Un Set di immagini in movimento – Making The Bridge of San Luis Rey intervista con la regista Mary McGuckian.

Era molto più a suo agio quando abbiamo dato del suo mito e della storia della sua vita una versione cinematografica e di fiction rispetto a quando volevamo renderli per ciò che erano stati realmente. È una cosa di cui ci rendevamo perfettamente conto e, per quanto possibile, la evitavamo.”

Film e politica

Benché durante la nostra conversazione Mary McGuckian risulti molto modesta, la sua produzione è notevole e ne fa una delle maggiori registe protagoniste del cinema irlandese. [Le chiedo] che cosa ne pensa della nuova ondata di registi e film irlandesi. “All’inizio della mia carriera vi furono un paio di anni molto fruttuosi, tutti volevano fare film, il che era fantastico. Poi ci fu un periodo di stallo, per così dire. Quando tornammo a Galway al festival del cinema, c’erano alcuni corti molto buoni e un sacco di giovani registi emergenti, un’ottima cosa. Credo che tutti i paesi attraversino cicli del genere. È una questione di mode, no? Si seguono determinati trend. È bello vedere sempre più gente che fa cinema. Immagino e spero che lo sviluppo della tecnologia aiuterà i paesi più piccoli a produrre film che parlino della loro realtà. Quando arriveremo al punto in cui fare film digitali sarà più economico che fare film in negativo, il che non è ancora successo”.

Si nota però una grossa differenza nei registi irlandesi della nuova generazione. Qual è, secondo lei, la differenza tra i registi suoi coetanei e i registi più giovani? “La voce è cambiata. Probabilmente perché è un’altra generazione. Forse noi eravamo più impegnati politicamente. Il cinema di oggi sembra meno politicizzato, meno attento al sociale. Le giovani generazioni sono cresciute durante il processo di pace mentre io sono nata e cresciuta nell’Irlanda del Nord negli anni ’70. Quello è stato un periodo molto particolare. Anche John [Lynch] è nato e cresciuto in quell’epoca e in quel luogo, e questo ha influenzato il nostro modo di pensare. Uno che cresce a Dublino e trascorre i suoi anni formativi nella Dublino degli anni ’80 e ’90, avrà un’impostazione politica molto diversa. Oggi ci troviamo ad affrontare problemi diversi. Non sono sicura che questi problemi varchino i confini nazionali. Una cosa che noi in Irlanda non abbiamo mai capito e non l’abbiamo resa parte della nostra cultura cinematografica è il concetto che il cinema è un’industria internazionale. Il budget e le cifre coinvolte sono tali che non è possibile avere un’industria del cinema autoctona completamente neutrale ed isolata, è il complesso della neutralità, come lo chiamo io [ride]. Neanche gli americani possono permetterselo, hanno pur sempre bisogno di incassare all’estero. L’unico paese che forse ce la fa, anche se a un livello decisamente minore, è la Francia (e il cinema francese).”

Se è vero che, soprattutto negli Stati Uniti, c’è un crescente interesse per i film impegnati politicamente, è anche vero che questo interesse riguarda soprattutto, o forse esclusivamente, il genere documentaristico. È delusa dal fatto che non si producano più film a sfondo politico? “Non sottoscrivo il punto di vista secondo cui fare film drammatici è un buon mezzo per affrontare temi politici, ma un buon film drammatico è inevitabilmente politico. Se si vuole che le storie abbiano una certa profondità devono toccare tutti gli aspetti. Per me The Bridge of San Luis Rey che si svolge nel Peru del 18° secolo, ma che è stato scritto nel 1927 come opera di fiction, è una voce politica poiché ha come tema la natura della tragedia. Ma è anche una voce individuale, spirituale ed emotiva sulla paura e sulla mortalità, sul fatto che tutti devono affrontare la morte. Nel film vengono esposte molteplici tesi. Se si vuol fare un film che abbia una voce e se si è coinvolti nel sociale, allora questo film deve essere, in un modo o nell’altro, necessariamente politico. Se invece si fa un genere il cui unico fine è l’intrattenimento, allora potrebbe non andare bene. E’ però interessante notare come i film americani di buon livello, i bei film di spionaggio o di guerra tendono ad avere un loro ideale politico. Forse si tirano indietro all’ultimo minuto, il che è un peccato, ma l’interesse per i documentari cui si assiste ora in America è un’ottima cosa e penso che il genere documentaristico sia probabilmente il mezzo giusto per intervenire tempestivamente nel dibattito politico”.

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