Un Set di immagini in movimento – Making The Bridge of San Luis Rey intervista con la regista Mary McGuckian.

Il suo prossimo film, Rag Tale, le cui riprese inizieranno in autunno a Londra sarà assai diverso sia per l’argomento trattato che per il modo di girare. Si passerà da un modo di fare film molto tradizionale come The Bridge of San Luis Rey a uno più sperimentale, affascinante: “E’ quasi un antidoto a quel genere di film [The Bridge….]. E’ ambientato a Londra e parla del mondo della stampa scandalistica… Ha per soggetto una settimana nella vita di un tabloid, è girato in alta definizione, con dialoghi improvvisati da un gruppo di bravissimi giovani attori. Sarà girato in sei settimane ed è un piccolo film molto veloce, divertente e pieno di energia. È una black comedy. E’ la prima volta che mi dedico a questo genere. Non è un film irlandese, lo definirei più anglo-americano, ma credo che la cultura del tabloid riguardi tutti. Non verrà detto niente di nuovo riguardo al mondo dei tabloid né sul culto della celebrità ma penso che, dal momento che il mondo si è assuefatto alla proliferazione della cultura dei tabloid nel mondo dei media, forse un promemoria sarebbe divertente. E abbiamo avuto un aiuto anche da parte dell’America, visto che Carl Bernstein e Chris Horrie hanno visto il film. Quest’ultimo ha scritto Stick it up your punter – the rise and fall of the sun. Sarà ambientato nello stesso periodo in cui gireremo, il che è una mossa opportunistica considerate le imminenti elezioni presidenziali americane”.

Best

Rag Tale non è la prima incursione di Mary McGuckian nel mondo dei personaggi da tabloid. Il suo primo film, Best, una biografia del leggendario calciatore George Best, non poteva fare a meno di trattare l’argomento dei tabloid e del culto della celebrità. È interessante ricordare che i tabloid, che hanno impunemente creato e distrutto tante celebrità, furono assai protettivi nei confronti di Best quando uscì il film: “Quando il film uscì in Inghilterra, i tabloid inglesi continuavano a considerare Best un eroe popolare, non volevano in alcun modo denigrarlo e il fatto che fosse diventato un alcolista era qualcosa di cui si vergognavano. Non volevano affrontare la cosa, né che si venisse a sapere. Ma in altri paesi amanti del calcio come l’Italia, la Spagna e il Sud America, dove il film ebbe successo, vi fu un atteggiamento di solidarietà nei suoi confronti”.

Il film è andato particolarmente bene in Italia, dove mi è capitato di vedere una versione doppiata, esperienza che, per chi come me è abituato all’accento del nord del protagonista, è stata piuttosto strana. La regista irlandese ride, “Una volta avevo un vero e proprio problema con il doppiaggio dei film, ma quando viene fatto bene, allora il risultato è stupefacente. È buffo, l’abbiamo visto anche in italiano una volta. A John [Lynch] è piaciuto, considerato che lui è anche metà italiano”.

Il film ha avuto un grosso successo nei paesi calciofili ma non è stato il gioco del calcio a spingere Mary McGuckian a fare il film: “Ciò che mi affascinava era la vita di Best, il suo scontrarsi con tutto ciò che implica essere una celebrità. Aveva un grande talento, era un genio, un talento istintivo, non fu mai un amante della tecnica né fu mai preparato ad affrontare la fama che lo travolse. Si può dire che sia s
tato la prima celebrità del mondo sportivo”.

Best proponeva alla regista due diverse sfide: la prima di tipo tecnico, su come girare le scene di calcio: “Rimane il film tecnicamente più difficile che abbia mai girato. Il problema maggiore, quello che preoccupava distributori e produttori era proprio il calcio. Anche se fino ad allora vi erano stati film sul calcio di un certo successo, il calcio veniva pur sempre considerato un disastro per la riuscita di un film. L’atteggiamento prevalente era che nessuno riusciva a far funzionare il calcio al cinema. Un ulteriore problema era riuscire ad adattare il gioco di Best allo schermo, visto che tutti gli episodi del suo gioco erano molto conosciuti. Dovevano essere fedeli. Dovevano sembrare reali. Gli attori dovettero riprodurre le sequenze di gioco originali e i gol famosi, quelli del Nottingham Forest, quelli della coppa europea, dovevano essere assolutamente fedeli. Allora non avevamo a disposizione né il budget né la tecnologia per fare il tipo di lavoro al computer che si fa oggi, quindi dovemmo fare tutto con la videocamera, il che è stato piuttosto complicato [ride] . E’ stato molto divertente e la cosa più soddisfacente è che alla fine nessuno menzionò mai il calcio. Quando funzionava lo dicevano, in caso contrario non lo nominavano neanche, il che mi ha fatto molto piacere. Mi aspettavo una stroncatura!”

La seconda sfida è stata più che altro morale, avendo a che vedere con la rappresentazione di una leggenda vivente: “All’epoca del film, [George Best] fu molto presente. Moralmente non mi pareva giusto appropriarsi della storia della vita di un mito vivente senza la sua approvazione. Il che implica inevitabilmente che ci sono parti di copione che non compaiono nella versione definitiva del film. Non sono molte, ma certi temi che abbiamo tentato di esplorare, in particolar modo quelli riguardanti la sua famiglia, Best non ha voluto affrontarli.

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