Le armi di una vita patinata: Invisible Monsters di Chuck Palahniuk

Immaginate una donna bellissima, veli di seta georgette che le nascondano il viso e la rendano perciò ancora più seducente. Immaginate che non possa parlare, e che per parlare lei scriva. Immaginatela un misto tra egocentrica e viziata, figlia adorata, modella semi-affermata.Poi: cancellate tutto. Anzi, capovolgete di segno le aspettative, quello che i presupposti comporterebbero. La prospettiva, qui, è assolutamente un'altra.
Chuck Palahniuk rivolge allo specchio, e allo specchio del lettore, una domanda del tipo uovo-gallina, essere-non essere. 'Niente è ciò che sembra': questo il potenziale sottotitolo del romanzo, che è un continuo smentire le apparenze, una (de)costruzione illimitata di spoglie fittizie, un gioco in cui ognuno sa la verità ma non la verità dell'altro, e a questa immagine recepita adegua la propria versione di vita.
Quella di Invisible Monsters è una storia che sconvolge le premesse, di gente che cerca di rendere inediti i propri copioni, dove – volutamente e no – sono andate perse le tracce dei fatti, delle cose risapute, a vantaggio di configurazioni e relazioni reinventate. Ognuno vede nell'altro il proprio sé migliore o il sé che desidera, ognuno funge per chi ha davanti da specchio delle mie brame. E la presenza assoluta a se stessi, il riuscire a percepirsi senza il medium che è l'altrui sguardo o parola, l'auto-percezione perfetta, diventano operazioni impossibili.

Invisible Monsters è uno specchietto retrovisore potenzialmente infinito. Un tentativo di seguire strade che si credono nuove e che invece riportano all'inizio. Saremmo gli stessi anche con cento vite? Fatto sta che i fili del romanzo tornano tutti, si dissolvono per riallacciarsi. L'esito è come sempre nel percorso, il valore aggiunto è rappresentato dal viaggio, che per definizione è riscatto, uscita di sé. Anche quando l'arrivo e la partenza, come su pista, paiono coincidere.

E così Shannon McFarland, l'abbagliante protagonista del libro, ha un corpo perfetto e un viso da mostro, impensabile, inguardabile, perché qualcosa – 'gli uccelli', lei dice – le ha mangiato la faccia. Le ossa della mandibola di Shannon non esistono più, e lei non può parlare. Ma può comunicarci che la bellezza nasconde mostri inaspettati, esigenze esasperate. Che la perfezione pretende. La perfezione odierna di un'esistenza felice passa per qualcosa di simile a un ricalco-rotocalco, disumana, inautentica, perciò chi la insegue crea dei mostri di plastica e sangue, di ossa e cartoon. Figurine più o meno mutilate in onore dell'ego che più ci piace. (Ma intanto cos'è reale? Cos'è che stabilisce la genuinità di un corpo?).
Non dà giudizi di valore, Palahniuk: semplicemente dimostra come oggi – e mai così – le metamorfosi possano essere radicali. Ognuno può scegliere l'identità che più gli garba. Dentro e fuori, fin dove vuole.

Ma con leggerezza blasé, con una consapevolezza quasi scontata, l'autore ci avverte che le identificazioni progressive, per quanta forza abbiano, mai scalzano la memoria, né cancellano il nucleo. Le fughe da se stessi sono démodé, ci si accontenta solo di accessoriarsi con qualche protesi più o meno invasiva. O di darsi un nome più chic e adatto all'occorrenza.
Difatti, per quanto il libro sia la storia di edonisti (a loro modo), di gente che insegue l'immagine perfetta, la bellezza ideale, il momento sublime, – nonostante questo – il percorso ha delle piccole nicchie che nascondono fabbriche. Come le insospettabili celle degli alveari. Come le crepe sotto le città: ogni cosa è liscia, sopra, e la superficie è fatta per scorrere. Eppure tutto, inconsapevole, è costruito sul vuoto.
Sono due le falle principali, quelle che generano la storia e in cui la storia, silenziosa e inevitabile, confluisce: la famiglia e il passato. La “sanguinosa infanzia” (per dirla con Michele Mari) pare essere il filo rosso a cui non ci si può sottrarre.

Lo stile del romanzo è elegantissimo e d'atmosfera, nel senso che l'autore conosce ed evoca il linguaggio e le cornici del mondo fashion addict, universo che oggi pare coinvolgere un pubblico più vasto degli stretti interessati.
L'interferenza narrativa è inesistente: è la protagonista che parla, pensa, racconta. Tenta di guardarsi e oggettivarsi, scandisce l'esistenza come un servizio fotografico. Il racconto è a scatola cinese, come sempre in Palahniuk, indiscusso 'maestro di montaggio' che frammenta il plot quasi senza accorgersene, e di questa polverizzazione si serve per depistare il lettore e coglierlo alle spalle fino all'ultima pagina.
Sorprendente il finale di Invisible Monsters: commozione là dove non te l'aspetti, ingenuo pathos nel bel mezzo di una nevrosi. E' che qui l'autore pare mostrare una sorta di benevolenza per i suoi personaggi-caricatura, per i volti da copertina che il lettore invidia e ammira in egual misura, fino a quando scopre che questi uomini finiscono proprio col non essere, persi nell'allenamento cieco al 'come-tu-mi-vuoi'. E forse questo tocco neo-decadente è parte stessa del finissimo cinismo di Chuck 'genio del male' Palahniuk, e del tempo che lo feconda.
Leggere il romanzo significa ritrovare nella stessa stanza fucili, pennelli da ombretto e flaconi di estrogeni, e scoprire come un insieme tanto arbitrario sia in realtà un campo di oggetti significanti che rispondono allo stesso bisogno di difesa (nel caso dei personaggi di Palahniuk soprattutto da sé stessi). C'è chi considera questo romanzo – esordio privato, boicottato dalle case editrici – il capolavoro dell'autore. In ogni caso egli qui dipinge precisissime marionette di quel teatro sperimentale che è il ventunesimo secolo. Personalità complesse fino alla possibilità non remota dell'autodistruzione, dell'annullamento a scopo di rinascita, della mutilazione a scopo di vendetta o espiazione. C'è spazio per la metamorfosi lenta e progressiva, nel libro, ossessiva e radicale. E anche per quella ferrea che avviene in un sol colpo, che lascia serrate le labbra di chi vorrebbe chiedere: meditazione o follia?

Se c'è una morale nel libro di Palahniuk, se c'è un punto di ritorno, è che forse qualsiasi gesto compiamo contro qualcosa, è un gesto per quel qualcosa. O che ad esso conduce.

Chuck Palahniuk
INVISIBLE MONSTERS
Piccola Biblioteca Oscar Mondatori
pp. 227 – euro 7,80