Le guerre di Blair – L'assenza di chiare ripercussioni politiche. Intervista a John Kampfner.

Quanto erano diverse le cose nel 2001 quando Blair era in corsa per un secondo mandato che poi avrebbe vinto. Diverse non nel senso che il Regno Unito non fosse intervenuto militarmente all'estero, anzi, lo aveva fatto, ma piuttosto nel senso che tali interventi militari erano stati visti, a ragione o a torto, come dei successi. Accenna Kampfner: “Blair era davvero al culmine della popolarità nel 2000, cioè dopo i suoi primi tre interventi militari: Operazione Desert Fox, il Kosovo e la Sierra Leone. In modi diversi tutti e tre godettero di un appoggio esteso, all'interno del partito e nell'opinione pubblica in generale, e nessuno dei tre causò a Blair problemi diplomatici o internazionali. Anzi, dopo il Kosovo, c'era la sensazione che egli avesse identificato un interventismo liberale che altri paesi europei e Bill Clinton avevano tardato a capire”.

La percezione popolare di Blair all'estero lo ritrae, in relazione all'Iraq, come il fido cagnolino di Bush, ma il libro di Kampfner si sbarazza di questa immagine comica. Si dice che il diavolo si nasconda nei dettagli, e al centro dell'analisi fatta dal political editor del New Statesman rimane un dato di fatto fin qui edulcorato: “La domanda predominante che ho cercato di porre e a cui ho cercato di rispondere è: cosa c'è in quest'uomo, Tony Blair, che lo ha portato a fare cinque guerre in più di sei anni? E' una statistica notevole che non ha precedenti. Né Margaret Thatcher né John Major se ne avvicinarono. Solamente dopo aver identificato questo dato,” sostiene Kampfner, “ho potuto riconoscere il filo comune che tiene insieme il libro.” Libro che affianca e supporta fatti indiscussi con riflessioni preziose da parte di ministri di cabinetto e funzionari del governo vicini al premier. Si potranno dire molte cose di Blair ma, se dobbiamo accettare l'analisi che ne fa Kampfner, non che sia un semplice e mansueto cagnolino.

“Quei conflitti, quegli interventi militari, erano tutti molto diversi tra loro” amplia il discorso Kampfner, ben conscio di toccare un tema controverso. “Erano diversi nei loro motivi e lo furono nei rispettivi esiti. E ovviamente, erano diversi in dimensione. Si discute, tra coloro che si interessano a queste questioni, su quali di essi costituirono propriamente una guerra. Io ho incluso la Sierra Leone, non ho incluso Timor Est. Qualcuno potrebbero suggerire che quelle due missioni erano la stessa cosa: missioni militari di combattimento di portata limitata per soddisfare specifiche di dettaglio. Io, però, interpreto la Sierra Leone come un elemento che si inserisce in una visione del mondo di Blair più ampia, di spirito manicheo e gladstoniano.”

Per molti le motivazioni dell'entrata in guerra contro l'Iraq rimangono un mistero. Le armi di distruzione di massa sono diventate motivo di scherno persino presso l'amministrazione americana. Cosa spinse Blair ad entrare in guerra? “Le ragioni che portarono Tony Blair a unirsi in destino con George Bush “, risponde Kampfner, “sono numerose; in ordine sparso furono: un generale accordo sulla questione dell'intervento liberale con un'ala dei neoconservatori, la disperata sensazione di voler essere il migliore amico dell'America; c'era quello che io chiamo una visione pessimistica del ruolo della Gran Bretagna nel mondo, quella di non valer nulla se non si è il miglio
re amico dell'America. Sussisteva una serie consistente di problemi che hanno portato Blair a fare quel che ha fatto, ad impegnarsi così in anticipo rispetto a quando scoppiò la guerra in realtà.” E che ne dice del petrolio come motivazione per la guerra? La trascurerebbe? Kampfner pondera la risposta: “Non trascuro né questa né altre ipotesi o argomenti che sono stati avanzati. Non sono riuscito a trovare una prova forte che puntasse in quella direzione, e mi posso solo muovere sulla base delle prove che ho ottenuto.”

Ma quanto è stato determinante Blair nella decisione di andare in guerra? Sarebbe accaduto con un altro leader al potere? Ovviamente è impossibile speculare su quel che sarebbe successo con un'altra leadership, ma Kampfner è chiaro nel ribadire che scelse Blair di entrare in guerra contro l'Iraq, e fece del suo meglio per convincere il governo ed il paese che quella era la decisione giusta. “E' stata la guerra di Blair, non la guerra del partito laburista. Condotta da Blair ed eseguita secondo la sua volontà.” Con le sue interviste Kampfner costruisce l'immagine di un premier accentratore che ha scavalcato i passaggi tradizionali nel Foreign Office, nominando persone di fiducia nelle posizioni chiave, come Sir Stephen Wall e David Manning. Manning in particolare avrebbe poi giocato un ruolo cruciale nel build-up alla guerra. Su questo punto vale la pena citare per esteso da Blair's Wars:

Così come molti primi ministri prima di lui, Blair aveva meno soggezione del suo ministero per gli esteri. Alcuni dei diplomatici che incontrò, soprattutto sul campo, li stimava molto. Ma era anche esasperato dalla pomposità del Foreign Commonwealth Office e la loro enfasi sul processo più che sul risultato [mia enfasi]. […] Blair e Jonathan Powell volevano mettere in posizioni di primo piano quei singoli diplomatici che rispettavano. Le strutture al cuore del governo non erano di aiuto. Bush, nel suo caotico Consiglio Nazionale di Sicurezza, aveva più esperti di politica estera per un singolo paese di quanti ne avesse Blair per il mondo intero. Ce ne potevano essere centinaia al FCO, dall'altro lato della strada, ma non era la stessa cosa. Quella non era la sua gente [mia enfasi] [pag. 92]

In Himself Alone, biografia di David Trimble, leader dell'Ulster Unionist Party, Dean Godson del Daily Telegraph ritrae in maniera simile un Tony Blair che durante la questione dell'Irlanda del Nord era ansioso di scavalcare i funzionari e i ministri del Foreign Office per raggiungere i propri scopi politici. Raccontando i primi colloqui di Blair con Trimble e gli unionisti dell'Ulster, Godson afferma che “al contrario di Major, che li incontrava attorno al grande tavolo della Cabinet Room, Blair, in maniche di camicia, parlava agli unionisti in una stanzetta del piano terra. In più, ad eccezione di alcune occasioni nei primi mesi del governo laburista, la maggior parte di questi incontri ebbe luogo alla presenza dei soli Blair e il suo staff al Numero 10, senza la presenza del ministro per l'Irlanda del Nord, come invece avveniva sotto i conservatori.”

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