Quo vadis, Salvatores?

Il film presenta anche altre novità per Salvatores, in termini della sua tecnica lavorativa. E' infatti il suo primo film girato usando l'alta definizione digitale, invece che con la tecnica tradizionale. “Sicuramente sarà la tecnologia con cui ci dovremo confrontare tra cinque o sei anni, non volevo che ci fosse un ragazzino di 23 che ne sapesse più di me. Poi naturalmente si possono scoprire cose interessanti usando questo HP, per esempio il fatto che puoi controllare il colore, l'immagine, in maniera precisa, cambiarla”. Colore e location sono diventati il marchio ufficiale del suo modo di fare cinema, con il giallo vibrante di Io non ho paura, i grigi nuvolosi di Amnesia ed ora i magnifici palazzi di Bologna, i cui mattoni rossi diventano quasi neri o blu in questa rappresentazione noir del mondo.

Il film ha anche una struttura narrativa particolare. E' un'autoanalisi, caratterizzata da riferimenti a se stesso, La trama utilizza riferimenti ad altri film (Quo Vadis, Baby? è una citazione da Ultimo tango a Parigi). “E' come un puzzle,” conviene Salvatores,”già questo era nel romanzo, un puzzle che si compone, come qualsiasi detective story, la storia non è raccontata dall'inizio alla fine in senso cronologico-logico, ma il detective rivece tutta una serie di indizi e poi sta a lui, se è capace, chiudere la storia ed arrivare alla verità. Ecco, questo compito in questo libro è affidato al pubblico: è il pubblico che farà l'investigatore, è il pubblico che comporrà la storia da tutta una serie di indizi che noi spargiamo qua e là. Anzi addirittura l'ultimo pezzetto di questo puzzle, l'ultima notizia, quella che proprio chiuderà l'indagine, è affidata solo al pubblico, cioè nessuno dei personaggi del film lo saprà o lo vedrà tranne il pubblico. Penso che questo sia un atto di fiducia nei confronti del pubblico.”

Che la Baraldi sia una cantante più che un'attrice potrà essere una coincidenza, ma il regista ci tiene a far notare come questo sia il suo film più rock. “il film è pieno di musica [PMF, Talking Heads, Ultravox tra gli altri], ma anche perché c'è dentro un po' quella rabbia, quella destabilizzazione, e però anche quei sogni, quel perdersi, che il rock ci ha dato. Io avrei veramente voluto essere” dice con un guizzo di divertimento negli occhi, “una rock star, invece che un regista. Purtroppo l'incipiente caduta dei capelli [indicando la propria giovanile ma scarsa capigliatura] mi ha costretto a cambiare lavoro!”

Oltre alla protagonista femminile, l'ambientazione, la musica, ciò che suscita curiosità in molte persone è la scelta del genere noir. Quale aspetto di questo genere lo ha fatto decidere, non solo di fare un film ma anche di lanciare una casa editrice specializzata? Parte dell'attrativa dipende dal fatto che “in questa difficoltà di capire la verità nel mondo in cui viviamo, complici i media, i politici e compagnia bella, il noir sembra acquistare un luogo, perché vuol dire scoprire la propria verità. Io credo che sia proprio così. E' vero che il giallo, il noir, in questi anni sembrano raccontare la realtà meglio di quanto lo può fare un documentario, un qualcosa di più realistico. Anche perché per esempio rispetto al cinema in particolare noi ci limitiamo, specialmente in Italia ce l'abbiamo un po' questo vizio, di trasformare lo schermo in uno specchio. Ora per esempio, se io vi metto uno specchio davanti, sicuramente state a guardarlo per un po', anche io mi vedo, mi riconosco, sto lì per un poì poi dopo un poì non succede niente, vado via, però ci sono stato un po' a guardarmi. Ora io non credo che lo scherma debba essere uno specchio, se proprio specchio deve essere, dev'essere almeno uno specchio deformato, per dare di me un'immagine un po' diversa da quella che mi aspettavo. E questo è lo sguardo di un regista: non possiamo limitarci a riprodurre le cose come stanno, questo è gratificante, ma non ci fà andare avanti […] Solo le scimmie stanno ore davanti allo specchio”.

Pages: 1 2 3