The Secret Migration – un'intervista con Mercury Rev

Per quanto riguarda i testi, Grasshopper non fa riferimento ad alcun tema di tipo ecologico che possa enfatizzare il contenuto dell'album. Al contrario, l'ispirazione pare essere più il risultato dei paraggi in cui si trovava il gruppo quando scriveva ed incideva il disco. Da diversi anni, Donohue e Grasshopper abitano sulle montagne Catskill, a nord di New York, “in una zona abbastanza rurale, un paesotto” come la descrive lui, e conviene che questo ambiente ha forse più di tutto influenzato l'immaginario legato alle canzoni, dato che, ci dice, ciò che vedi ogni giorno è di solito ciò che è più presente a livello mentale quando viene il momento di scrivere [i testi].

Viene fuori che i testi erano secondari alle musiche all'inizio della carriera dei Mercury Rev. Il gruppo ha infatti iniziato con la stesura di colonne sonore per film sperimentali girati da studenti, avendo Grasshopper stesso studiato cinema sotto la guida di Tony Conrad (compositore minimalista, nonché l'uomo che dette a Lou Reed il libro S&M da cui il gruppo prese il nome), presso l'Università di Buffalo. Questo gruppo un po' aleatorio compose musica per film sia a New York che in Canada prima di evolvere gradatamente fino a che “diventammo una band vera e propria […] cominciammo a scrivere testi”. Nonostante i loro successi di pubblico e di critica, tuttura il gruppo si diletta fra un album e l'altro a scrivere colonne sonore. Fra gli altri progetti che li hanno tenuti occupati durante il loro recente 'periodo di pausa', ci sono pezzi con cui hanno contribuito ad un tributo a Daniel Johnston e, in maniera piuttosto inusuale, la musicalizzazione di un sonetto tratto dal ciclo di poesia/canzone Chamber Music di James Joyce.

Qual è il background che ha portato a questa realizzazione? “Sul nostro sito web, ho una rubrica in cui scrivo di libri e film che mi piacciono,” risponde Grasshopper, “Fire Records mi ha contattato per chiedermi se questo progetto potesse interessarmi”. Quando gli chiedo se alla band piace l'autore irlandese, mi dice di sì, “Ritratto dell'artista da giovane e tutta quella roba lì”, ma non ci dice se lui o uno degli altri abbiano mai finito di leggere l'Ulisse. Alla fine hanno optato per musicare il sonetto n. 23, “perché ci piace quel numero,” scherza, “e il sonetto pure”. Il progetto ha coinvolto altri trentasei artisti, compreso Lee Ranaldo e The Silent League. Il lancio è stato postposto, in quanto la casa discografica è incorsa in qualche difficoltà legata al rilascio dei diritti da parte del nipote di Joyce. In ogni caso, il permesso è stato ora concesso e il progetto vedrà la luce entro la fine dell'anno.

Canzoni intitolate Black Forest (Lorelei) e First Time Mother's Joy (Flying) nonché incursioni nel mondo delle colonne sonore per le poesie di James Joyce sono progetti abbastanza insoliti per una band moderna ma, nonostante gli obbligatori occhiali neri e abiti scuri da rock star, salta agli occhi come i Mercury Rev siano a miglia di distanza dalla maggiorparte degli altri
gruppi che riempiono le classifiche oggigiorno.

Come quella dei loro coetanei The Flaming Lips (con cui Donahue suonò la chitarra nei primi anni novanta), la discografia dei Mercury Rev è un po' come un film surrealista sistemato sulla stessa mensola di una serie di film d'azione holliwoodiani. Gli domando se la band presti alcuna attenzione alle tendenze musicali del momento, e Grasshopper concede che “veramente noi esistiamo all'interno della nostra piccola bolla”. Nonostante questa prevedibile indicazione che la band non si farà tagli di capelli da rockettari alla moda né cambierà nome per chiamarsi The Mercury Rev, si affretta a dirmi che “mi piacciono alcuni di questi gruppi, tipo gli Yeah, Yeah, Yeah”. Ammirazione a parte, la band non pare proprio intenzionata ad allontanarsi dal proprio attuale corso musicale. I Mercury Rev hanno trovato la loro strada, e vi rimangono.


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