Nonnine Spacciatrici, Mine Anti-uomo e Vegetazione Lussureggiante: Laos – un giornale di viaggio.

Non lontano da Savannakhet, Thakkek e i suoi dintorni offrono l'impressionante spettacolo di una serie di grotte scavate nel fianco delle montagne carsiche che circondano la città. Le grotte rappresentano storicamente luoghi di culto buddisti e induisti, e ospitano al loro interno degli strani altari o santuari. In cambio di un paio di dollari un autista sorridente quanto spericolato accetta di scarrozzarci tutto il giorno sul suo tuk-tuk alla ricerca delle grotte disseminate nella campagna.
La prima, Tham En, è immensa, con stalattiti e stalagmiti, una scala di cemento balaustrata 'alla Cenerentola' e delle lampade fluorescenti al neon, verdi, rosse e bianche, che, nonostante l'origine italiana della mia ragazza, Francesca, appaiono ai nostri occhi volgari e di cattivo gusto. Ti fa venire in mente una discoteca disneya
na nell'antro del re della montagna [N.d.T.: in inglese Hall of the Mountain King, da Peer Gynt Suite no.1, di Edvard Grieg, nonché The Hobbit, di J.R.R.Tolkein], e rappresenta una delle destinazioni preferite dai festaioli locali.
Tha Falang è un angolino idilliaco in riva al fiume piuttosto che una grotta, e apparentemente era il luogo preferito dai colonialisti francesi (che, secondo Lewis, consideravano il Laos come una sorta di ritiro paradisiaco e decadente), da cui il nome che liberamente tradotto indica i diavoli pallidi, ovvero noi.
Tham Pha In ha invece un aspetto più remoto, e rappresenta un santuario al dio indù Indra, la cui immagine secondo la credenza popolare si riflette nelle pozze rocciose all'interno della grotta. Possiede un'aura di serenità, di magia e misticismo. Sono lì lì per mettere in discussione la vita di città, il consumismo e i mali del mondo, quando la voce velata di panico di Francesca mi invita a tornare sui miei passi, senza spiegazione alcuna. Mi mordo la lingua, pronto a mugugnare recriminazioni, e mentre faccio un passo indietro colgo con la coda dell'occhio l'immagine di un serpente gigantesco, ben al di sopra della mia testa, ma pur sempre sopra! Si allontana sinuosamente, il suo instinto deve aver aver captato le mie origini irlandesi ('non era gallese, San Patrizio?', mi fa notare Francesca, intransigente quando si tratta di accuratezza storica…).
Tra serpenti e ordigni inesplosi, non siamo più così entusiasti di esplorare nicchie e angolini nacosti, ma l'ultima grotta è a dir poco superba. Than Ban Tham rimane subito fuori un villaggetto da cui arrivano bambini a frotte urlando “Sabaidee” [Ciao] tra le risa, pieni di curiosità. La caverna è enorme, e ospita miriadi di pipistrelli e budda, oltre a qualche divinità indù. Queste grotte venivano usate sia dai Pathet-Lao [i rivoluzionari comunisti che alla fine riuscirono a salire al potere nel 1974, grazie anche e non poco agli attacchi selvaggi delle forze militari americane] e dalla popolazione locale per ripararsi dai bombardamenti.

Vientiane

Generalmente, l'arrivo nella capitale, o in una grande città, è fonte di preoccupazione e crea momenti di ansia in qualsiasi nazione: traffico, caos, affollamento, … Vientiane, che pronunciato dai locali suona un decisamente non-francese Viangcian, ha le dimensioni di una piccola cittadina mercantile [Popolazione (stima) 140'000], o forse nemmeno. Ha la sua piazza al centro della città, con una fontana, il cui getto viene attivato a casaccio, solo per un paio d'ore al giorno. Ci sono una o due strade su cui si affacciano piccoli hotel e ristorantini, nessuno dei quali si qualificherebbe come animato o indaffarato; il resto sono strade non asfaltate e polverose, caratterizzate da case di piccole dimensioni e e qualche tempio. Anzi, i templi sono l'elemento distintivo di Vientiane. Solo sulla nostra via c'erano almeno quattro Wats buddisti di rilievo. I Wats sono complessi religiosi che includono il tempio principale, riccamente decorato con statue di Budda in ogni posizione possibile e immaginabile, le casette in cui alloggiano i monaci, alcune cappellette minori e le stupa, cioè strutture a forma di campana rovesciata contenenti le ceneri dei benefattori o comunque di persone meritevoli. Il Buddismo riveste un ruolo importante in Laos: la maggiorparte dei giovani di sesso maschile entrano in monastero per un periodo della lora vita, e di questi la maggiorparte sembra volersi esercitare a parlare in inglese. Ci sediamo nel sole per una buona mezzora con Lai, un novizio di circa 15 anni. E' molto carino, ed è un piacere chiacchierare con lui. Si meraviglia dei nostri modi occidentali. Il fatto che viaggiamo insieme senza essere sposati poi lo lascia a bocca aperta: il contatto tra sessi diversi deve sottostare a regole precise in Laos, e i monaci in particolare non possono avere alcun contatto fisico con le donne, figurarsi se potrebbero andare a zonzo per il mondo a divertirsi! Ci racconta delle sue materie scolastiche, tra cui menziona Etica. Solo dopo un po' ci rendiamo conto che con Etica intende lezioni di Marxismo-Leninismo. Il Governo comunista fece un tentativo di chuidere i templi ma la reazione popolare fu così decisamente contraria che dovette tornare sui propri passi; impose però la regola per cui ogni monaco dovesse studiarsi Das Kapital. Lai ci spiega che tutto quello che ci serve è amore, non soldi, proprio come un brufoloso Budda in miniatura. E ci credo che lo sostenga, visto che lui stesso dipende dal buon cuore della comunità per nutrirsi (solo due pasti al giorno, e niente cibo solido dopo mezzogiorno, solo liquido, “qualche volta però bevo della Pepsi”, ci confessa con un certo senso di colpa). Ci sembra troppo giovane per una tale esistenza spartana – continua a ridacchiare, come del resto ogni altro giovane monaco che incontriamo – ma pare felice della propria sistemazione. Questa esistenza spartana gli procura un tetto sulla testa e un'istruzione, il che in Laos non è certo da poco.

Vang Vieng

Vang Vieng rappresenta un fenomeno a parte. Un paesino minuscolo in cui i backpackers [turisti zaino in spalla] superano in numero gli autoctoni. E' affascinante e la sua posizione, su un fiume e circondato da montagne di natura carsica simili a quelle di Thakkek, lo rende ancora più bello; d'altra parte però questa cittadina possiede ora molte più infrastrutture e comodità della capitale. Immaginatevi che un minuscolo villaggio in uno dei vostri rispettivi Paesi improvvisamente riceva l'OK da parte dell'internazionale mondo dei backpackers, che si sparga la voce e la cittadina venga innondata di turisti – un autentico colpo di fortuna! Qui abbondano guest-hause sontuose, ristoranti, internet cafes, e bar che trasmettono musica occidentale a tutto volume (vabbe, a dire la verità possedevano solo un disco dei Doors, che continuavano a suonare a ripetizione); e il tutto a casa del diavolo! Si tratta di puro divertimento, certamente, ma sicuramente non di un tipo di turismo a basso impatto; e infatti [Vang Vieng] è l'unica località in Laos in cui incontriamo un certo grado di seccatura da parte della popolazione locale, in competizione per offrirti il bed&breakfast o il ristorante più grande o più bello. Al di fuori dal centro, vicino ai barettini che si affacciano sul fiume, loschi personaggi bisbigliano offerte di marijuana e oppio, e per un momento, ti sembra di essere capitato nel giardino dell'Eden, post-mela.

Un paio di km fuori da Vang Vieng, ci ritroviamo, a dispetto delle nostre migliori intenzioni, col culo infilato in grossi pneumatici galleggianti. Un'alta concentrazione di backpackers non pone rischi solo alla popolazione locale ed alle sue tradizioni, ma anche a noi turisti sempliciotti, proprio per colpa di tutte le raccomandazioni che si ricevono, gli infiniti “avete provato a {inserire nome di attività che nessun abitante del luogo, o tuo compatriota sano di mente, farebbe}? No? Allora dovete provare!”.
In teoria pare proprio una bella idea, farsi trasportare a valle dalla corrente del fiume, godendosi il panorama lungo il tragitto. La brutale realtà però è che non c'è abbastanza corrente per trascinarci fino a Vang Vieng, e quindi dobbiamo procedere a stento, immersi nella acqua ghiacciata, per di più trainandoci dietro i copertoni. Quando oltrepassiamo un gruppo di bambini intenti a pescare, ci fa piacere notare come la molestia [degli abitanti] di Vang Vieng non fuoriesce dai confini della
città. Questi ragazzini ci guardano divertiti, ma non si sognano neanche di approfittare della nostra situazione per guadagnarsi qualche soldo, offrendoci per esempio di procurarci un passaggio per il ritorno. Sono troppo occupati a sganasciarsi dalle risate, a ragione, alle spalle di questi strani Falangs.

Luang Prabang

Ancora una volta, in mancanza di un mezzo che assomigli ad un autobus, ci ritroviamo abbarbicati nel retro di una jeep, e arriviamo, sei ore dopo, incriccati e anchilosati, a Luang Prabang, l'antica capitale laoziana, la quale, per non smentire la tradizione locale, è minuscola. E' anche bellissima, con vicoli stretti e casette di legno ovunque ti giri, con recinti di legno a separare microscopici appezzamenti di terreno. Vanta anche la sua dose di architettura francese e gli immancabili Wats. C'è persino un hotel a cinque stelle, che è ben al di là del nostro limite in termini di budget, e -immaginiamo- ben al di là del limite di raggiungibilità per la maggiorparte dei turisti a cinque stelle, a meno che non vengano catapultati qui in elicottero.

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