Un Amore Veneziano – A colloquio con Andrea Di Robilant.

Andrea Di Robilant è un giornalista italiano dal tono pacato e un accento americano appena percettibile (ha radici americane da parte materna), che ha trascorso diversi anni negli Stati Uniti nelle vesti di corrispondente per il quotidiano La Stampa. È più facile scoprirlo impegnato a scrivere di politica internazionale piuttosto che di storie d'amore del 18º secolo; eppure il caso ha voluto che la scoperta di un'antica parentela lo abbia indotto a scrivere il suo primo libro, ambientato proprio in quest'epoca. “Un giorno mio padre si è presentato a casa con una scatola colma di vecchie lettere che aveva scovato nell'abitazione in cui era cresciuto a Venezia. Abbiamo subito esaminato il contenuto delle lettere per capire di quali argomenti trattassero. Non sapevamo chi ne fossero gli autori. Eravamo incuriositi, in quanto molte lettere erano scritte in un codice segreto e alcune pagine sembravano contenere degli strani geroglifici. Mio padre decise di provare a decifrare il codice e, dopo averlo decifrato, ha trascritto il contenuto delle lettere. La loro lettura ha portato alla luce una storia d'amore piuttosto incredibile che vede protagonisti un nostro avo – Andrea Memmo, di cui sapevamo davvero poco – e Giustiniana Wynne, una ragazza Anglo-veneziana. Nell'intento di scrivere un libro, mio padre si diede a svolgere delle indagini su questi personaggi. Ma ahimè, venne assassinato nel 1997 [ Nota dell'editore: L' omicidio del Signor Di Robilant Senior a Firenze rimane un caso insoluto], perciò mi è sembrato naturale riprendere il filo del discorso da dove era stato interrotto e portare a compimento l'idea del libro che mio padre avrebbe voluto scrivere. Allora vivevo negli Stati Uniti, perciò decisi di farne un progetto americano, di trovarmi una casa editrice e scrivere il libro in inglese”.

Il libro “Un amore veneziano” ricompone brillantemente i frammenti di una relazione amorosa clandestina. L'alternarsi dei cenni storici con quelli biografici rende la narrazione scorrevole ed affascinante. La narrazione si svolge sullo sfondo della rigida struttura sociale della Repubblica di Venezia. Di Robilant spiega “era una società dalla struttura vetusta, obsoleta e in molti rispetti anacronistica, governata in buona parte da costumi molto rigorosi. Si trattava di una società impenetrabile in cui era norma che i rampolli, la progenie all'oligarchia veneziana, si unissero regolarmente in matrimonio tra loro, attenendosi a dettami applicati in maniera inflessibile. Gli Inquisitori esercitavano un ruolo di primo piano nell'imporre l'osservanza dei costumi che ritenevano condizione necessaria per il prosperare della Repubblica. Fondata sulla famiglia, la Repubblica poneva in atto l'intransigente applicazione di norme e requisiti promulgati allo scopo di tutelare il sistema costituito. In questo erano inflessibili. D'altra parte, proprio la rigidità della classe politica Veneziana e le unioni tra consanguinei sono gli elementi determinanti del declino della classe politica veneziana: era una società assai angusta e ristretta”.

Accalorandosi su questo tema, Di Robilant continua: “Venezia fra l'altro era di dimensioni limitate e, sebbene godesse di relativa importanza a livello europeo, rimaneva una cittadina: si conoscevano tutti. Non ci si frequentava solamente tra gli appartenenti alla classe dominante. Promiscuità, amicizie, familiarità e frequentazioni erano all'ordine del giorno e ciò dava luogo ad una situazione contraddittoria. Da un lato esisteva una società brillante ed eterogenea capace di una notevole interazione fra le classi, dall'altro un sovrastruttura molto rigida che, posta a confronto con questioni serie come il matrimonio, imponeva le proprie norme con un rigore inflessibile”.

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