Caffè Babilonia, di Marsha Mehran

“Mmm, uno stufato irlandese allo zafferano?”, mi sono cinicamente domandata la prima volta che ne ho sentito parlare. “L'iraniana Marsha Mehran appare carina e ben curata, il marito irlandese pare super-entusiasta, e questo mio naso affaticato sente puzza di operazione di marketing.”
Nonostante ciò, ho lasciato che la curiosità prevalesse sul pregiudizio e ho richiesto una copia da recensire. Dopo qualche giorno ricevo questo romanzo infarcito di ricette e mi ci butto a pesce, riuscendo ad interrompere la lettura solo per frequenti capatine al mio take away persiano – coincidentalmente pure chiamato Caffè Babilonia – per rifocillarmi di saporiti dolmeh e falafel. Caffé Babilonia [edito in Italia da Neri Pozza] è il titolo della versione italiana di Pomegranate Soup, nonché il nome del piccolo ristorante su cui è imperniato il romanzo.

La trama è il racconto dolce-amaro di come tre sorelle iraniane arrivano in un minuscolo villaggio dell'Irlanda occidentale (pensate ad un posto tipo la Craggy Island di Father Ted), aprono un ristorantino mediorientale e cambiano per sempre la propria vita e quella degli abitanti del luogo.

Ogni capitolo – ce ne sono 12 più un prologo ed un epilogo – è accompagnato da una ricetta (ad eccezione del prologo), corredata di ingredienti, e le ricette sono anche riportate in appendice al libro, con suggerimenti su come sostituire gli ingredienti originali casomai non fosse possibile trovarli nel proprio supermercato locale. Ed ecco la prima licenza poetica della signora Mehran: quanto è plausibile che Marjan, la sorella maggiore e cuoca autodidatta del Caffè, riesca a trovare una tale varietà di spezie ed ingredienti nell'Irlanda del 1986? Anche prendendo in considerazione l'influenza esercitata [sull'Irlanda] dalle ex-colonie britanniche, dubito vivamente che potesse racimolare santoreggia o “olio extra-vergine di oliva di qualità” o comprare cinque chili di feta alla volta (pur fosse nella 'cosmopolita' Dublino)! Ma dopotutto questa è una favola, e non bisognerebbe concentrarsi sui dettagli pratici!

Non ci sono colpi di scena nel romanzo: tutto si svolge in maniera perfetta e prevedibile fino all'immancabile happy ending finale. Nel corso degli eventi, che si svolgono a Ballinacroagh, paesino di fantasia ai piedi di Croagh Patrick nella Contea di Mayo, veniamo a sapere del cupo passato delle tre sorelle e di come sono fuggite dall'Iran all'alba della rivoluzione che nel 1979 portò al potere l’Ayatollah Khomeini. Le ragazze ne portano ancora i segni , ma sono determinate a mostrare al popolo irlandese tutta la determinazione e la forza di cui sono capaci quando riescono ad metter su il Caffè in neanche 5 giorni. Poco dopo avranno conquistato, in senso lato, la maggiorparte della popolazione, con la ovvia eccezione del cattivo, il multiproprietario di pub Tom McGuire, e di qualche perfida malalingua.

Come è il caso con altri romanzi classici a base di cibo – mi vengono in mente Chocolat e Come l'acqua per il cioccolato, con tutto il rispetto per Laura Esquivel, che per me resta l'unica creatrice di un capolavoro qui – Marjan & Co. sono in grado di influenzare gli abitanti della cittadina con i loro fragranti ingredienti segreti, e procedono con la loro pacifica conquista a botta di portate profumate e insolite. Per qualsiasi non irlandese che abbia abitato sull'isola di smeraldo per un po' (con l'eccezione forse dei loro vicini britannici), può sembrare virtualmente impossibile che la parrucchiera, il prete e le vecchiette frequentatrici della messa abbandonino i loro panini a base di patatine fritte e banana e/o l'arrosto di manzo accompagnato da tre diverse preparazioni a base di tubero (patate arrosto, purè e gratinate, tutte servite allo stesso tempo insieme alla pietanza principale) per melanzane piccanti sott'aceto, fesenjoon e orecchie di elefante fritte (anche se qualunque cibo fritto ha sempre goduto di un certo successo in questa parte del mondo, come dimostrano le vertiginose vendite di hamburger o salsicce impanati e fritti il venerdì sera!). Marsha Mehran però riesce dove altri avevano rinunciato e nel giro di pochi giorni ci serve una Ballinacroagh 'avvelenata' – nel senso di 'catturata' – da queste ricette speziate. Ma dopotutto questa è una favola, e non bisognerebbe concentrarsi sui dettagli pratici!

I personaggi sono molti e tutti hanno una connotazione particolare: se sono gentili e ben disposti, sono anche carini e graziosi, o quantomeno di bell'aspetto. La piccola Layla per esempio non ha solo un bel corpicino e un visetto grazioso, ma emana persino un naturale e provocante olezzo di acqua di rose e cannella! D'altra parte, se si tratta di personaggi negativi, devono per forza essere brutti, animaleschi e quasi deformi. La bruttezza e la cattiveria vengono però punite dagli eventi e il Fato si prende la sua vendetta su tutti i prepotenti, in maniera quasi dantesca (che fa rima con grottesca). Ma dopotutto questa è una favola, e non bisognerebbe concentrarsi sui dettagli pratici!

Due personaggi sono (leggermente) più complessi: Bahar (la sorella di mezzo) e la signora Delmonico, la vedova cui appartiene il locale dove si trova il Caffè. Bahar non è tanto graziosa, e infatti è la responsabile, in parte, della maledizione che perseguita le sorelle, anche anni dopo la loro fuga da Teheran. E' nervosa e scontrosa per la maggiroparte del romanzo, ma alla fine verrà a patti con i suoi demoni, per diventare la portatrice di un “viso bellissimo” nell'ultima pagina del romanzo. La signora Delmonico (una donna napoletana sui sessanta, bizzarramente chiamata Estelle) è piccola, grassotella, premurosa e svanita, secondo lo stereotipo della vedova italiana, evidentemente. Ha anche il dono di produrre una sudorazione inodore e dolciastra, che le valse l'affetto di Luigi (ecco un nome come si deve per un immigrato italiano!), aspirante pasticcere, il quale la sposò alla fien della guerra, la portò a fare un inverosimile e molto esotico viaggio di nozze in Marocco, proprio prima dilasciare Napoli per stabilirsi nell'Irlanda occidentale e finire i suoi giorni a preparare pastarelle in una comunità rurale, battuta dai venti e di mentalità ristretta. Se non siete già a bocca aperta davanti a questa improbabile coppia, svelerei anche che la vedova, quando è giù di morale, prepara un piatto consolatorio che Marsha sfortunatamente scrive incorrettamente e dichiara originario da Napoli, come Estelle, mentre invece è tipico del milanese [N.d.T.: l'ossobuco]. Ma dopotutto questa è una favola, e non bisognerebbe concentrarsi sui dettagli pratici!

Tutto considerato, a me è piaciuto molto questo libro curioso, con le sue belle metafore tra il cibo e la vita, e, se può dare una mano all'integrazione tra culture e mostrare al mondo che la globalizzazione non è solamente sfruttamento e catene di magazzini, ben venga lo stufato irlandese allo zafferano! Caffè Babilonia è un piacevole antipasto. Se però vi va qualcosa di più sostanzioso come piatto principale, gli chef letterari di Three Monkeys vi raccomandano La dispensa del diavolo, di Jim Crace.

Caffè Babilonia, di Marsha Mehran – Ed. Neri Pozza – pp. 356 – Euro 15,50