Un Set di immagini in movimento – Making The Bridge of San Luis Rey intervista con la regista Mary McGuckian.

Mary McGuckian è entrata nel mondo del cinema quasi per caso. “Fu un caso. Ero una attrice/scrittrice. Ho sempre amato scrivere, soprattutto opere teatrali. Cominciai con l’iscrivermi a corsi di recitazione, diventai attrice e lavorai in teatro perché all’epoca in Irlanda non si facevano film. Lavorai in teatro in Irlanda per circa cinque anni per finanziare la mia attività di drammaturgo. Credo che allora Brian Friel fosse l’unico commediografo irlandese che si guadagnasse da vivere scrivendo per il teatro. L’attività teatrale proseguiva, poi, tra una e cosa e l’altra, in Irlanda nacque una industria cinematografica locale e Jim Sheridan e Noel Perason, che conoscevano i miei lavori, mi chiesero quanto rapidamente potessi scrivere un copione cinematografico. “Io non ho mai scritto un copione cinematografico” risposi, ma loro mi commissionarono un pezzo teatrale e mi chiesero di scriverlo come se fosse un copione cinematografico e fu cos&igra
ve; che tutto cominciò. Pensai: “Be’, almeno sono guadagni facili” [ride]. Un pessimo atteggiamento, credo! Così cominciai e mi ci dedicai con un certo impegno. Cominciai anche a vedere più film. Ero, per così dire, contraria ai film, in modo purista. Non avevo alcuna ambizione di fare la regista, mi ci avvicinai più da un punto di vista di scrittrice, ma quando si trovò un finanziamento per il film, Jim Sheridan e Pat O’Connor mi dissero “Questo argomento ti è familiare, dovresti dirigere tu il film”. Words on the windowpane è stato il mio primo film. Fino ad allora non ci avevo mai pensato. Detto questo, incontrai un vecchio amico dei tempi dell’università il quale disse che all’età di 17 anni andai da lui e gli dissi “Io farò la regista” ma [ride] io non me lo ricordo! È successo in modo spontaneo. Ora vedi gente che si iscrive alla NYU e alla scuola di cinema, sarebbe stato meraviglioso farlo. Io ho dovuto imparare strada facendo. Ho il sospetto che un po’ di scuola di cinema non mi avrebbe fatto male. All’epoca in Irlanda la maggior parte di noi arrivava al cinema scrivendo o attraverso il teatro. Ognuno ci arrivava a modo suo”.

Mary stessa ha adattato The Bridge of San Luis Rey, lavorando su svariati copioni. E’ stato difficile trasformare il libro in film? “Era inevitabile che lo fosse, con un libro come questo. Fu scritto da Thornton Wilder nel 1927, con un linguaggio molto originale, essendo ambientato nel Perù del 18° secolo, un paese di lingua spagnola. Ma Wilder ha sviluppato un idioma tutto particolare. Quindi nel copione ho dovuto trovare un linguaggio parlabile, un linguaggio inventato di sana pianta. Non pensavo che dovesse essere una versione della pronuncia di quel secolo o dell’inglese parlato negli anni ’30 quindi abbiamo mantenuto l’americano, che diventa una specie di versione americana dello spagnolo parlato da persone che lo sanno parlare bene! Volevo che fosse parlato con un accento americano atlantico, un accento alquanto strano. Poi i personaggi più internazionali parlano con l’accento anglosassone standard. La percezione dello status sociale attraverso il parlato diventa un grosso problema per un paese di lingua inglese. Tutto il nostro gruppo ne era consapevole e abbiamo dedicato molto tempo a lavorare sulla voce. Non risulta molto naturale quindi gli attori non hanno avuto molta libertà con il testo. Ci siamo sforzati tutti per sistemare il testo prima delle riprese. È un testo difficile, con un linguaggio molto complesso. Certo, con attori così esperti, così sicuri della loro interpretazione, il mio compito consisteva nel capire il processo e metterlo al servizio del film. Erano tutte interpretazioni abbastanza individuali, e tutte molto diverse le une dalle altre. Tutti provenivano da paesi diversi: avevamo un cast di attori americani, irlandesi, spagnoli, francesi ed inglesi. Credo che la cultura cinematografica si differenzi alquanto in questi paesi. Dovevo riuscire a far convergere tutti nello stesso punto, non volevo che il film fosse in alcun modo omologato, ma solo che la recitazione fosse credibile e coerente”.

Il timore che The Bridge of San Luis Rey sia un tentativo mal concepito da parte di Hollywood di sfruttare la rinnovata popolarità di questo romanzo vincitore del premio Pulitzer svanisce durante la conversazione con Mary McGuckian, la cui voce è pervasa dall’entusiasmo e dal rispetto sia per il testo originale sia per il progetto di portarlo sullo schermo. Da’ l’impressione di essere un prodotto nato dalla passione, sia della regista che della troupe: “Farlo è stato bellissimo. In un certo senso è un’opera molto nostalgica, che da’ una sensazione di malinconia. L’abbiamo fatto alla vecchia maniera. Avevo una troupe molto esperta, più anziana, tutti in età di pensionamento ed oltre, alcuni avevano anche vinto un Oscar negli ultimi 40 o 50 anni. È stato come un grosso omaggio al vecchio modo di fare cinema. Avevamo scenografi italiani, bravissimi costumisti francesi, il meglio di tutto in tutti i campi. E’ stato fatto in modo fantastico, vecchio stile e non ci sono effetti digitali. Il film è stato girato con uno stile molto formale e strutturato, pensato da noi; abbiamo tentato di dare un’impostazione classica al set di immagini in movimento e penso che ci siamo riusciti”.

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