Restaurazione e Invenzione: Il ruolo del linguaggio nell'invenzione della nazione irlandese e norvegese

Nel XX secolo anche l’Irlanda sperimenterà il conflitto linguistico. L’ideale romantico che ispirò l’insurrezione di Pasqua nel 1916 e vide la nascita della repubblica irlandese nel 1919 non sopravvisse al Libero Stato. La guerra civile aveva infranto il sogno e l’idealismo repubblicano cedette il passo al pragmatismo voluto dalla maggioranza. È interessante notare che nonostante le rinunce, “in nome della realpolitik, la lingua rimase nell’ambito dell’idealpolitik, un atto di irrinunciabile devozione rispetto alla quale il governo non avrebbe mai ceduto”19. Il ripristino della lingua fu un progetto profondamente sentito, anche se ambizioso. Ingenuamente, si pensava che l’istituzione responsabile della scomparsa della lingua irlandese,ovvero il sistema scolastico nazionale, l’avrebbe ripristinata. Ma mentre nel 1831 vi era stato un incentivo economico a passare all’inglese, nell’Irlanda degli anni ’20 non esisteva tale incentivo a ritornare all’irlandese. L’eccessiva dipendenza dal sistema scolastico e una politica incontrollabile contribuirono al fallimento del ripristino della lingua e fecero sì che essa divenne motivo di divisione all’interno della società. Imparare l’irlandese divenne obbligatorio, esso era necessario per superare gli esami, per frequentare l’università e per lavorare nella pubblica amministrazione. La lingua divenne un strumento di esclusione e un ostacolo all’avanzamento e, come tale, divenne invisa a molti. Il modo in cui la lingua irlandese fu inculcata a forza in intere generazioni di ragazzi fece sì che molti di essi lasciarono la scuola sapendo l’irlandese, ma conservando un pessimo ricordo dell’esperienza. Si affermarono in un mondo che parlava inglese e molti di essi abbandonarono l’irlandese immediatamente dopo aver raggiunto i loro scopi: il superamento degli esami, l’accesso all’università, un lavoro. L’imposizione forzata dell’irlandese “fomentò il cinismo e, a volte, anche una fiera avversione nei confronti della lingua nazionale”20. Osborn Bergin, accademico e studioso di gaelico, sintetizzò così il cinismo nei confronti delle politiche linguistiche:

“Oggi la gente scarica il problema al governo, il governo al ministero della pubblica istruzione, questo agli insegnanti, e gli insegnati agli studenti. Solo che i giovani non sanno a chi altri scaricare il problema”21.

La popolazione era divisa, non solo per la questione della lingua, ma anche riguardo ai metodi utilizzati per ripristinarla. Chi metteva in discussione il sistema era accusato di essere anti-irlandese o filo britannico dai Gaelgoirs (gli entusiasti della lingua irlandese) che James Dillon descrisse come “intolleranti, miopi ed egoisti”22. L’insistenza di costoro sulla grammatica, sulla pronuncia e anche sugli accenti (blas) allontanò il cittadino medio con le sue cupla focal (due parolette) dalla lingua e si batté contro l’uso popolare.

A partire dagli anni ’60, il dibattito ha gradualmente perso importanza e il passaggio dal ripristino alla conservazione della lingua è ormai comunemente accettato. Oggi in Irlanda la nostra lingua nazionale è considerata un ornamento, un simbolo dell’identità nazionale di cui andare orgogliosi, come andiamo orgogliosi di James Joyce; ma come non ci sentiamo obbligati a leggere l’Ulisse, così non proviamo rimorso se non parliamo irlandese.

Nel XIX secolo, sia la Norvegia che l’Irlanda cercarono di inventare una nazione con una propria e ben definita identità che permettesse loro di uscire dall’ombra in cui gli stati vicini e dominanti l’avevano confinata. Mentre l’appartenenza alla nazione era definita dal territorio in Norvegia e dalla religione in Irlanda, la lingua sarebbe divenuta un punto centrale nella nascita di entrambe le nazioni. Tacito aveva affermato che “la lingua del conquistatore nella bocca del conquistato è la lingua dello schiavo”23 e a metà del secolo questo sentire divenne parte fondamentale di quell’onda di idealismo romantico che investì l’Europa. La Norvegia era così ansiosa di liberarsi della lingua dei conquistatori che si inventò una nuova lingua nazionale e, nel farlo, finì per averne due. Era più facile rifarsi ad un passato romantico che promuovere qualcosa che non otteneva favori nel presente e in Irlanda il nazionalismo romantico dovette rassegnarsi al fatto che il corso degli eventi era mutato e non giocava più a favore della lingua irlandese. L’atteggiamento negativo nei confronti della lingua fu così sintetizzato nel discorso di Daniel O’Connell: “Non posso assistere senza rimpianto al graduale disuso della lingua irlandese”24. Verso la fine del secolo, le minoranze linguistiche languivano in entrambe i paesi. I fattori critici che avrebbero cambiato le sorti di queste minoranze furono il mutamento del nazionalismo e la nascita dei partiti politici. Questi sviluppi videro la nascita di un nazionalismo esclusivo e in entrambi paesi le minoranze linguistiche furono prese a simbolo di un nazionalismo più puro da parte di chi voleva sfidare lo status quo politico. In simbiosi, le minoranze linguistiche appoggiarono la minoranza politica nei suoi tentativi di ottenere il potere e quando essa riuscì ad ottenerlo alle minoranze linguistiche fu concesso uno status eccessivo. Sia in Norvegia che in Irlanda le minoranze linguistiche divennero, negli stati indipendenti, motivo di divisione sociale; in Norvegia la lingua cominciò a riflettere le differenze regionali e di classe mentre in Irlanda la popolazione era divisa sulla politica e sui metodi utilizzati per ripristinare il linguaggio.

Se la lingua non fosse stata adottata come strumento politico da parte di un’opposizione politica emergente l’irlandese e il Landsmal, inventato da Ivar Aasen, sarebbero rimasti un oggetto di studio di linguisti e conservatori di beni culturali. Il fatto che non sia accaduto è il testamento di quelle personalità politiche a cui la lingua era legata; il fatto che non abbia mai soppiantato la lingua tradizionale è prova che la maggioranza riconquistò il potere, sia a livello politico che a livello linguistico, in entrambi i paesi. Ma tale fu l’impatto del nazionalismo culturale che neanche la maggioranza poté ignorare queste ‘vacche sacre’ linguistiche. Entrambe le vacche, nonostante i problemi di salute e le incognite del futuro, sono sopravvissute fino al XX secolo. In Irlanda un’acritica mescolanza di devozione ufficiale e disinteresse reale ha accolto la vacca zoppicante nel XXI secolo, mentre in Norvegia un interminabile dibattito democratico ha servito il medesimo scopo.

Referenze:

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2Tomas O&apos
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3R.V. Comerford, ‘Nations, nationalism, and the Irish language’, in T.E. Hachey and L. McCaffrey (eds.), Perspectives on Irish nationalism, (Lexington, 1989). P. 22.
4Joshua A. Fishman, Language and Nationalism, (Rowley, Mass. 1975), p. 48.
5John Midgaard, A brief history of Norway, 8th. edition, (Oslo, 1982), p. 75.
6Einar Haugen, Language conflict and language planning: The case of modern Norwegian, (Cambridge, Mass., 1966), p. 28.
7Einar Haugen, Language conflict and language planning: The case of modern Norwegian, (Cambridge, Mass., 1966), p. 27.
8Kevin B. Nowlan, ‘The Gaelic League and other National Movements’, in Sean O’Tuama, (ed.), The Gaelic League idea, (Dublin, 1993), p. 49.
9Tomas O’Fiaich, ‘The language and political history’, in Brian O’Cuiv (ed.), A View of the Irish Language, (Dublin, 1969), p.110.
10John Hutchinson, The dynamics of Cultural Nationalism: The Gaelic revival and the creation of the Irish Nation State, (London, 1987), p. 169.
11D. G. Boyce, Nationalism in Ireland, 3rd. edition, (London, 1991), p. 237.
12John Hutchinson, The dynamics of Cultural Nationalism: The Gaelic revival and the creation of the Irish Nation State, (London, 1987), p. 178.
13Ibid. p. 179.
14Einar Haugen, Language conflict and language planning: The case of modern Norwegian, (Cambridge, Mass., 1966), p. 37.
15Einar Haugen, Language conflict and language planning: The case of modern Norwegian, (Cambridge, Mass., 1966), pp. 45-46.
16Einar Haugen, Language conflict and language planning: The case of modern Norwegian, (Cambridge, Mass., 1966), p. 87.
17Ibid., p. 227.
18Lars S. Vikor, ‘Northern Europe’, in Stephen Barbour and Cathie Carmichael (eds.) Language and Nationalism in Europe, (Oxford, 2002), p.116.
19R.V. Comerford, Ireland, (London, 2003), p. 145.
20Adrian Kelly, Compulsory Irish: Language and education in Ireland 1870s-1970s, (Dublin, 2002), p. 135.
21Terence Brown, Ireland: a social and cultural history 1922-1985, (London, 1981), p. 53.
22Adrian Kelly, Compulsory Irish: Language and education in Ireland 1870s-1970s, (Dublin, 2002), p. 135.
23Tomas O’Fiaich, ‘The language and political history’, in Brian O’Cuiv (ed.), A View of the Irish Language, (Dublin, 1969), p.101.
24Brian O’Cuiv, ‘Irish in the modern World’, in Brian O’Cuiv (ed.),A View of the Irish Language, (Dublin, 1969), p.123.

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