Il Poeta della Prosa – Intervista a Jim Crace

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La musica, controbatto, è però legata all’esecuzione e al momento (sicuramente per il jazz, per esempio), mentre una buona scrittura è spesso il prodotto di uno sforzo più prolungato che include revisioni e editing. “Con la scrittura, per me, esiste un momento di abbandono, – risponde senza indugio, – particolarmente se non si è uno scrittore autobiografico, ed hai la volontà di lasciare gorgogliare questa cosa intuitiva, e di lasciarle condurre la storia verso mete che non ti aspetti, allora devi aspettare il momento di abbandono, perché se non lo fai, queste cose non succedono. Adoro quel momento di abbandono quando la storia comincia a prendere il sopravvento e a sciegliersi una direzione. Forse è per quello che mi piace il jazz contemporaneo, quando raggiungi quel momento vivido di abbandono quando il sassofonista si alza in piedi e tutto quello che ha sullo spartito sono solo i cambi di accordo, insieme agli altri musicisti, e lui li abbandona e comincia a improvvisare”.

La nozione di scrittore non autobiografico è una chiave di lettura per la percezione che Crace ha del proprio lavoro come scrittore, e quel momento in cui la storia si allontana dallo scrittore. Forse è così che, nella sua definizione, un “ateo alla nordcoreana” ha potuto scrivere Il diavolo nel deserto, un libro ambientato attorno alla vicenda di Gesù e le sue tentazioni nel deserto, dove per il punto centrale della storia “era scimmiottare ciò che la vecchia storia disonesta scimmiottò, e sostituire a quella una nuova storia disonesta. Non so cosa accadde in Giudea duemila anni fà, non più di quanto ne sappisano i credenti cristiani. Si trattava di ri-raccontare una narrazione che io credevo pericolosa e di rimpiazzarla con una versione che mi pareva più consona al XXI secolo”. Eppure, il libro che ne uscì era, con parole sue, “un libro molto scritturale”. E con un senso di stupore, aggiunge: “la gran parte della corrispondenza che ricevo, in relazione a quel libro, mi arriva da persone che credeno in Dio e trovano che il libro abbia accentuato la loro fede, invece di minarla”.

Descrivere se stesso come un autore non autobiografico è allo stesso tempo un dogma e una linea di difesa per Crace. Un dogma perché ci crede veramente, e c’è una vasta serie di prove a confermare la correttezza della sua descrizione. Una difesa, in quanto Crace non sempre approva interamente la direzione che le proprie storie prendono. “Il mio io diciassettenne odierebbe i romanzi borghesi, metaforici, dalla prosa ritmata, che scrivo, – ride.- Quando ero un ragazzotto brufoloso immaginavo che avrei scritto testi politici, romanzi alla Stainbeck e Orwell, ma non puoi nulla contro il giro di carte che ti hanno servito. Se fossi uno scrittore autobiografico, senza dubbio i miei romanzi sarebbero più politici, perché deriverebbero dalla mia esperienza di vita quotidiana, e io sono un animale politico nel quotidiano. E’ necessario che i lettori, se ce ne sono! – aggiunge con tono di auto-disapprovazione, – si rendano conto, o almeno questo è qualcosa di cui io mi rendo conto e riconosco a proposito del mio lavoro, che io sono uno degli autori meno autobiografici che si possano incontrare, il che non significa che non si possano individuare nei miei libri temi che rivelano alcuni dei miei interessi. Per esempio, è ovvio che mi piace molto la storia naturale, che mi piace camminare. Che sono di sinistra. Ma ciò che faccio quando scrivo non è il mettere in passerella la mia vita privata, ciò che faccio quando scrivo è cercare di investigare su argomenti per i quali non ho risposte. Qundi grossi temi vengono fuori ma nessun particolare della mia vita privata è particolarmente in vetrina, e questo include, così pare, la politica. Certamente la cosa riguardo la politica è che sono una persona decisamente dogmatica politicamente, ma il dogma non ha una sua collocazione nel romanzo di finzione. La fiction gioca tutto sull’ambiguità, e su cose che sbocciano, e su possibilità che si aprono, e taqnte scelte offerte al lettore.Un ulteriore esempio della divergenza tra le sue convinzioni e opinioni e quelle dei suoi libri è rappresentato dal suo primo romanzo. “Continent [N.d.T.: Continente] è un libro molto più conservatore, nel senso di aggettivo, di quanto lo sia io personalmente. Prende la strada, come a ma pare faccia tutta la narrativa, dei modi antichi dell’umanità, della persona anziana piuttosto che del giovane, come spesso fanno i racconti tradizionali e folkloristici, mentre la mia persona politica è modernista, sono uno che crede nel progresso tecnologico. Quindi è stato inevitabile, pena il descrivere dei personaggi senza vita, che mi dovessi scrollare di dosso il mio credo politico e lasciare che i miei libri esprimessero le proprie opinioni”.

In una rara ammissione, però, Crace riconosce, a posteriori, l’influenza della sua vita privata in due dei suoi libri. “Bisogna ammettere che, a prescindere da quanto non-autobiografico uno sia, alcuni particolari filtrano. Me ne sono accorto quando scrissi Una storia naturale dell’amore, che parla della morte, un argomento estremamente serio, e anche, in parte, della morte di mio padre. Il mio defunto genitore è quasi stato al mio fianco mentre scrivevo quel libro. Lui era un ateo e noi non lo abbiamo celebrato come avremmo dovuto dopo la sua morte, per poterla superare, perché non aveva voluto una cerimonia. Io volevo in un certo senso rimediare a quel errore e riuscire a scrivere con quel libro un romanzo di conforto per gli atei. Ma quando ho scritto quel libro così serio, ero in effetti di ottimo umore. Ero in forma splendida, e tutto andava a gonfie vele. Ero una persona immensamente felice. E quindi, pur trattando di un argomento estremamente tetro, ha finito per diventare un libro molto ottimista. Eppure molti critici e molti lettori lo hanno giudicato pessimistico. Dopo di quello decisi di scrivere un libro che fosse inequivocabilmente ottimista, tale che nessuno si potesse sbagliare su di esso. E cosa poteva essere più inequivocabilmente ottimista di amore, relazioni a lungo termine, prole? Questo è stato il punto di partenza di Six, un punto di partenza ottimistico. Durante la stesura però, la salute di mia madre comin
ciò a deteriorarsi, tra cancro e demenzia, e durante l’ultimo anno di lavoro sul libro, io ero l’unico che si occupasse di lei, il che significava in primo luogo 60-70 telefonate al giorno e molta pressione, e in seguito assistenza continuativa, cambiarle il pannolone come se fosse una bambina, fino alla sua morte. Il risultato fu che Six è un libro pieno di pecche, secondo me per motivi autobiografici. Perché non sono riuscito a concentrarmi pienamente sul libro, a causa della tensione emotiva del prendersi cura di una madre novantunenne in punto di morte. Quella era ovviamente la mia priorità. E’ un libro difettoso in un certo senso perché io avevo voluto un libro ottimistico, ma non c’era alcun ottimismo nel mio cuore in quel momento. Per queste ragioni si tratta del mio libro più conflittuale e meno apprezzato [Nota del Redattore: E’ comunque apparso in svariati elenchi di ‘Libri dell’anno’ su diversi giornali importanti]. Quindi, nonostante le mie rivendicazioni di non essere autobiografico, la propria vita si affaccia inevitabilmente in qualsiasi scritto che si possa elaborare”.

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