La parola scritta contro il terrorismo – Nadeem Aslam a colloquio con Three Monkeys Online.

La cosa più semplice sarebbe buttarsi di getto e domandare subito al romanziere Nadeem Aslam cosa ne pensa delle recenti bombe nella capitale britannica. Dopotutto, il suo Mappe per amanti smarriti, grande successo di critica, è un'analisi lirica di quelle stesse comunità di immigrati nel nord dell'Inghilterra dalle quali proverrebbero gli attentatori. Britannico per nascita come loro, ma nato in una Gran Bretagna molto diversa da quella rappresentata quotidianamente sui nostri schermi.

Ma la scelta più facile non renderebbe necessariamente giustizia all'opera in questione, come potrebbe concordare Aslam, che ha passato quasi dieci anni interi a lavorare a questo suo secondo romanzo. Ha plasmato il suo Mappe per amanti smarriti con un'ossessione e una dedizione tali, creando ad esempio lunghe biografie, a suo uso, di tutti i personaggi principali e registrando il romanzo in un dittafono per assicurarsi che 'suonasse bene' (“la scrittura era così ricca in certi passaggi, così esitante in altri, che temevo non scorresse alla lettura”). Non ci si dovrebbe quindi sorprendere della forte influenza su Aslam di James Joyce, con riferimenti specifici in Mappe per amanti smarriti e nel suo romanzo di debutto, Season of the Rainbirds. “Fra gli scrittori non ce n'è uno che possa prescindere da Joyce, nè dovrebbe desiderarlo. Io penso a lui quasi ogni giorno – il rognone per colazione; il bastone gettato sulla sabbia bagnata che si infila diritto; Bloom che aspetta di fare un peto all'aperto così che il rumore venga coperto da quello più alto del traffico. Con quale maestria I morti [N.d.T.: racconto che fa parte della collezione Gente di Dublino] prende dettagli apparentemente minori della vita di tutti i giorni e li trasforma in un urlo sulla disperazione di essere vivi”.

In Mappe per amanti smarriti dei dettagli minimi hanno conseguenze violente, come ad esempio una donna che viene vista insieme all'uomo sbagliato, o le critiche di membri della comunità. Non ci sono bombe, nè legami con Al-Qaeda, nel libro di Aslam. Nulla di così sensazionale, ma piuttosto un mosaico di violenze a livello più basso, locale, di intimidazione e omicidio. La comunità pachistana del romanzo vive in un posto senza nome, senza forma, allo stesso tempo in Inghilterra eppure non propriamente lì. E' una descrizione cupa, soprattutto con il clima attuale. Nel romanzo non c'è integrazione, l'Inghilterra è, per modo di dire, assente. “L'Inghilterra non è assente dal mio romanzo, solo l'Inghilterra BIANCA è assente,” precisa Aslam con cautela. “Non volevo dare l'impressione – come fanno in maggior parte i romanzi sull'immigrazione – che i rapporti con i bianchi spesso ostili siano tutto quel che c'è nella vita di un immigrato. Che passiamo i giorni e le notti preoccupandoci di quel che i bianchi pensano di noi. Lo facciamo a volte, ma il 99% delle volte non siamo pachistani, siamo solo essere umani con fratelli e sorelle e amanti e genitori e lavori e bambini. Volevo soffermarmi su queste cose”.

“Alcune delle decisioni che ho preso non sono politiche o culturali; sono artistiche: non nomino la città nè la situo geograficamente perché volevo che i lettori si ritrovassero spaesati quanto i miei personaggi, immigrati in questo posto alieno”, spiega Aslam, ammettendo indirettamente che molte delle sue decisioni nel romanzo derivano anche da scelte politiche e culturali. Ad ogni modo, sembra naturale per Aslam mescolare la politica e l'arte: “Venendo da una cultura ed un paese quale è il Pakistan, ho sempre conosciuto le potenzialità di verità presenti in qualsiasi forma di produzione artistica – pittura, musica, la parola scritta, il cinema. In ognuna di queste forme artistiche si potevano fare cose che, rivelando la verità sull'esistenza, potevano offendere i potenti che avevano investito molto sulle bugie. In una società con delle regole molto rigide su ogni aspetto della vita, fare anche la più piccola mossa voleva dire rischiare di offendere la gente al potere. Tale situazione è più o meno rimasta tale e quale oggi, lì in Pakistan e all'interno delle comunità pachistane in occidente. I cosiddetti leader e gli autoproclamatisi portavoce di queste comunità si offendono facilmente. Bruciano libri, bloccano rappresentazioni teatrali, picchettano l'entrata dei cinema, disturbano gli spettacoli dei comici”.

Le religioni e in effetti le culture (l'uso del plurale è intenzionale) riservano le ire maggiori agli apostati o a coloro che osano criticare dall'interno. Avendo a mente l'esempio di Salman Rushdie nel passato e con la sensibilità acuita dal cosiddetto 'scontro fra civiltà' dei nostri giorni, l'autore, pachistano per nascita, deve aver considerato che aver scritto un libro che pungentemente e decisamente critica elementi dell'Islam comporta dei rischi. “Nel mio romanzo non compare nulla che non venga discusso quotidianamente sui giornali pubblicati in Pakistan e nel resto del mondo musulmano, – replica, – ho solamente voluto aggiungere la mia voce a quelle che già si alzano”.

E' importante, per Aslam, aggiungere la sua voce. Anzi, seppur non credente, si affretta a precisare: “Sono cresciuto osservando i dipinti persiani, leggendo le poesie urdu, ascoltando le storie su Maometto che mia madre mi leggeva per farmi addormentare da bambino. In molti modi il libro tratta il classico tema della letteratura islamica: la ricerca dell'amata. Il libro non sarebbe quel che è senza Le mille e una notte, il Corano, Bihzad”. Aslam sembra abbracciare appassionatamente l'idea che la questione del terrorismo islamico debba prima di tutto e principalmente venire affrontata dalle comunità islamiche: “Sento sempre dentro di me che dovrei fare di più, non so come. E' stato interessante vedere in TV i capi musulmani affermare che non avevano nessuna idea dell'estremismo esistente nelle moschee ed università. Tutti lo sanno”.

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