministri. Prenda ad esempio la mia ricerca sul P26, l'esercito stay-behind svizzero. Non sappiamo esattamente come si svolsero queste conversazioni. Un capo di stato maggiore, il maggior ufficiale in Svizzera, mi disse che andò al Governo, dai consiglieri federali, come noi li chiamiamo, e gli parlò di questo esercito stay-behind. Lo ascoltarono, e non dissero nulla. Questa è una plausibile difesa di smentita. Non affermi nulla, non firmi alcun documento, ma approvi in silenzio, e la storia continua. Il Ministero della Difesa maschera il finanziamento necessario a sostenere la rete, con uno stanziamento per la costruzione di una nuova pista di atterraggio. Ognuno sarebbe d'accordo silenziosamente. Non c'erano prove esplicite che i più alti funzionari fossero coinvolti. Ma in ogni caso, possiamo ora dimostrare che non si trattava di una pista d'atterraggio, ma si trattava di una struttura di sicurezza in Europa Occidentale. In parte era illegale, perché non era controllata direttamente da un'assemblea legislativa eletta, i parlamentari”.

La ragione per alti livelli di sicurezza, la Guerra Fredda, non esiste più da 15 anni, eppure gli archivi restano ancora chiusi. Inoltre, gli archivi degli ex-Stati comunisti sono stati in gran parte svuotati da qualsiasi materiale che potesse far luce su Gladio e la NATO. “Sarebbe estremamente interessante per gli storici entrare negli archivi per apprendere, per esempio, informazioni riguardo agli eserciti stay-behind ecc.. ma ci danno accesso. Gli archivi di MI6, CIA, BND, SISMI, e quant'altro, non sono accessibili. Sarebbe stato eccellente poter entrare negli archivi del nemico, e vedere cosa avesse scritto su di noi; c'è molto da imparare in questo modo. I servizi segreti occidentali erano più svegli tuttavia, e fecero piazza pulita negli archivi della Stasi a Berlino. Le persone che vi lavoravano mi hanno confermato che fondamentalmente i servizi segreti tedeschi, la CIA, ed i servizi segreti inglesi, furono i primi ad entrare e spazzarono via il tutto. Ciò che resta è storia. Possiamo parlare con le persone coinvolte, persone che in molti casi sono vicine alla morte e desiderano parlare della loro vita, come hanno vissuto tutto ciò, cosa hanno fatto e perché hanno agito così. Vedono la vita in modo diverso”. Con la rassegnazione di chi ha fatto diverse richieste secondo l'atto di libertà d'accesso all'informazione, la maggior parte delle quali destinate al fallimento, Ganser continua, “chi sta al potere, non dirà mai nulla. Ci dicono di non pensarci. Ho chiesto ai funzionari della NATO se sapevano qualcosa in merito al Supreme Allied Headquarters Europe [N.d.T.: il quartier generale degli Alleati in Europa], e ne erano a conoscenza; ho poi parlato della struttura, e hanno affermato di non saperne nulla. Negare tutto: questa è la strategia”.

Le implicazioni della ricerca di Ganser sono terrificanti, ma nel contempo molto attuali. Abbiamo davvero avuto un terrorismo sponsorizzato dallo Stato in Europa, allo scopo di discreditare i movimenti democratici di sinistra? C'era davvero una politica talmente cinica da prevedere l'uccisione di civili innocenti per un presunto bene maggiore? Quando gli chiedo se c'è qualche prova che queste rete paramilitari siano state sciolte, Ganser ride, colpito dall'assurdità: “Abbiamo soltanto la parola di chi creato tutto ciò che poi abbiano distrutto il tutto. È l'unica prova che possediamo. E per studiosi e storici, non si tratta nemmeno di una vera prova”. Potrebbe sembrare disgustoso mettere in dubbio l'integrità ed il buon senso dell'intelligence occidentale, dal momento che siamo impegnati nella 'guerra contro il terrorismo', ma fin quando restano dubbi sulla strategia della tensione, e fin quando agli studiosi seri non è permesso l'accesso agli archivi dell'intelligence, essere scettici sullo scopo reale della guerra sembra un atteggiamento assennato. “La lezione che possiamo trarre, se riportiamo la nostra esperienza dalla Guerra Fredda alla situazione attuale, è che una strategia della tensione è tuttora implementata, ma stavolta contro i Musulmani”, ipotizza Ganser. “Tutti sappiamo che l'occidente dipende in larga parte dal petrolio, e si ha bisogno di un pretesto per sviluppare operazioni in Iran, Irak ecc. Non possiamo semplicemente recarci lì, ed invadere i loro territori, quindi abbiamo bisogno di pensare che stanno cercando di ucciderci. Quindi è possibile che una strategia della tensione sia in atto, nella quale i Musulmani stanno svolgendo il ruolo che i comunisti avevano nella Guerra Fredda. Tuttavia è troppo difficile, tutto sta avvenendo in modo velocissimo, e ci sono pochi dati disponibili”.

I dati sono la chiave di tutto, ed il libro di Ganser ne è pieno. Nazione per nazione, Ganser esamina la lotta interna contro il comunismo, documentata dalle tre indagini parlamentari e da dichiarazioni dei pochi coinvolti in Gladio che hanno deciso di rendere pubblico il loro coinvolgimento. Non si tratta del regno di Roswell, fatto di alieni, di teorie inverosimili, di congiure, tanto amate dalla generazione internettiana. Questa è una storia vera, un movimento storicamente provato, che ha operato in Europa. La strategia della tensione resta una teoria plausibile per spiegare gli attacchi feroci che sono avvenuti in Europa. L'onere ai nostri governi eletti di dimostrare il contrario.

Note
* Nel Novembre 1990, in risposta alla dichiarazione di Andreotti che asseriva l'esistenza di un esercito segreto capeggiato dalla NATO, la NATO ha negato categoricamente. Il giorno seguente la NATO ha spiegato che la negazione era falsa, ma ha comunque rifiutato di rispondere ad ulteriori domande.


ETH – Centre for Security Studies

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Il numero di vittime in Iraq nel terzo anno di Occupazione è fino ad ora il maggiore registrato. https://www.threemonkeysonline.com/it/il-numero-di-vittime-in-iraq-nel-terzo-anno-di-occupazione-fino-ad-ora-il-maggiore-registrato/ https://www.threemonkeysonline.com/it/il-numero-di-vittime-in-iraq-nel-terzo-anno-di-occupazione-fino-ad-ora-il-maggiore-registrato/#respond Wed, 01 Jun 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/il-numero-di-vittime-in-iraq-nel-terzo-anno-di-occupazione-fino-ad-ora-il-maggiore-registrato/ Il numero di vittime fra i civili è aumentantato in maniera costante ed inesorabile durante la presenza militare americana in Iraq che è seguita all'invasioen iniziale. Questa è la triste realtà venuta alla luce grazie al continuo monitoraggio, da parte del progetto Iraq Body Count (IBC), dei resoconti riportati dai mezzi di comunicazione. Le cifre […]

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Il numero di vittime fra i civili è aumentantato in maniera costante ed inesorabile durante la presenza militare americana in Iraq che è seguita all'invasioen iniziale. Questa è la triste realtà venuta alla luce grazie al continuo monitoraggio, da parte del progetto Iraq Body Count (IBC), dei resoconti riportati dai mezzi di comunicazione.

Le cifre pubblicate oggi [9 Marzo 2006], aggiornate con i dati statistici relativi al 2005 provenienti dal principale obitorio di Baghdad, mostrano che il numero totale di civili uccisi è aumentato di anno in anno dal 1° Maggio 2003 (data in cui il Presidente Bush ha annunciato che “le principali operazioni militari sono concluse”):

  • 6'331 dal 1° Maggio 2003 al primo anniversario dell'invasione, 19 Marzo 2004 (324 giorni: Primo Anno);
  • 11'312 dal 20 Marzo 2004 al 19 Marzo 2005 (365 giorni: Secondo Anno);
  • 12'617 dal 20 Marzo 2005 al 1° Marzo 2006 (346 giorni: Terzo Anno).

In termini di morti violente annuali, queste cifre rappresentano quanto segue:

  • 20 al giorno nel Primo Anno
  • 31 al giorno nel Secondo Anno
  • 36 al giorno nel Terzo Anno

Le cifre dell'IBC per il Terzo Anno non includono le morti verificatesi nel mese di Marzo 2006, il grosso delle vittime conseguenti lo scoppio della bomba, il 22 Febbraio 2006, alla moschea sciita di Samarra e i dati dell'obitorio di Baghdad relativi ai mesi di Gennaio e Febbraio di quest'anno. Escludendo i mesi di Gennaio e Febbraio, in quanto i dati ad essi relativi sono chiaramente incompleti, il tasso giornaliero di morti per il resto del Terzo Anno lievita a 40 (ovvero 11’480 morti su 287 giorni = 40 al giorno). In ogni caso, ancor prima della fine del Terzo Anno e considerando solo dati parziali per i suoi mesi finali, il numero di vittime civili uccise è già superiore rispetto a quello relativo a tutto il Secondo Anno (12'617contro 11’312).

Sebbene ciò che è stata descritta come 'violenza settaria' contribuisca senza ombra di dubbio alla crescita proporzionale delle morti, il totale relativo allo scorso anno comprende 370 civili sicuramente vittime di azioni militari guidate dalle forze statunitensi e 2’231 dovute alle attività anti-occupazione contro bersagli appartenenti alla coalizione o al governo iracheno. L'aumento della criminalità nel periodo post-invasione resta un importante motivo di preoccupazione, ma nei resoconti della maggiorparte dei media non è possibile identificare chiaramente chi sono i colpevoli e quali le loro motivazioni. Gli “agenti sconosciuti” autori della maggiorparte degli attentati potrebbero appartenere ad uan qualunque delle categorie di cui sopra, come pure ad altri generi di 'terroristi'. I resoconti indicano anche un aumento, nel corso dell'anno passato, delle esucuzioni extragiudiziali.

Da Londra è intervenuto il co-fondatore dell'Iraq Body Count, John Sloboda, che ha affermato, “Le cifre odierne sono un atto di accusa nei confronti di tre anni di occupazione che continua a peggiorare il livello di vita degli iracheni comuni, non a migliorarlo. I riferimenti alla guerra civile da parte delle autorità statunitensi ed irachene fanno comodo ai fini di mascherare il vero nocciolo di questo conflitto, che si svolge tra una forza occupante incompetente e brutale da un lato e una insurezzione nazionalistica alimentata da dolore, rabbia e umiliazione dall'altro. Questo conflitto è la prova che la violenza genera altra violenza. Ciò che inizialmente innestato questo ciclo di violenza è l'invasione illegale da parte delle truppe sotto il comando statunitense del Marzo/Aprile 2004, che ebbe come risultato la morte di 7’312 civile e il ferimento di 17’298 in soli 42 giorni. L'insurrezione permarrà con tale livello di violenza fino a quando l'esercito americano resterà in Iraq, e gli iracheni comuni hanno davanti a sé ancora morte e distruzione”.

Un altro dei co-fondatori del progetto Iraq Body Count, Hamit Dardagan, ha aggiunto: “Nel Settembre 2003, dopo il nostro primo esame dell'insicurezza a carico dei civili iracheni sulla base dei dati dell'obitorio di Baghdad, notammo che:

'Gli Stati Uniti possono esser bravissimi a dichiarare guerra ma la discesa della capitale irachena in uno stato di anarchia sotto l'occupazione americana mostra la loro incompetenza in termini di mantenimento dell'ordine pubblico e di condizioni di sicurezza per la popolazione civile. Gli USA hanno rovesciato Saddam e scoperto che non avrebbero trovato alcuna arma di distruzione di massa in Iraq. Allora come mai sono ancora là? E se l'esercito americano non è in grado di garantire la sicurezza ai civili iracheni e anzi costituisce un pericolo per loro, allora qual è il suo ruolo in quel paese?'

Queste domande sono ancora attuali, e gli iracheni continuano ad essere uccisi in numero sempre maggiore. Quanti ancora ne devono morire prima che gli artefici della 'soluzione militare' del problema iracheno si rendano conto che l'unico modo che può assicurare una diminuzione della violenza è smettere di infliggerla?”


www.IraqBodyCount.org

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Sotto pelle: alla scoperta dell&apos;estrema destra. Un&apos;intervista a Nick Ryan. https://www.threemonkeysonline.com/it/sotto-pelle-alla-scoperta-dellestrema-destra-unintervista-a-nick-ryan/ https://www.threemonkeysonline.com/it/sotto-pelle-alla-scoperta-dellestrema-destra-unintervista-a-nick-ryan/#respond Fri, 01 Apr 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/sotto-pelle-alla-scoperta-dellestrema-destra-unintervista-a-nick-ryan/ Indubbiamente, per decenni, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si è aggirato per l’Europa lo spettro di un redivivo movimento politico e militare di estrema destra. Questa paura, però, si è sempre concentrata sull’immaginario piuttosto che sulla realtà. Nel suo studio sull’immagine dei neo nazisti nella produzione hollywoodiana tra il 1945 e il 1978, […]

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Indubbiamente, per decenni, dopo la fine della seconda guerra mondiale, si è aggirato per l’Europa lo spettro di un redivivo movimento politico e militare di estrema destra. Questa paura, però, si è sempre concentrata sull’immaginario piuttosto che sulla realtà. Nel suo studio sull’immagine dei neo nazisti nella produzione hollywoodiana tra il 1945 e il 1978, ad esempio, il professor Lawrence Baron sostiene che “i film tendevano a rappresentare il neo nazista come un recalcitrante residuato del nazionalsocialismo tedesco intento a formare una rete clandestina al di fuori degli Stati Uniti allo scopo di fondare il Quarto Reich”. Film quali Dossier Odessa e I ragazzi del Brasile hanno ispirato l’idea che l’estrema destra sia radicata in un gruppo segreto di ufficiali nazisti redivivi la cui speranza è quella di resuscitare il Reich.

La verità sulla rinascita dell’estrema destra però è molto più complessa e riguarda aspetti politici, sociali ed economici, non solo dell’Europa postbellica ma anche degli Stati Uniti. Essa include non solo i gruppi di skinheads tanto amati dai media (vedi le recenti immagini di skinheads neo nazisti che marciavano per le strade di Dresda) ma anche le campagne dei principali partiti politici relative alle severe leggi sull’immigrazione.

Nick Ryan è il più qualificato di tutti nel discutere tendenze e caratteristiche dell’universo dell’estrema destra, in quanto, nel corso degli anni, ha intervistato figure chiave del movimento, quali Nick Griffin, presidente del British National Party (BNP), e il leader conservatore americano nonché ex candidato alle presidenziali Pat Buchanan. Oltre a ciò, Ryan ha incontrato e intervistato membri di organizzazioni di destra, tra cui Combat 18. Homeland è il resoconto del suo viaggio personale all’interno di un gruppo eterogeneo di individui che potrebbero essere considerati esponenti dell’estrema destra.

Secondo Ryan l’immagine comunemente associata all’estrema destra è fuorviante: “In realtà in Europa i gruppi che sperano di ottenere un risultato in politica si distanziano il più possibile dallo stereotipo nazista. Lo scopo è quello di liberarsi degli skinheads, di quegli elementi attratti solo dalla violenza, e di avvicinarsi alle frange estreme dei partiti conservatori. Si può dire che i modelli cui si ispirano sono quelli austriaci, francesi e italiani, che si considerano più “anti-immigrazione” che autoritari o dichiaratamente razzisti”.

Allo stesso tempo però Ryan ci tiene a sottolineare che non ha incontrato solo gruppi politici conservatori estranei alla violenza. “In alcuni paesi europei esistono ancora nazisti fanatici. Negli Stati Uniti, è stato facile prendere in ridere i miei incontri con queste persone ma nell’ex Germania dell’est i livelli di razzismo e l’aspirazione alla passata sicurezza data dalla “legge e dall’ordine” raggiungevano livelli preoccupanti. Qui esistono due partiti politici di estrema destra (NPD e VDU) che si stanno conquistando seggi nelle assemblee regionali, più altri gruppi sciolti chiamati ”cameratismi” che si ispirano agli ideali del nazionalsocialismo.

È facile ignorare gli elementi più violenti che, come emerge dal libro di Ryan, risultano essere isolati e deliranti. Questi fanatici della supremazia bianca potrebbero però costituire un rischio. “C’era un ex frate [David Myatt] – ricorda Ryan – che aveva (quelle che io ritengo essere) delle ridicole convinzioni riguardo alla sottomissione delle altre razze e al ritorno ad uno stile di vita “sangue e terra”. Traduceva i poeti greci e sembrava un po' 'fuori'. Ciononstante capeggiava un piccolo movimento cui apparteneva un certo David Copeland. Nel 1999 Copeland fu responsabile dell’esplosione di tre bombe a Londra, che avevano come obiettivo gay, neri e bengalesi e che uccisero tre persone e ne ferirono un centinaio. È qui che sta il pericolo: che gli elementi più fanatici persuadano e influenzino quelli già instabili, i 'lupi solitari'.”

Un aspetto dell’ideologia dell’estrema destra che può destare stupore è la diffusa opposizione al fenomeno della globalizzazione, comunemente considerata come una prerogativa della sinistra. Per Ryan questo non deve sorprendere anche se la stampa tradizionale sottovaluta il fenomeno. “Ciò non mi stupisce. Tanto per cominciare, storicamente il concetto di 'socialismo nazionale' includeva l’idea di dare una nuova forma allo Stato e al mondo: la 'terza via', così era chiamata, né capitalismo né comunismo. E c’è sempre da considerare la vecchia analogia nazista del 'sangue e patria'.”

“Ci sono moltissimi esempi di gruppi minori che si ispirano a questa ideologia e che si sono infiltrati o si sono uniti a gruppi di coalizione più grandi e più importanti – continua Ryan. – Penso che anche molti esponenti della sinistra lo abbiano fatto con il 'movimento' dell’anti-globalizzazione. Si pensi al partito inglese Respect, i cui sostenitori provengono dal movimento contro la guerra in Iraq (Sinistra e Musulmani). Credo ancora che la maggior parte dei no Global sia di sinistra ma se si considerano quei movimenti che si dichiarano contrari alla guerra non si può fare a meno di notare la presenza di militanti islamici. Per questo motivo dobbiamo considerare quei movimenti come composti da estremisti islamici? No. Ma chi forma queste grosse coalizioni deve essere ben consapevole di ciò che potrebbe accadere se i loro scopi venissero manipolati.”

Il libro di Ryan descrive in dettaglio le unioni e gli scambi approssimativi che spesso si verificano negli ambienti della destra. Che si tratti di Nick Griffin, attualmente membro del BNP ed ex militante del National Front, che incontra il colonnello Gheddafi negli anni in cui il leader libico riforniva di munizioni l’IRA, o della cooperazione tra razzisti bianchi e gruppi islamici anti-semiti, quello della destra sembra essere un universo mutevole e in continua trasformazione: “I miei viaggi mi hanno fatto comprendere non solo le divisioni, le ripicche e, a volte, le vere e proprie pugnalate alle spalle (come nel caso dell’assassinio di un membro di Combat 18 durante il mio primo viaggio in Gran Bretagna) ma anche quanto questi gruppi siano in comunicazione tra loro; non solo quelli violenti ma anche quelli politici, o quelli che negano l’Olocausto per finire con i gruppi di neo confederati americani. Negli Stati Uniti ho vissuto con il principale raccoglitore di fondi del BNP, il quale mi ha presentato a membri delle campagne politiche, a lobbisti, a fautori della negazione dell’Olocausto, a gruppi di Klu Klux Klan e a un fanatico fondamentalista cristiano legato a gang di carcerati appartenenti al White Power. Allo scopo di promuovere le loro idee questi personaggi utilizzano Internet (siti web, e mails, gruppi di discussione), libri, conferenze, incontri tra leader. Si parla anche di una coalizione intenzionata a votare partiti di estrema destra anti-immigrati al parlamento europeo”.

Ma se usassimo l’immigrazione come criterio, dovremmo pensare che, politicamente, la maggior parte dell’Europa sia orientata verso destra. Dall’Irlanda all’Italia molti governi europei hanno introdotto misure severe per combattere l’immigrazione illegale. È come se i politici avessero derubato l'estrema destra della sua idea più preziosa. “È certo che i partiti principali tentano di cooptare le politiche dell’estrema destra e dei movimenti anti-immigrazione. Politicamente ciò è comprensibile – afferma Ryan. – Non so in che posizione si collochino gli estremisti, credo che le tensioni continueranno a crescere. Ricordiamoci anche che questi partiti si rivolgono in particolar modo alla classe operaia, ai piccol
i imprenditori, a chi sente escluso, scartato, dimenticato: tutti problemi che hanno a che fare tanto con la globalizzazione quanto con la religione e la razza. I nuovo vicini sono solo un segnale esplicito per la maggior parte delle persone, ma le vere forze coinvolte sono molto più potenti, meno visibili e meno facilmente spiegabili.”

Anche se, purtroppo, l’anti-immigrazione non è una caratteristica esclusiva dei gruppi più estremisti, vi è un elemento ideologico che sembra accomunare tutti i personaggi intervistati da Ryan: l’antisemitismo. “È il collante ideologico che unisce molte leadership di questi movimenti”, afferma Ryan. “Ciò fa sì che Nick Griffin del British National Party vada in Germania ad incontrare David Duke, leader del Ku Klux Klan e ora attivo in politica negli Stati Uniti, il quale a sua volta incontra Horst Mahler, un membro fondatore della Red Army Faction e oggi noto avvocato e leader neo nazista”.

Il linguaggio utilizzato spesso può essere ingannevole, spiega Ryan. “I termini utilizzati fanno velato accenno ai potenti della terra (il che equivale ad incolpare le grandi imprese globali piuttosto che dire che dietro a tutto vi è qualcun altro), al potere della finanza, a quello della costa orientale degli Stati Uniti eccetera”. Un altro paradosso osservato da Ryan durante le sue ricerche è l’antisemitismo, apparentemente di comodo, che unisce gli estremisti del White Power con quelli del mondo musulmano: “Ho visto estremisti di destra auspicare, per esempio, una più stretta collaborazione con i palestinesi in nome dell’odio comune per Israele (gli ebrei). Io stesso sono stato invitato a Beirut per assistere ad una conferenza tenuta da fautori della negazione dell’Olocausto, alcuni di essi ricercati dalla polizia nei loro stessi paesi d’origine. Alla conferenza erano presenti anche rinomati studiosi islamici. È la sindrome del “il nemico del mio nemico è mio amico”, che non viene però sbandierata durante le elezioni né è evidente nei gradini più bassi di queste organizzazioni: l’antisemitismo è considerato il collante ideologico caratteristico delle elites. La maggioranza dei semplici militanti odia i musulmani, i turchi, gli asiatici, i pakistani molto più degli ebrei, meno facilmente individuabili”.

Nel libro di Ryan le voci femminili sono rare, dal momento che l’ambiente della destra è prevalentemente maschile: “Non ha senso neanche citare cosa pensa la maggiorparte [degli estremisti] del movimento femminista!”, afferma Ryan ridendo. “Le donne sono poche e decisamente in secondo piano. Direi che, anche se in misura minore, questo vale anche per la sinistra, oltre che per altri gruppi di attivisti. Per i giovani maschi sfogare la propria rabbia e la propria ribellione unendosi ad un gruppo, a una gang, può avere una ragione. Dà un senso di potere e di appartenenza. Lo stesso accade, anche se in modo più diluito, in gruppi più orientati politicamente, nonostante i partiti di estrema destra e anti-immigrazione facciano di tutto per attirare l’elettorato femminile (spesso incoraggiando le donne a restare a casa e a fare più figli). Tuttavia uno studio condotto in Inghilterra sugli elettori del BNP ha rivelato che essi sono quasi interamente uomini, dai 18 ai 35 anni, molti dei quali sono al loro primo voto o non hanno mai votato prima (in Inghilterra votare non è obbligatorio e l’affluenza alle urne sta diminuendo)”. Più che essere un’umiliazione, una dimostrazione del loro disadattamento sociale, l’assenza di donne in questi gruppi è una possibile spiegazione del loro attaccamento all’ideologia razzista. “Un tema molto comune riguarda i tempi andati e come, allora, la vita fosse migliore; una rievocazione della mitica (e inesistente) età dell’oro dei loro nonni”.

Il libro di Ryan è il ritratto complesso di individui che ricercano un’identità collettiva che, fortunatamente, è rimasta fino ad ora irraggiungibile. Alcuni aspetti di tale identità toccano argomenti da molti accettati (ad esempio le politiche anti-immigrazione) mentre altri sono invece respinti dalla società in generale (la negazione dell’Olocausto, la purezza razziale eccetera). È un libro affascinante e coraggioso che non vuole né esagerare né minimizzare i vari movimenti all’interno dell’estrema destra. “Lo si può considerare un avvertimento, il canarino nella miniera, qualcosa che ci metta in guardia prima che sorgano problemi più grossi. Tutti, e sottolineo tutti, sono capaci di azioni cattive e in tempi di paura, troppe persone si lasciano andare al pregiudizio e al sospetto.”

Homeland di Nick Ryan è pubblicato in Gran Bretagna per Mainstream Publishing.
In Nordamerica per Routledge con il titolo di Into A World Of Hate: A Journey Among The Extreme Right.

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La conta dei morti. Il progetto Iraq Body Count. https://www.threemonkeysonline.com/it/la-conta-dei-morti-il-progetto-iraq-body-count/ https://www.threemonkeysonline.com/it/la-conta-dei-morti-il-progetto-iraq-body-count/#respond Tue, 01 Mar 2005 09:00:39 +0000 https://www.threemonkeysonline.com/it/bwp/la-conta-dei-morti-il-progetto-iraq-body-count/ “La vera questione non è se siano giusti i dati di The Lancet o se abbiamo ragione noi. La vera questione è come mai questa cosa non la stanno facendo i governi britannici e americani?” si interroga John Sloboda, uno dei fondatori di Iraq Body Count (IBC). “Come mai la lasciano fare a piccoli progetti […]

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“La vera questione non è se siano giusti i dati di The Lancet o se abbiamo ragione noi. La vera questione è come mai questa cosa non la stanno facendo i governi britannici e americani?” si interroga John Sloboda, uno dei fondatori di Iraq Body Count (IBC). “Come mai la lasciano fare a piccoli progetti sottofinanziati, a volontari e studiosi? Non è un lavoro per i volontari [ride rassegnato], è lavoro per i governi, e crediamo che ci debba essere un qualche cambiamento nella legge internazionale, per far sì che le parti in conflitto siano tenute a comunicare le vittime fra i civili di un paese in guerra ad un ente internazionale come il Consiglio di sicurezza dell'ONU. Molte persone addirittura si sorprendono e indignano nello scoprire che, secondo le leggi internazionali, le parti belligeranti non sono tenute a fare una stima delle vittime che il loro conflitto ha provocato. Tutto quel che esiste è una dichiarazione molto vaga secondo la quale devono fare tutto il possibile per proteggere i civili e naturalmente, come un mantra, i governi statunitensi e britannici ripetono continuamente che stanno facendo tutto quel che è in loro potere, ma in effetti la prova se hanno fatto tutto quel che è in loro potere sta nelle cifre dei morti, e su questo si rifiutano di discutere.”

In un dossier dettagliato, che analizza le informazioni raccolte dall'organizzazione in due anni di lavoro, emerge una quantità notevole di dati e cifre con le quali i governi statunitense e britannico, assieme ai loro alleati, come ad esempio l'Italia, hanno il dovere morale di fare i conti.

Per esempio:

      Dei 42.500 feriti riportati dall'IBC fra i civili, almeno 21.000, ovvero almeno il 50%, sono dovuti alle forze armate della coalizione.

“Abbiamo ritenuto che un periodo di due anni fosse sufficiente per un campione in cui potessero emergere i trend mensili, i raffronti annuali, per poter pubblicare un resoconto comprensivo su tutto quel che sappiamo ad oggi,” dice Sloboda a proposito della pubblicazione del rapporto. Sono i dettagli ed i raffronti che sconcertano alla lettura, perché Sloboda è il primo ad ammettere che i dati non sono definitivi: “Non abbiamo mai preteso che i nostri dati diano il quadro completo. Crediamo però che costituiscano uno schema rappresentativo, e la cosa importante è che queste cifre sono per certo sicure, casi di decessi che noi abbiamo accertato, di cui siamo certi. Abbiamo un elevato grado di informazione sul luogo di un incidente, il giorno e spesso l'identità delle vittime, le armi usate, e chi ha premuto il grilletto, ed è sulla base delle informazioni analizzate statisticamente per quasi 25.000 casi di decessi che siamo in grado di produrre questi dati quasi esclusivi su intervalli, trend, proporzione di uomini, donne, e bambini uccisi, di vittime di armi diverse, che si rivelano corrette che sia completo o meno l'episodio. Tutti questi che insistono a blaterare che il nostro conteggio non è completo non vanno al punto della questione. Anche noi, certamente, vogliamo un conteggio completo, ma l'unico modo di averlo è di fare un censimento porta a porta per ogni casa in Iraq.”

Metodologia

E' importante ragionare sulla metodologia dell'Iraq Body Count, che non è esente da critiche. Nei loro dati, aggiornati regolarmente, e che appaiono su un numero stimato attorno ai 70.000 di siti web (compreso Three Monkeys Online), le cifre sul numero di civili uccisi nel conflitto comprendono le vittime di terroristi e di criminali comuni. Mentre organizzazioni come FOX News hanno insinuato alcune velate imparzialità nel progetto, all'IBC sono chiarissimi sui loro criteri di inclusione, i quali tengono conto anche delle vittime di forze non statunitensi, in un conteggio che vuole offrire uno spaccato delle conseguenze umane dell'invasione guidata dagli Stati Uniti. “Il fatto è questo, che non avremmo avuto nessuno di questi decessi se non ci fosse stata l'invasione, perciò per un verso tutte queste morti diventano una responsabilità di quelli che hanno deciso l'invasione. Naturalmente anche altri ne hanno, ma il punto è che gli Stati Uniti e il Regno Unito non possono sfuggire all'onere di un aumento della criminalità come risultato dell'invasione e del successivo disgregarsi dell'ordine e della legge. Non possono rifiutare la responsabilità per le morti causate da ribelli che non sarebbero apparsi se non fosse avvenuta l'invasione.”

Non sarà, però, che conteggiare i civili vittime di attacchi suicidi, insieme a quelli uccisi direttamente dalle forze della coalizione, porta a confondere la questione? “Niente affatto, – replica Sloboda deciso, – anzi la rafforza, perché offre una visione completa. Non penso che ad una madre in lutto importi molto sapere se il proiettile che ha ucciso il figlio proviene dall'arma di un ribelle o da quella di un soldato americano. E' importante avere un quadro completo dei decessi”.

Il metodo usato dall'IBC, spiegato in dettaglio sul loro sito [N.d.T.: e disponibile anche in italiano], si basa su quello impiegato dal professor Marc Herold, e sui dati sul conflitto forniti dai media. Il gruppo di lavoro dell'IBC vaglia quotidianamente le notizie riportate dagli organi d'informazione sulle vittime del conflitto e seleziona quei dati che rispondono ai seguenti criteri: a) provengono da una fonte accettabile, a giudizio dell'IBC (sono state utilizzate sia al Jazeera sia FOX News, e secondo Sloboda “la gran parte delle nostre fonti alla fine si sono rivelate quelle americane, quindi le accuse di atteggiamenti anti-americani non reggono”), e b) le loro fonti sono ampiamente citate e referenziate da altre fonti. “In altre parole ci affidiamo alle interconnessioni fra la stampa ed i media mondiali e alla loro professionalità, per estrapolare le storie. Un altro criterio è che non pubblichiamo un incidente che non sia stato riferito da due fonti indipendenti e che riportino lo stesso numero di morti. Ciò ci permette di escludere alcune quelle denunce non accurate o false che a volte appaiono su alcuni dei siti web più estremi ma che non vengono recepite da altri media autorevoli.”

Detto ciò, è importante enfatizzare che i dati riportati dall'IBC, per quanto verificati, non rappresentano il numero totale, ad oggi, delle vittime civili del conflitto in Iraq, numero che, bisogna dedurre, deve essere più alto, date le difficoltà riscontrate dai media, per la continua violenza in Iraq, nel riportare efficacemente tutti i casi. Una delle domande che viene posta più spesso a Sloboda riguarda il rapporto fra l'operato dell'IBC e lo studio prodotto dalla rivista medica The Lancet [N.d.T.: in uno studio pubblicato il 29 ottobre 2004, il numero dei civili morti veniva stimato nell'ordine di 100.000]. “La metodologia da loro usata è molto diversa dalla nostra. Loro hanno intervistato quasi mille famiglie, prese a caso in tutto l'Iraq, chiedendo quante persone del nucleo familiare fossero venute a mancare. Poi hanno moltiplicato per un fattore numerico e hanno trovato una stima per l'intero paese. Come nei sondaggi d'opinione, c'è sempre un margine d'errore in que
ste operazioni, e più piccolo è il campione, maggiore il margine d'errore. Il margine d'errore nel loro rapporto, e non lo hanno nascosto in nessun modo, era di 8.000 in difetto e 200.000 in eccesso. Una cifra di mezzo è 100.000, da qui il numero.” Dello stesso tipo è un altro studio, simile ma più esteso, condotto dall'United Nations Development Council. “Non si possono paragonare questi studi al nostro. Prima di tutto, i periodi sono diversi. Questi sono stati condotti la scorsa estate e coprono un intervallo di tempo inferiore al nostro. Inoltre non c'è distinzione nei loro studi tra vittime civili e combattenti, mentre noi abbiamo prestato moltissima attenzione ad escludere chiunque fosse stato identificato per certo come combattente.”

E in che modo l'IBC definisce i combattenti? “Dal punto di vista morale, più che legale. Chiunque dia inizio ad atti di violenza mortale ed uccida, o cerchi di uccidere qualcuno senza essere stato provocato o per autodifesa, quello per noi è un combattente. Che abbia o meno uno status militare ufficiale. Quindi, ad esempio, tutti gli autori di attacchi suicidi noi li consideriamo combattenti. In più, quando ci sono delle vittime di un kamikaze noi prima della pubblicazione sottraiamo sempre quest'ultimo dal totale delle vittime, o più d'uno a seconda del numero di kamikaze coinvolti.”

Bombe intelligenti e guerra high-tech

La prima guerra del Golfo del '91 ci ha fatto conoscere il concetto di guerra high-tech, ad alta tecnologia, in cui i reporter potevano guardare fuori della finestra e vedere i missili cruise svoltare gli angoli per colpi ad alta precisione. Un decennio più tardi, in questa nuova era bellica, con le parole strombazzanti di un commentatore dopo l'invasione dell'Afghanistan e dell'Iraq, “usando bombe JDAM [N.d.T.: Joint Direct Attack Munition, missili-bomba teleguidati dai satelliti] e altre armi guidate, i pianificatori hanno potuto disegnare traiettorie aeree per colpire obiettivi urbani che altrimenti sarebbero stati off limits, per il timore di danni collaterali. La capacità di abbattere il regime iracheno edificio per edificio ha avuto un pesante effetto sul nemico”.

Un'opinione presumibilmente condivisa dal presidente Bush, che lo scorso maggio, rivolgendosi ai cadetti dell'Accademia navale di Annapolis, in Maryland, disse: “In questa nuova era bellica siamo in grado di colpire un regime, non una nazione, e ciò significa che i terroristi e i tiranni non possono più sentirsi al sicuro nascondendosi dietro gli innocenti. Nel ventunesimo secolo possiamo colpire i responsabili e proteggere gli innocenti, cosa che serve a mantenere la pace”.

Vale la pena riportare per esteso le note del dossier relative ai dati sui bambini uccisi e le armi utilizzate:

“Se si dà per scontato che siano gli adulti, e non i bambini, gli obiettivi da colpire in una guerra, il rapporto fra bambini e adulti uccisi da diversi tipi di armi può servire a vedere quanto queste siano indiscriminate. Le armi di 'precisione' e ad alta potenza, ad alta tecnologia, causano fra le vittime una proporzione bambini/adulti maggiore rispetto a strumenti relativamente primitivi quali le armi portatili e le bombe sulla strada, azionate manualmente. Quali che siano i benefici per i soldati ed i vantaggi da un punto di vista militare, le armi 'a distanza' che mettono, appunto, una distanza tra i soldati ed i loro obiettivi dichiarati, sembrano avere una maggiore probabilità di causare danni accidentali ai passanti. La mortalità infantile è la più bassa per quanto riguarda le armi a mano, il che indica che civili chiaramente riconoscibili hanno più probabilità di venire risparmiati quando i combattenti sono in grado di controllare e dirigere il fuoco in prima persona.”

I bambini rappresentano il 42,3% delle vittime di attacchi aerei; il 6,5% di vittime di piccole armi.

Tendenze

Dal dossier emerge chiaramente un elemento a favore delle forze della coalizione: il numero dei civili uccisi direttamente dalle truppe della coalizione è sceso drasticamente. “Non c'è dubbio,” concorda Sloboda. “Il numero dei civili direttamente uccisi dalle forze americane dall'inizio del 2005 è molto basso, e di solito si tratta di incidenti ai checkpoint ecc. [N.d.E.: come nel caso dell'agente dei servizi segreti italiani Nicola Calipari]. La gran parte delle morti violente oggi sono dovute a crimini, a forze contrarie alla coalizione e a forze ignote.”

Dà di cui pensare anche il calo degli omicidi avvenuti al di fuori della diretta influenza delle forze della coalizione. Se spesso la linea di discrimine è incerta, come fa notare il LA Times (“ In alcuni casi, secondo le autorità, i moventi sono così oscuri che non riescono a capire se stanno investigando un crimine travestito da atto di guerra o un assassinio politico mascherato da violento litigio d'affari”), secondo l'IBC le forze di ribelli anti-US sono responsabili fra il 9 e il 15% di tutti gli omicidi di civili, mentre gli omicidi legati al crimine sono responsabili fino al 36% delle vittime fra i civili.

Sloboda è un professore di psicologia, con un interesse particolare per la psicologia della musica. E' anche un indefesso attivista: “Sono un membro a vita di quel che si potrebbe chiamare 'il movimento per la pace'. Ho sempre pensato che le risposte di tipo militare a situazioni di crisi siano ammissioni di fallimento da parte dell'umanità, che ci sia sempre una strada migliore”. Questo suo passato, associato ai forti editoriali sul sito dell'IBC di critica alla decisione di entrare in guerra, gli hanno guadagnato le accuse di dati distorti pregiudizievoli.

Il che chiude il cerchio. Se i dati raccolti dall'Iraq Body Count creano problemi, di chi è la colpa? I governi americano e britannico hanno la responsabilità morale, se non legale, di raccogliere e presentare queste informazioni agli elettori. O forse i civili iracheni non contano?


Il progetto IRAQ BODY COUNT

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